Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.37830 del 01/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. FOTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1897/2017 proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’Avv. STEFANO CARBONI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. FILIPPO GARGALLO di CASTELLENTINI, in ROMA, Via ORIOLO ROMANO 69;

– ricorrente –

contro

COMUNE di ALGHERO, in persona del Sindaco pro tempore, legale rappresentante Dott. B.M., rappresentato e difeso dall’Avv. RAFFAELE SALVATORE, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ALGHERO, Via NUORO 8;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 241/2016, della CORTE d’APPELLO di Cagliari –

sezione distaccata di SASSARI, del 20.05.2016;

nonché avverso la sentenza n. 50/2013 del Tribunale di SASSARI –

sezione distaccata di ALGHERO così come modificata dal decreto 27.06.2013 e dalla ordinanza del 6.03.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 50/2013 il Tribunale di Sassari, sezione distaccata di Alghero, dichiarava P.A. proprietario esclusivo per intervenuta usucapione del terreno sito in *****, distinto in catasto al foglio ***** mappali ***** (ex foglio *****, mapp. *****).

Con decreto del 27.6.2013, il medesimo Tribunale correggeva la predetta sentenza sostituendo in parte espositiva l’indicazione del terreno “foglio *****, mappali *****” con quella di “foglio 50, mapp. 260” e nel dispositivo l’indicazione del terreno “in catasto al foglio 50 mappale ***** (ex foglio *****, mapp. *****)” con quella di “foglio 50, mapp. 260 (ex foglio *****, mapp. *****)”.

Con successiva ordinanza del 6.3.2015, ancora il Tribunale di Sassari disponeva ulteriore correzione in motivazione e in dispositivo della sentenza n. 50/2013, nel senso che il P. era divenuto proprietario per intervenuta usucapione del terreno sito in *****, distinto in catasto al “foglio ***** mappale ***** parte e precisamente l’area costituita dall’immobile e dalla porzione di terreno di mq. 16.000 e precisamente confinante a Sud-Ovest con zona parcheggi, a Nord-Ovest con mappale *****, a Nord-Est con Via ***** e a Sud-Est con Via *****”.

Avverso tale correzione proponeva appello il P. chiedendo la conferma della sentenza n. 50/2013, così come già emendata su concorde richiesta delle parti in data 27.6.2013. Per l’appellante la seconda correzione di errore materiale doveva essere dichiarata illegittima, invalida, inammissibile ed erronea in quanto il Tribunale: 1) aveva illegittimamente corretto la sentenza, irrevocabile, n. 50/2013 in forza di successiva sentenza n. 631/2014; 2) aveva ritenuto ammissibile il procedimento ex art. 287 c.p.c., in assenza dei relativi presupposti; 3) aveva ritenuto ammissibile una seconda istanza di correzione dell’errore materiale in contrasto con la previsione normativa di proposizione di un’unica istanza, né aveva tenuto conto che il COMUNE DI ALGHERO aveva prestato acquiescenza alla sentenza così come corretta con decreto a seguito di ricorso congiunto; 4) aveva violato l’art. 288 c.p.c., u.c., che consente l’impugnazione delle sentenze corrette entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza di correzione, termine decorso al momento della proposizione del secondo ricorso per correzione di errore materiale; 5) non aveva tenuto conto che l’appellante non aveva accettato il contraddittorio sul tardivo giudizio di appello introdotto dal Comune con la nuova istanza.

Con sentenza n. 241/2016, del 20.5.2016, la Corte d’Appello di Sassari dichiarava inammissibile l’appello avverso l’ordinanza del 6.3.2015 di correzione di errore materiale della sentenza n. 50/2013 e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

