Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.35802 del 22/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7773/2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliata in Roma Via Della Mercede 21 presso lo studio dell’avvocato Bracci Luciano Filippo che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4820/2017 della COMM.TRIB.REG., LAZIO, depositata il 31/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.

RITENUTO

CHE:

Con avviso di accertamento n. ***** l’Agenzia delle Entrate modificava il classamento di n. 10 immobili soggetti a vincolo storico-artistico situati in *****, di cui n. 4 di proprietà di S.I. mentre per i restanti n. 6 la S. era nuda proprietaria mentre usufruttuaria era D.S..

Le contribuenti proponevano due distinti ricorsi alla CTP di Roma deducendo la carenza di motivazione dell’avviso il quale non consentiva di verificare la correttezza del classamento e muovendo censure al nuovo classamento fondate sulle risultanze di una perizia.

La CTP di Roma, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 10540/16 li accoglieva parzialmente, ritenendo destituita di fondamento la censura relativa al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, ma entrando nel merito modificava il classamento in favore delle contribuenti.

Proposto appello avverso detta pronuncia da parte dell’Agenzia delle Entrate nei soli confronti di D.S., la CTR del Lazio in data 31.7.2017 accoglieva l’appello ritenendo che il contribuente non avesse assolto l’onere di provare che il loro immobile ha caratteristiche tali da sottrarlo alla ratio del riclassamento per microzona di appartenenza.

Avverso detta pronuncia D.S. proponeva ricorso per cassazione articolato in sei motivi di ricorso.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 4 e art. 22, comma 2, art. 53, comma 2 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata aveva implicitamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata notifica dell’originale al contribuente e per mancanza di firma.

2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione art. 331 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2 sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” parte ricorrente deduceva che erroneamente il giudice di appello non aveva integrato il contraddittorio nei confronti di S.I. in quanto nuda proprietaria non ritenendola assoggettata al tributo.

3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduceva, in via subordinata, come la sentenza impugnata, qualora si verta in ipotesi di causa scindibile, sarebbe censurabile per violazione di giudicato in quanto la sentenza della CTP n. 10540/16 emessa nei confronti di S.I., passata in giudicato il 6 dicembre 2016 renderebbe la decisione della CTR illegittima per violazione dell’art. 324 c.p.c..

4. Con il quarto motivo di ricorso rubricato “Violazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e di conseguenza nullità della sentenza per motivazione apparente” parte ricorrente deduceva che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “pare viceversa lecito aggiungere che siffatto onere sia rimasto non assolto” integra un’ipotesi di motivazione apparente.

5. Con il quinto motivo di ricorso rubricato “Violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per ultrapetizione con conseguente nullità della sentenza” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non si è pronunciata in ordine alla possibilità da parte del contribuente della prova contraria sull’assoggettabilità del singolo immobile al riclassamento.

6. Con il sesto motivo di ricorso rubricato “Violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, violazione di norma rilevabile d’ufficio” parte ricorrente deduceva che nell’appello l’Agenzia delle Entrate non aveva illustrato specifiche doglianze.

1.1. Il primo motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “..in tema di contenzioso, la mancata sottoscrizione della copia del ricorso consegnata o spedita per posta all’Amministrazione finanziaria ne comporta la mera irregolarità se l’originale, depositato nella segreteria della commissione tributaria, risulta sottoscritto, e non l’inammissibilità di cui ai D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 4, e art. 22, comma 2, che non si applicano qualora un esemplare dell’atto rechi la firma autografa dell’autore, poiché il resistente è comunque in grado di verificare la sussistenza della sottoscrizione sull’originale prima della propria costituzione, il cui termine scade successivamente a quello stabilito per la costituzione del ricorrente” (Cass. n. 10282 del 2/5/2013; Cass. n. 24462 del 17/11/2014; Cass. n. 12621 del 19/5/2017; Cass., ord. n. 8213 del 30/3/2017; Cass., ord. n. 3089 del 1/2/2019).

