Operazioni soggettivamente inesistenti, onere della prova dell’Amministrazione finanziaria, prova contraria del contribuente

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.35148 del 18/11/2021

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Operazioni soggettivamente inesistenti, onere della prova dell’Amministrazione finanziaria, prova contraria del contribuente

In tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria: a) ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; b) quanto alla consapevolezza, poi, non è richiesto che provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma è sufficiente che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta.

Incombe poi sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile, essendo tenuto a dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili.

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Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n. 35148 del 18/11/2021

(Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente; Dott. D’AURIA Giuseppe)

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento per l’anno 2006 emesso nei confronti della Kulto srl unipersonale, con cui l’Agenzia delle entrate negava sia ai fini iva che ii dd la deduzione dei costi, ritenendo che le operazioni individuate rientrassero nella fattispecie di frodi carosello, provvedendo, di conseguenza, a rimodulare la maggiore pretesa fiscale.

Avverso tale atto di accertamento era proposto ricorso, e la CTP di Ancona confermava l’accertamento.

L’appello proposto dal contribuente era accolto dalla Ctr (sent. N. 52/1/13) limitatamente al rilievo n. 4 dell’accertamento in relazione al recupero dei componenti negativi di reddito per Euro 984.543,69.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate limitatamente al recupero IVA, affidandosi ai seguenti motivi, così sintetizzabili:

1) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, e art. 54, comma 2, dell’art. 2729 c.c., nonché dei principi indicati dalla sentenza della Corte di Giustizia 12.1.2006 in C.354/03, 355/03 e 484 / 03 e 6.7.2006 in cause C.439 /04 e 440 / 04 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta l’Ufficio che la CTR abbia richiesto la prova della partecipazione alla dolosa preordinazione all’altrui frode.

2) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 21 e 19, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1113, per aver la CTR fondato il proprio convincimento sulla circostanza della mera regolarità documentale contabile e della tracciabilità dei pagamenti.

3) Motivazione insufficiente e contraddittoria su fatti decisivi e controversi del giudizio e comunque omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ispecie con riferimento alle dichiarazioni del F., legale rappresentante della KULTO, nonché al rapporto personale tra questi e il soggetto effettivo controllante della SERVIS, sig. P., società cartiera, e sulle indicazioni apposte in calce ad una fattura.

A tale ricorso rispondeva il contribuente con controricorso, poi illustrato con memoria, chiedendone il rigetto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi, da esaminare unitariamente in quanto strettamente legati tra loro, sono fondati.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo, secondo cui la doglianza mira ad una nuova ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e, dunque, a una rivalutazione dell’apprezzamento del giudice di merito. La doglianza denuncia, infatti, l’errata applicazione dei principi applicabili in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, mentre, con riguardo al terzo motivo, questo non si limita a contestare l’insufficienza e carenza motivazionale ma è ancorato allo omesso esame di fatti specificamente individuati.

Occorre premettere che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018 (seguita da molte altre; recentemente v. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in piena aderenza ai principi affermati ripetutamente dalla Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che l’Amministrazione finanziaria: a) ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; b) quanto alla consapevolezza, poi, non è richiesto che provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma è sufficiente che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta.

Incombe poi sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile, essendo tenuto a dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. n. 11873 del 15/05/2018).

Orbene, la Ctr, dopo aver ricostruito le contestazioni dell’Ufficio e l’iter del giudizio, ha affermato “questo collegio ritiene che il suddetto impianto accusatorio, seppure astrattamente credibile, per essere credibile in concreto e quindi possedere una valenza probatoria giuridicamente efficace, si palesa viceversa estremamente carente in merito alla dimostrazione di un elemento cardine del ragionamento operato dall’Ufficio: restano cioè indimostrati i rapporti ed i comportamenti consapevolmente collusivi tra la società KULTO Srl e le ipotizzate frodi carosello a carico della ditta fornitrice degli autoveicoli SAFETY CAR Srl, ritenuta dall’Ufficio medesimo ditta cd. cartiera”; concetto che ha ulteriormente ribadito precisando “ritiene questo collegio che l’Ufficio accertatore non abbia compiutamente dimostrato l’esistenza di un comportamento consapevole da parte della società KULTO Srl che possa considerarsi partecipativo con le obbiettive attività antigiuridiche che sono state addebitate alle ditte fornitrici di autoveicoli”

Il giudice d’appello ha poi aggiunto che “tale esigenza si palesa ancora più necessaria in quanto la KULTO Srl… ha dimostrato di avere acquistato dalla predetta società fornitrice, previo regolare ordinativo e dietro regolari fatture… fatture saldate con documentazione tracciabile e successiva rivendita, ogni autoveicolo”, “per ognuna la prova dell’integrale pagamento… come risulta dalla documentazione contabile”; la società ha poi dimostrato che “praticava pressi in linea con quelli praticati da altre organizzazioni… ovvero praticava sconti inferiori”.

Ha quindi concluso che “in definitiva, non è emersa, dall’esame delle carte processuali una consapevole conoscenza e partecipazione… alle attività antigiuridiche… tale da far ipotizzare un coinvolgimento nella eccepita attività relativa ad una frode carosello”.

Sono dunque ben chiari i plurimi errori in diritto commessi dal giudice d’appello:

– da un lato, infatti, non è necessario che l’Ufficio fornisca una “piena” prova dei fatti contestati: una volta che questi abbia dimostrato, in base ad elementi anche solo indiziari, il carattere fraudolento delle operazioni realizzate dal contribuente, è su quest’ultimo che incombe la prova contraria, ossia che le operazioni (o talune di esse) erano in realtà effettive;

– dall’altro, non è neppure necessario che sia fornita la prova -come si è espressa la CTR – della “consapevole conoscenza e partecipazione… alle attività antigiuridiche”, essendo invece sufficiente, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;

– dall’altro, ancora, ha ritenuto elementi utili a prova contraria la mera regolarità formale della documentazione contabile e dei pagamenti e, ancor di più, la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi, elementi, invece, privi di rilievo, i primi perché facilmente falsificabili (tanto più nell’ambito di frodi carosello), i secondi perché del tutto ininfluenti, traendo la parte il maggior beneficio proprio dalla illecita evasione dell’Iva.

Oltre a ciò, infine, del tutto obliterati sono stati elementi di fatto decisivi – espressamente indicati dall’Ufficio e riprodotti in ricorso per autosufficienza – oggettivamente idonei a dimostrare l’esistenza di concreti ed effettivi rapporti tra il legale rappresentante della società e la società cartiera (quali, tra le varie, le dichiarazioni del F., ivi comprese quelle relative al P., per cui la società era realmente una cartiera e sapeva che quest’ultimo si recava in ***** per acquistare auto in contanti, sicché il rapporto con le fornitrici-cartiere era diretto e in termini non meramente sporadici; le indicazioni apposte a matita su copia di una fattura, in cui si evidenziava l’acquisto da una società cartiera con specificazione del versamento di Euro tremila in contanti; la sostanziale assenza di ricarichi tra i diversi passaggi della filiera frodatoria; l’emissione di fattura direttamente al contribuente da parte di una società cartiera).

Ne’, in senso contrario, rileva l’affermazione, riportata nella parte finale della decisione, secondo la quale il giudice non è tenuto a dar conto dell’esame di tutte le prove prodotte, essendo sufficiente quelle che abbia ritenuto di per sé idonee e sufficienti a giustificare la motivazione, ove tale carenza si risolva in un omesso esame di fatti decisivi, rispetto ai quali è lo stesso giudice a ritenere non assolto l’onere probatorio incombente sulla parte. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra esposti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Ctr delle Marche in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2021

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