Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.36499 del 24/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5917-2019 proposto da:

EREDI D.B.F. SAS DI D.B. FULVIO, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati FABRIZIO PANELLA, MARIO PAGNUTTI, DANIELA PEPPICELLI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ultima in ROMA, VIA ADOLFO OMEDEO 44 PAL. B, pec: fabrizio.panella.firenze.avvocati.it, mario.pagnutti.avvocatiudine.it, danielapeppicelli.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

contro

PRIMACASSA CREDITO COOPERATIVO FVG SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati GIORGIA AMODIO, e MASSIMO CESCUTTI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA, 19, presso lo studio dell’avvocato ARTURO IANNELLI, pec: giorgia.amodio.avvocariudine.it, arturoiannelli.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 720/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

FATTI DI CAUSA

1. La società Eredi D.B.F. sas di F.D.B., con atto di citazione dell’8 giugno 2015, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Udine la Banca di Credito Cooperativo della Bassa Friulana s. coop. per sentir pronunciare la risoluzione per grave inadempimento di quest’ultima di un accordo con essa intercorso avente ad oggetto la sistemazione dell’esposizione bancaria dell’attrice mediante alienazione di taluni cespiti immobiliari nonché per sentir condannare l’istituto al risarcimento dei danni. L’attrice assunse che la banca si era impegnata ad acconsentire alla cancellazione delle ipoteche iscritte su quattro appartamenti a fronte del versamento della somma di Euro 350.000 e che, dopo aver dato una parziale esecuzione all’accordo, si era sottratta agli obblighi assunti arrecando gravissimo pregiudizio alla società attrice i che, rimasta priva di liquidità e di credito, era stata costretta a cessare l’attività vedendo altresì crollare il valore dei cespiti rimasti invenduti. In particolare; la banca si sarebbe sottratta all’accordo) intercorso con la società) di smobilizzo consensuale dei cespiti con finalità di ripianamento delle esposizioni in essere. La Banca convenuta si costituì in giudizio, e, pur non negando l’intesa, rilevò l’esistenza di una differenza di vedute in ordine all’ammontare dell’importo destinato al ripianamento delle esposizioni de quibus e negò che l’operazione fosse preordinata alla definizione “a saldo e stralcio” della complessiva posizione debitoria in questione.

2. Il Tribunale adito, con sentenza del 21/5/2018, rigettò la domanda, sul presupposto che non vi fosse prova del raggiungimento di un accordo transattivo in merito alla somma che la banca avrebbe accettato a saldo e stralcio delle esposizioni vantate.

3. La Corte d’Appello di Trieste, adita dalla Eredi D.B.F. s.a.s., con sentenza n. 720 del 12/12/2018, ha rigettato l’appello rilevandone peraltro anche l’inammissibilità ai sensi dell’art. 342 c.p.c. Per quel che è ancora qui di interesse; la Corte territoriale ha ritenuto che l’appellante non avesse impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alla mancata conclusione di un contratto tra le parti, sussistendo la disponibilità della banca ma mancando una convergenza su uno stesso testo, oltre che in ogni caso la forma scritta della pretesa transazione e che, conseguentemente, sul punto si era formato il giudicato. La relativa preclusione valeva anche con riferimento all’inadempimento della banca in relazione all’assenso alle vendite dei cespiti, posto che il corrispondente accordo non poteva ritenersi perfezionato per fatti concludenti.

4. Avverso la sentenza la società Eredi D.B. Fioravante sas di F.D.B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.

Ha resistito la Primacassa – Credito Cooperativo FVG con controricorso.

Il ricorso è stato, assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso – nullità della sentenza per violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la società ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’appello fosse privo dell’indicazione delle parti del provvedimento impugnato e delle modifiche richieste, e nella parte in cui ha statuito essersi formato il giudicato sul capo della sentenza di primo grado relativo al mancato raggiungimento di un accordo.

1.1 Il motivo è inammissibile, perché non rispettoso dei requisiti di autosufficienza del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c. Nel rappresentare, infatti, che l’atto di appello, contrariamente a quanto affermato dalla impugnata sentenza, conteneva la specifica impugnazione del capo della sentenza di primo grado che aveva escluso l’avvenuto raggiungimento di un qualsivoglia accordo, il ricorrente avrebbe dovuto riportare il contenuto della sentenza di primo grado, i motivi di appello e il tenore della sentenza impugnata)correlando le censure alla pretese omesse statuizioni, cosa che non ha fattoicosì incorrendo nella violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la sentenza con riguardo all’affermazione secondo la quale sul punto del mancato raggiungimento di un accordo tra le parti si sarebbe formato il giudicato. La ricorrente ipotizza che, pur a voler ammettere che mancasse un accordo a saldo e stralcio di ogni pretesa, la sentenza impugnata meriterebbe di essere cassata là dove ha ritenuto formato il giudicato sulla mancanza del distinto e propedeutico accordo in forza del quale l’istituto prestava il proprio consenso alle vendite dei cespiti con contestuale restrizione delle ipoteche, ottenendo di incamerare il prezzo a deconto del dovuto.

3. Con il terzo motivo – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1322 e 1372 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la sentenza con riguardo alla parte che ha negato l’autonoma rilevanza all’accordo volto a consentire lo smobilizzo dei cespiti ipotecati senza valutare che modifiche di detto accordo avrebbero potuto essere apportate solo con il consenso di entrambe le parti e non anche con una unilaterale interruzione da parte della banca delle operazioni di smobilizzo. La sentenza avrebbe violato l’art. 1322 c.c. e al contempo l’art. 1372 c.c. omettendo di rilevare che le parti avrebbero potuto porre nel nulla l’accordo solo con il consenso di entrambe.

2-3 I motivi sono inammissibili, in quanto connessi e consequenziali rispetto al primo motivo e al pari del primo, volti a censurare la stessa ratio decidendi della avvenuta formazione del giudicato sul punto del mancato accertamento di un accordo. A seguito della dichiarazione di inammissibilità del primo motivo, rispetto al quale il secondo ed il terzo sono conseguenziali, ne deriva l’inammissibilità dei medesimi, i quali, peraltro, neppure osservano i criteri di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

4. Con il quarto motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 1967 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la sentenza con riguardo all’inciso secondo il quale la transazione che si pretende intervenuta tra le parti mancherebbe della forma scritta ad probationem ai sensi dell’art. 1967 c.c.

4.1 Il motivo è inammissibile, in quanto l’inciso menzionato si riferisce alla sentenza di primo grado e non è anche ratio decidendi della sentenza impugnata.

5. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2021

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