La Corte territoriale riteneva che l’appellante non avesse impugnato la sentenza n. 50/2013 ulteriormente corretta.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.A. sulla base di 2 motivi. Resiste il Comune di Alghero con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 101 c.p.c., comma 2, art. 287 c.p.c. e art. 288 c.p.c., comma 3 e u.c.c; dell’art. 214 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si rileva che con l’ordinanza dell’8.4.2016 la Corte d’Appello riteneva la causa matura per la decisione e rinviava, per la decisione ex art. 281 sexies c.p.c., all’udienza del 20.5.2016. Tale decisione avrebbe violato l’art. 101 c.p.c., comma 2, in quanto la Corte avrebbe dovuto evidenziare, nella suddetta ordinanza, la questione relativa alla pretesa inammissibilità dell’appello e concedere termini per il deposito di memorie difensive. Osserva il ricorrente che il Tribunale, in data 8.4.2015, comunicava, a mezzo fax, un provvedimento denominato “sentenza n. 631/2014” con cui era disposta la correzione della sentenza n. 50/2013: tale statuizione non costituisce un’ordinanza di correzione di errore materiale, ma una nuova e diversa pronuncia rispetto alla sentenza n. 50/2013, divenuta irrevocabile in data 1.12.2014. La pronuncia n. 631/2014 inciderebbe in maniera determinante nel merito della sentenza n. 50/2013; dall’atto d’appello risulta che il P. aveva impugnato la correzione di errore materiale, inerente alla sentenza n. 50/2013, denominata sentenza n. 631/2014, unitamente agli atti antecedenti e correlati e cioè, evidentemente, anche la sentenza n. 50/2013, così come corretta con il suddetto provvedimento abnorme. L’appellante, nel richiedere la conferma della sentenza n. 50/2013 prima della seconda emendazione, è evidente che impugnasse, assieme al provvedimento abnorme definito sentenza n. 631/2014, anche la precedente sentenza così come modificata. La Corte d’Appello, pur riconoscendo che il provvedimento di correzione fosse anomalo e che l’appellante avesse richiesto la conferma della sentenza n. 50/2013, ha errato nel ritenere che l’appello fosse inammissibile, poiché si trattava di un provvedimento decisorio indipendente dalla sentenza n. 50/2013 passata in giudicato. La sentenza impugnata violerebbe anche l’art. 287 c.p.c., poiché la norma prevede che sia lo stesso Giudice che ha emesso la sentenza a rivedere i meri errori compiuti (mentre nel caso di specie il Giudice era diverso). Si trattava dunque di una nuova valutazione del merito con esame di ulteriori e nuovi documenti, prodotti tardivamente dalla controparte, per cui la pretesa correzione dell’errore materiale fu determinata non da atti endoprocessuali, ma da atti extraprocessuali, di cui fa menzione la sentenza n. 631/2014. Nella fattispecie, il Comune aveva ottenuto un’illegittima e inammissibile modifica attinente al merito della decisione precedentemente assunta. Infine, risultava violato l’art. 288 c.p.c., non potendosi giungere a una nuova richiesta di correzione di errore materiale essendo decorso il termine di 30 giorni.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – La Suprema corte ha affermato, che in tema di procedimento di correzione di errori materiali, l’art. 288 c.p.c., nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, appresta uno specifico mezzo di impugnazione, che esclude l’impugnabilità per altra via del provvedimento a lume del disposto dell’art. 177 c.p.c., comma 3, n. 3, a tenore del quale non sono modificabili né revocabili le ordinanze per le quali la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo. Pertanto, il principio di assoluta inimpugnabilità di tale ordinanza, neppure col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., vale anche per l’ordinanza di rigetto, in quanto il provvedimento comunque reso sull’istanza di correzione di una sentenza all’esito del procedimento regolato dall’art. 288 c.p.c., è sempre privo di natura decisoria, costituendo mera determinazione di natura amministrativa non incidente sui diritti sostanziali e processuali delle parti, in quanto funzionale all’eventuale eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo che non può in alcun modo toccare il contenuto concettuale della decisione. Per questa ragione resta impugnabile, con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo la sentenza corretta, proprio al fine di verificare se, merce’ il surrettizio ricorso al procedimento in esame, sia stato in realtà violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione sia stata utilizzata per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio (Cass. n. 16205 del 2013; conf. Cass. n. 5733 del 2019; Cass. n. 20309 del 2019).

1.3. – Ne consegue, pertanto, che L’art. 288 c.p.c., comma 4, nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l’errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un’eventuale correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione (Cass. n. 22185 del 2014).

Il termine per l’impugnazione di una sentenza di cui è stata chiesta la correzione decorre dalla notificazione della relativa ordinanza, ex art. 288 c.p.c., u.c., se con essa sono svelati errores in iudicando o in procedendo, evidenziati solo dal procedimento correttivo, oppure l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato ovvero, quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; diversamente, l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione (Cass. n. 8863 del 201).

1.4. – Di conseguenza, l’ordinanza di correzione di errore materiale non è autonomamente impugnabile neanche con ricorso ex art. 111 Cost., essendo l’impugnazione consentita solo a tutela dei diritti nascenti dalla parte corretta attraverso la verifica della legittimità degli effetti sostanziali della disposta correzione. Ne consegue che la denuncia di eventuali vizi di formazione dell’ordinanza di correzione che non coinvolgano anche il merito sostanziale del provvedimento determinano l’inammissibilità dell’impugnazione, potendo essere formulate esclusivamente censure che riguardino o la verifica dell’ammissibilità del procedimento di correzione o la fondatezza del merito del provvedimento correttivo (Cass. n. 9425 del 2011).

2.2. – La Corte d’appello ha correttamente fatto applicazione dei principi enunciati dal giudice di legittimità (laddove peraltro si richiama altresì il principio secondo cui la previsione di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2, non si applica alle questioni di esclusiva rilevanza processuale (Cass. n. 19372 del 2015; Cass. n. 11453 del 2014).

Le censure del ricorrente risultano allora eterogenee e rapsodiche, contraddistinte piuttosto dall’evidente scopo di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo nella sostanza al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dalli art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, attribuendo al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4 e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Illegittima e ingiusta sarebbe la statuizione relativa alla liquidazione delle spese legali in quanto la causa, a seguito dello scioglimento della riserva sull’ammissibilità del gravame, fu chiamata a un’unica udienza e decisa ex art. 281 sexies c.p.c., senza concessione di un termine per deposito di memorie.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione (Cass. n. 19613 del 2017; Cass. n. 22872 del 2018).

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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