Le “copie del ricorso”, di cui l’art. 18 citato impone la sottoscrizione a pena di inammissibilità, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 14389 del 15 giugno 2010), sono soltanto quelle “destinate alle altre parti” – quindi le copie impiegate per la “notificazione” del medesimo ricorso a dette “altre parti”; inoltre, nella previsione delle “altre parti” del processo, giusta la identificazione delle stesse operata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 non è compreso il giudice perché soggetto (come le parti) del processo, ma non parte dello stesso processo.

Conseguentemente, il tenore letterale della norma lascia ritenere che essa regola unicamente e, quindi, si applica soltanto all’ipotesi di ricorso proposto contro più parti (come nel caso di ricorso proposto contro l’ente impositore ed il concessionario della riscossione o di appello proposto non da tutti i litisconsorti necessari e da notificare agli stessi per l’integrità del contraddittorio), e non alla “costituzione in giudizio del ricorrente” (e/o dell’appellante, tenuto conto del disposto dell’art. 53, comma 2 secondo cui “il ricorso in appello….deve essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3”), perché l’attività di “costituzione in giudizio del ricorrente” è specificamente, nonché diversamente, regolata dal medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 il cui comma 1 prevede che “il ricorrente” deve depositare (“entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità”), nella segreteria della commissione tributaria adita (oppure trasmettere “a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento”), “l’originale del ricorso” se “notificato a norma degli artt. 137 e seguenti c.p.c.” ovvero “copia del ricorso consegnato o spedito per posta”, con la precisazione che “in caso di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata conforme dallo stesso ricorrente” (Cass. n. 14389 del 15 giugno 2010).

La mancanza di sottoscrizione sanzionabile con l’inammissibilità del ricorso va, dunque, intesa come mancanza materiale del requisito imposto dalla legge, e non già quando essa risulti presente per relationem attraverso il rinvio implicito della fotocopia all’atto originale e questa conformità non sia stata contestata o, se anche lo sia stata, essa è comunque infondata.

La previsione di inammissibilità, quindi, deve farsi conseguire solo là dove e nei limiti in cui la mancanza della sottoscrizione sia effettiva, non quando essa risulti presente per relationem, attraverso il rinvio implicito dalla fotocopia all’atto (originale) depositato presso la segreteria dell’Ufficio e questa conformità non sia contestata.

Nella specie, l’originale dell’atto di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate risulta debitamente sottoscritto rendendo così irrilevante la proposta censura.

2.1. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

Ed invero, correttamente l’Agenzia delle Entrate ha evocato nel giudizio di appello il solo usufruttuario degli immobili, D.S. e non già il nudo proprietario dei medesimi, ovvero S.A.I., atteso che il tributo per cui è processo vede come unico legittimato passivo l’usufruttuario.

3.1. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.

Ed invero i giudizi instaurati sono cause scindibili di talché il giudicato formatosi tra Agenzia delle Entrate e nudo proprietario non è invocabile dall’usufruttuario nei confronti del quale l’Agenzia delle Entrate abbia coltivato il giudizio.

4.1. Del pari infondato è il quarto motivo.

Ed invero la sentenza impugnata dà conto dei presupposti su cui ha fondato la decisione esponendo in maniera chiara e compiuta l’iter logico seguito.

5.1. Infondato è anche il quinto motivo di ricorso.

Ed invero la sentenza impugnata si è pronunciata nel perimetro tracciato dai motivi di appello illustrando quali siano i presupposti per procedere al riclassamento L. n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 335 senza toccare argomenti estranei al thema decindendum.

6.1. Infondato è anche il sesto motivo di ricorso.

Ed invero, nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini in equivoci (Cass., Sez. 5, n. 32954/18).

In conclusione il ricorso va rigettato.

La regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3500,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, effettuata da remoto, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2021

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