LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17687-2020 proposto da:
C.A., sia in proprio che in qualità di già socio accomandatario della società OKAY BABY SAS, oggi CIGNO D’ARGENTO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO, 58, presso lo studio dell’avvocato STEFANO BRUSTIA, rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE FRANZOSI, MARIO MONTEVERDE;
– ricorrente –
contro
I.T.L. – ISPETTIORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI ***** –
*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1670/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 1670/2019, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Verbania che aveva rigettato l’opposizione a ordinanza-ingiunzione, emessa dal competente Ispettorato Territoriale del Lavoro, proposta da C.A., in proprio e nella qualità di socio di OKAY BABY sas, con la quale gli era stato intimato il pagamento di Euro 44.616,00 per la riqualificazione, come lavoro subordinato, di prestazioni lavorative discendenti da contratti di associazione in partecipazione e lettere di incarico L. n. 623 del 2003, ex art. 44.
2. I giudici di seconde cure, premesso che l’ordinanza impugnata si fondava su un verbale di accertamento del 30.7.2012, hanno evidenziato che dalla esperita istruttoria era emersa la insussistenza degli elementi che connotano il contratto di associazione in partecipazione e la presenza, di contro, degli indici caratterizzanti la natura subordinata dei rapporti di lavoro delle dipendenti, in quanto era ravvisabile il loro assoggettamento al potere direttivo del C.; hanno, poi, sottolineato che alcun valido motivo di impugnazione era stato svolto rispetto alla statuizione della pronuncia del Tribunale che aveva respinto la richiesta di rideterminazione delle sanzioni.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione C.A., in proprio e nella qualità di già socio accomandatario della OKAY BABY sas, affidato a tre motivi, cui ha resistito l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di *****.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con specifico riferimento agli artt. 2697 e 115 c.p.c., rispetto ai rapporti di associazione in partecipazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di appello operato una non corretta ed indebita inversione dell’onere della prova che incombeva sulla PA in ordine alla dimostrazione delle ragioni, sia in fatto che in diritto, poste a fondamento della pretesa sanzionatoria.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4, e all’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento al terzo motivo di appello, relativo alla individuazione dei rapporti di lavoro costituiti da specifiche lettere di incarico, per avere la Corte territoriale respinto la doglianza, senza una specifica motivazione, in considerazione della accertata natura subordinata dei rapporti stessi.
4. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 2697 c.c., e con riguardo al quantum irrogato a titolo di sanzione.
5. Il primo motivo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente perché interferenti, sono inammissibili.
6. Invero, le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519 del 2019) che, con motivazione giuridicamente corretta e congrua, è giunta alla individuazione degli elementi della subordinazione, che sono stati, in pratica, giustamente riscontrati nell’assoggettamento delle dipendenti al potere direttivo del C. e nella presenza degli indici sintomatici costituiti dall’orario di lavoro predeterminato, dallo stabile inserimento nella organizzazione aziendale, nella totale assenza del rischio di impresa: requisiti che consentono di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 c.c., da altre forme di lavoro autonomo (in ordine ai principi di diritto, cfr. Cass. n. 13858 del 2009; Cass. n. 5645 del 2009).
7. Inammissibile è pure la asserita violazione dell’art. 2697 c.c., che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 17313 del 2020).
8. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
9. Inoltre, deve osservarsi che il vizio di motivazione può essere, infatti, censurato in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente ovvero manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018).
10. Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale, con sintetica ma esauriente motivazione, ha dato atto che il profilo formale delle lettere di incarico, a fronte dell’accertata natura subordinata dei rapporti di lavoro in concreto, non poteva spiegare alcun effetto.
11. Va sottolineato, al riguardo, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
12. Infine, anche il terzo motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della impugnata sentenza che, in ordine al quantum delle sanzioni, ha specificato che alcuna valida doglianza era stata formulata in ordine alla statuizione del primo giudice, senza entrare nel merito di una asserita rideterminazione.
13. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
14. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021
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