LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 20513 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
VerdEuropa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.to Maurizio Benincasa, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, Viale di Villa Massimo 33;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, n. 920/39/2015, depositata il 17 febbraio 2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10 novembre 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 920/39/2015, depositata il 17 febbraio 2015, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, accoglieva l’appello proposto da VerdEuropa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 521/03/2011 della Commissione tributaria provinciale di Latina che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., aveva recuperato a tassazione, per l’anno 2006, costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap, e detratti ai fini Iva, in relazione a fatture emesse da “Soc. Coop. Eura 2000 s.r.l.” e dalla “Europa 3000 s.r.l.” ritenute prive degli elementi essenziali previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in quanto mancanti della specificazione della qualità, quantità e luogo delle prestazioni di servizi rese;
– la CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) le fatture in questione riportavano i dati relativi al “servizio di accantonamento e incestamento di prodotti ortofrutticoli”, essendo state emesse in esecuzione di contratti di appalto per i servizi di “facchinaggio e movimentazione di prodotti ortofrutticoli” stipulati dalla contribuente con le società “Coop. Eura 2000 s.r.l.” e “Europa 3000 s.r.l.”; 2) atteso che le prestazioni rese dall’appaltatore costituivano adempimento di una “obbligazione di risultato” e non di una “obbligazione di mezzi”, le relative fatture dovevano fornire, come nella specie, riscontro della “natura del servizio reso” e non dei mezzi impiegati a tale scopo, per cui era esorbitante la pretesa dell’Agenzia di necessaria indicazione in esse dei “fogli di presenza, nominativi dei soggetti che avevano effettuato le prestazioni, ore lavorate etc.” con conseguente conformità delle medesime al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente;
– il ricorso è stato fissato in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 109TUIR, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento ancorché le fatture in questione emesse “per servizio di accantonamento e incestamento di prodotti ortofrutticoli” fossero prive degli elementi essenziali di cui al citato art. 21 (circa l’indicazione della qualità, quantità e luogo delle prestazioni) non potendo tale carenza essere, peraltro, colmata attraverso il riferimento ai contratti di appalto stipulati con le società fatturanti, non recando questi ultimi- come eccepito negli atti difensivi dei gradi di merito dall’Agenzia- l’indicazione né della data certa, né del compenso, delle modalità e quantità delle prestazioni pattuite; in particolare, ad avviso dell’Ufficio, l’omessa indicazione nelle fatture dei dati prescritti dal citato art. 21, aveva integrato il requisito delle “gravi irregolarità” legittimanti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, il ricorso all’accertamento induttivo del reddito imponibile;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la CTR, limitandosi a ponderare la regolarità dei contratti di appalto ai quali si riferivano le fatture, omesso di considerare la mancata indicazione nei detti contratti- come eccepito dall’Ufficio nei gradi di merito-di data certa, del compenso, delle modalità e delle quantità delle prestazioni pattuite, con conseguente difformità delle fatture dalle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21;
– il primo motivo è fondato;
– priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, palesandosi quest’ultimo autosufficiente in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce le ragioni a sostegno dello stesso, con espressa menzione degli atti processuali su cui si fonda;
– la fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa purché sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto previsti dal D.P.R 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, sicché l’omessa indicazione nelle fatture dei dati prescritti dal citato art. 21, integra un comportamento del contribuente soggetto a sanzione – Cass. n. 219801 del 2015 – che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, legittima il ricorso all’accertamento induttivo del reddito imponibile (Cass. n. 21446 del 2014; Cass. n. 5748 del 2010; Cass. n. 9108 del 2012; Cass. n. 24426 del 2013) dovendosi peraltro aggiungere che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata” (cfr. Cass., n. 8333 del 2012 e Cass. n. 19258 del 2005);
– inoltre, premesso che questa Corte ha stabilito che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018). In tema di Iva, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (Dir. n. 112 del 2006, art. 226, punto 6, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. Senz’altro, ha aggiunto la Corte, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla Dir. n. 112 del 2006, art. 219, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta (Cass., sez. 5, n. 30350 del 23/11/2018, Cass. n. 12065/2016, tra le stesse parti); la Corte di giustizia ha altresì ribadito, da ultimo, nella sentenza del 9 settembre 2021, causa C-294/20, GE Auto Service Leasing GmbH c. Tribuna/ Economico Administrativo Central” che le disposizioni della sesta direttiva IVA non ostano a una normativa nazionale in base alla quale il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato ai soggetti passivi in possesso di fatture incomplete, persino qualora tali fatture siano integrate dalla produzione di elementi destinati a provare la reale esistenza, la natura e l’importo delle operazioni fatturate dopo che l’amministrazione tributaria ha adottato una decisione di diniego del diritto a detrazione (sentenza dell’8 maggio 2013, Petroma Transports e altri, C-271/12, EU:C:2013:297, punti da 34 a 36). Ciò premesso, queste stesse disposizioni non vietano nemmeno agli Stati membri di accettare la rettifica di una fattura incompleta dopo che l’amministrazione tributaria ha adottato una siffatta decisione di diniego (sentenza del 14 febbraio 2019, Nestrade, C-562/17, EU:C:2019:115, punto 33)” (punto 57);
– si è pure chiarito che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i requisiti di effettività, inerenza, certezza, determinatezza (o determinabilità) e competenza (Cass. n. 10167 del 2012; Cass. n. 3258, Cass. n. 12503 e Cass. n. 24429 del 2013; Cass. n. 1565, Cass. n. 13806 e Cass. n. 21184 del 2014; Cass. n. 426, Cass. n. 1011 e Cass. n. 7214 del 2015; Cass. n. 13252 del 2015). Spetta altresì al contribuente l’onere di provare detti requisiti. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa-cfr. Cass. n. 21184 del 08/10/2014;
– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio della non effettività delle operazioni sottese alle fatture non redatte in conformità ai requisiti prescritti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21 (per genericità della dicitura di “servizio di accantonamento e incestamento di prodotti ortofrutticoli” in esse contenuta) – ha ritenuto i relativi costi, deducibili ai fini delle imposte dirette e detraibili ai fini Iva, limitandosi a ponderare la regolarità dei contratti di appalto, cui si riferivano le fatture, senza verificare la concreta idoneità degli stessi ad integrare il contenuto delle fatture, con riguardo – come eccepito dall’Ufficio negli atti difensivi dei gradi di merito – alla specificazione dei corrispettivi, qualità e quantità dei servizi formanti oggetto delle operazioni, in ossequio alla prescrizione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21;
– l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo, con assorbimento dello stesso;
– in conclusione, va accolto il primo motivo, assorbito il secondo; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2021
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