LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19309/2017 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
D.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentato e difeso dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 297/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/02/2017 R.G.N. 5330/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.
RILEVATO
che Telecom Italia S.p.A. ha proposto appello, nei confronti di D.M.M., avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 5918/2014, con la quale era stata respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 273/2013 emesso dal medesimo Tribunale, in favore del lavoratore, per il pagamento della somma di Euro 2.153,33, oltre accessori, a titolo di retribuzione relativa al mese di novembre 2012 – dovuta in virtù della sentenza n. 25887/2009 del Tribunale della stessa sede, divenuta definitiva, con la quale, dichiarata “l’inefficacia della cessione di ramo di azienda intervenuta tra Telecom Italia S.p.A. e TNT Logistics Italia S.r.l. (ora Ceva Logistic Italia S.r.l.)”, era stata stabilita “la permanenza del rapporto di lavoro” tra lo stesso D.M. e la Telecom Italia S.p.A. -, che quest’ultima non ha provveduto a corrispondere;
che la Corte territoriale di Napoli, con la pronunzia oggetto del presente giudizio, depositata in data 8.2.2017, ha respinto il gravame e, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha sottolineato che è agli atti la decisione che ha statuito il diritto del dipendente a vedersi ricostituito il rapporto di lavoro con la società Telecom Italia S.p.A., per cui sono sicuramente dovute le retribuzioni maturate, a nulla rilevando fatti estranei a questo rapporto di lavoro; e che non risulta che il D.M. abbia percepito redditi da portare in detrazione rispetto a quanto dovuto dalla Telecom Italia S.p.A.;
che per la cassazione della sentenza ricorre Telecom Italia S.p.A., articolando un motivo, cui resiste con controricorso D.M.M.;
che sono state depositate memorie nell’interesse del lavoratore; che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., nella parte in cui la sentenza non ha ritenuto deducibili a titolo di aliunde perceptum le somme percepite dal D.M. per effetto della pronunzia del Tribunale di Napoli, con la quale era stata ordinata la reintegrazione, della L. n. 300 del 1970, ex art. 18, dello stesso nel posto di lavoro alle dipendenze di Ceva Logistic e quest’ultima era stata condannata al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento a quella della reintegra, nonché le somme derivanti dall’esercizio dell’opzione sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; pertanto, a parere della Telecom Italia S.p.A., nessun danno residuava nel caso di specie, posto che altro titolo giudiziario (nello specifico, la predetta pronunzia del Tribunale di Napoli), in relazione al medesimo periodo oggetto della presente causa, aveva già statuito per il diritto alle retribuzioni del D.M., e rilevando, inoltre, non il fatto che il lavoratore avesse effettivamente percepito o meno dette somme, ma che sussistesse altro risarcimento, giudizialmente accertato e perciò coercibile, per voci di credito incompatibili con l’attuale domanda;
che il motivo non è fondato; al riguardo, è da premettere che, con la sentenza della Suprema Corte n. 17104/2016, era stato respinto il ricorso proposto da Telecom Italia S.p.A., avverso la pronunzia della Corte distrettuale di Napoli n. 2372/2013, che, confermando la decisione di prima istanza n. 25887/2009, aveva dichiarato l’inefficacia del contratto di cessione del ramo di azienda costituito dalla c.d. Domestic Wireline, ai sensi dell’art. 2112 c.c., dalla Telecom Italia S.p.A. alla TNT Logistics Italia S.r.l. (ora Ceva Logistic Italia S.r.l.). Pertanto, come correttamente osservato dalla Corte di Appello, a seguito di tale decisione attinente alla ricostituzione del rapporto di lavoro tra Telecom Italia S.p.A. e D.M.M., a nulla rilevano fatti estranei – quali le vicende intercorse tra il lavoratore e la cessionaria – a questo rapporto di lavoro, che, dunque, non può considerarsi trasferito dalla cedente Telecom Italia S.p.A. alla società cessionaria, essendo stato, appunto, accertato, con pronunzia passata in giudicato, che non sussistono le condizioni per applicare l’art. 2112 c.c. e che il dipendente non ha manifestato il proprio consenso alla cessione del contratto, secondo quanto previsto dall’art. 1406 c.c.;
che, quindi, il rapporto di lavoro instauratosi, di fatto, tra la società cessionaria ed il lavoratore è rimasto del tutto distinto rispetto a quello che quest’ultimo aveva con Telecom Italia S.p.A., perché, se si ritenesse l’unicità del rapporto, come pretende la parte appellante, si giungerebbe alla conclusione di ritenere l’avvenuta modificazione soggettiva della persona del datore di lavoro, senza la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 2112 c.c., o dall’art. 1406 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 5998/2019; 13617/2014; 13485/2014); né l’esercizio del diritto di opzione sostitutivo della reintegra (a seguito di licenziamento intimato dalla cessionaria e successivamente dichiarato illegittimo), da parte del lavoratore ceduto in base ad una cessione legale illegittima, integra un comportamento concludente finalizzato alla risoluzione definitiva del rapporto di lavoro con la società cedente, poiché la riferibilità anche a quest’ultima dell’esercizio dell’opzione presuppone la legittimità ed il perfezionamento della vicenda traslativa legale, ex art. 2112 c.c., o negoziale, ex art. 1406 c.c. (v., tra le molte, Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019; 17736/2016; 13483/2014), che, nel caso di cui si tratta, per quanto osservato, non sussiste;
che, ciò premesso, va osservato che, alla stregua del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha rivisitato il precedente indirizzo giurisprudenziale nella materia (v. Cass., SS.UU. n. 2990/2018 – relativa alla illecita interposizione di manodopera ed alla natura delle somme spettanti al lavoratore – ai cui principi ispiratori è stato riconosciuto valore di “diritto vivente” dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 29/2019; e cfr., altresì, Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019, che quei principi hanno recepito in tema di trasferimento di azienda, poi dichiarato invalido), qualora il datore di lavoro abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, non sono detraibili dalle somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente – come nella fattispecie – la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto; e ciò, perché, in tale ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento (v., ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018, cit.). Per la qual cosa, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento, poiché, appunto, è stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto;
che, in considerazione del superamento del precedente orientamento giurisprudenziale nella materia, appare equo disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021
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