Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.38357 del 03/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3863-2017 proposto da:

M.P., W.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 68, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GAGLIARDINI, rappresentati e difesi dall’avvocato TARCISIO GIAMPIERI;

– ricorrenti –

contro

L.S., L.P., L.M.G., L.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo studio dell’avvocato MARCO CLAUDIO RAMAZZOTTI, rappresentati e difesi dagli avvocati PAOLA MORBIDUCCI, FRANCO MORBIDUCCI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1515/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 30/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/09/2021 dal Consigliere SCARPA ANTONIO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.P. ed A.W. (già A.E.) hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 1515/2016 della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 30 novembre 2016.

Resistono con controricorso L.M.G., L.M., L.P. e L.S..

Con la sentenza n. 817/2010 del 17 maggio 2010 il Tribunale di Ancona – sezione distaccata di Jesi, accogliendo la domanda proposta da L.M.G., Giancarlo Lucarini, L.M., L.P., L.P. e L.S., dichiarò l’inefficacia del testamento olografo del 10 luglio 2010 di L.L., che aveva istituito eredi M.P. ed A.E., ed affermò che l’eredità doveva essere perciò devoluta agli attori secondo le regole sulla successione legittima. Il Tribunale ritenne che l’onere di provare l’autenticità del testamento incombesse sui soggetti ivi indicati come eredi.

La Corte d’appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado. Facendo applicazione del principio affermato da Cass. Sez. Unite 15 giugno 2015/06/2015, n. 12307, la sentenza impugnata ha sostenuto che grava sulla parte che contesti l’autenticità del testamento olografo l’onere della prova della correlata domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura; ha quindi escluso che fosse stata data prova dagli attori che il testamento non era stato scritto di pugno dal testatore; ha peraltro accolto la domanda in via subordinata di annullamento del testamento, riproposta dagli appellati, per incapacità naturale del testatore L.L., alla luce della documentazione medica prodotta, che attestava come lo stesso alla data del 9 luglio 2004, allorché aveva 84 anni, era in pericolo di vita per neoplasia del retto con metastasi e diabete mellito di tipo 2 scompensato, nonché turbe amnesiche. I giudici di secondo grado hanno dato rilievo altresì ai documenti allegati dagli attori, da cui risultavano prelievi bancari in contanti e tramite assegni di notevole importo, non giustificati dalle esigenze del titolare del conto.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1, c.p.c..

Le parti hanno depositato memorie.

1. Il primo motivo di ricorso di M.P. ed A.W. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello annullato il testamento per cui è causa ex art. 591 c.c., nonostante gli attori in primo grado avessero domandato l’accertamento della nullità ex art. 1418 c.c. o l’annullamento ex artt. 1427 ss. c.c..

Anche il secondo motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello omesso di pronunciare sulle domande di nullità ex art. 1418 c.c. o di annullamento ex artt. 1427 ss. c.c. spiegate dagli originari attori.

Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1418 e 1427 ss. c.c., avendo la Corte d’appello interpretato tali norme come “funzionali alla fattispecie dell’art. 591 c.c.”, mai invocata dagli attori; non sussistendo i presupposti per la dichiarazione di nullità ex art. 1418 c.c. o per l’annullamento ex artt. 1427 ss. c.c., la Corte d’appello doveva limitarsi a respingere tali domande.

1.1.1 primi tre motivi di ricorso, in quanto connessi, vanno esaminati congiuntamente e sono del tutto infondati.

Gli attori avevano dedotto in citazione che il testatore L.L., alla data della redazione del testamento olografo per cui è causa, un mese prima della sua morte, non avesse intenzione, libera e consapevole, di lasciare le sue sostanze a M.P. ed A.E., viste le gravi infermità da cui era affetto, ed avevano perciò chiesto di dichiarare nullo o annullabile l’atto, invocando gli artt. 1418 e 1427 e ss. c.c..

Deve allora affermarsi che non incorre nel difetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., il giudice che, in presenza di una domanda in cui, come nella specie, si deduce l’invalidità di un testamento olografo per incapacità naturale del testatore al momento della sua formazione, dichiari annullabile l’atto ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 1, n. 3, avendo il giudice il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di ricercare, nonché di individuare ed applicare la norma astratta adatta al caso concreto, ed incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti. Ne’ incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accolga una delle domande alternative o subordinate di nullità o di annullabilità proposte dall’attore, in quanto il rapporto di alternatività e di subordinazione tra esse esistente non esclude che ciascuna rientri nel “petitum” (arg. da Cass. Sez. 2, 29/10/2018, n. 27414; Cass. Sez. 2, 25/05/2012, n. 8366; Cass. Sez. 2, 21/02/2019, n. 5153; Cass. Sez. 2, 12/07/2005, n. 14552; Cass. Sez. 2, 21/05/2013, n. 12473).

2. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 591 c.c., in quanto non ricorreva alcuna delle ipotesi legali che escludono la capacità di testare, né vi era prova che L.L. si trovasse in condizioni di incapacità al momento della redazione del testamento.

Il quinto motivo allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., non avendo gli attori assolto all’onere di dimostrare l’incapacità del testatore ed avendo la Corte d’appello ritenuto lo stesso privo della capacità di intendere e di volere sulla base di asserite patologie, dell’età e dei numerosi prelievi effettuati dal conto corrente.

2.1. Il quarto ed il quinto motivo possono essere decisi congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano parimenti infondati.

Secondo costante interpretazione giurisprudenziale, l’incapacità naturale del disponente, la quale, ai sensi dell’art. 591 c.c., determina l’invalidità del testamento, richiede che, al momento della redazione del testamento, il soggetto, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, sia privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi (Cass. Sez. 2, 27/10/2008, n. 2584; Cass. Sez. 2, 30/01/2003, n. 1444; Cass. Sez. 2, 06/12/2001, 15480). In dottrina viene criticato per il suo eccessivo rigore il più risalente orientamento giurisprudenziale che considerava necessario per l’annullamento del testamento un assoluto difetto di coscienza del testatore, evidenziando il diffondersi di malattie senili che, pur non determinando una situazione di totale incapacità della persona, causano abitualmente menomazioni psichiche e riduzioni di capacità, con conseguenti debolezze decisionali ed affievolimenti della “consapevolezza affettiva”, per cui il disponente può decidere di attribuire i propri beni in modo diverso da come avrebbe fatto in assenza di malattia, sovente subendo, in particolare, l’influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorrono la maggior parte delle loro giornate. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso di M.P. ed A.W. sono entrambi volti a contestare l’accertamento, operato dalla Corte d’appello di Ancona, circa la sussistenza della condizione di incapacità di intendere e di volere di L.L. al momento della redazione del testamento olografo del 10 luglio 2004. Tuttavia, la prova che il de cuius, a causa di una malattia o di altra causa perturbatrice, fosse privo della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione dell’atto di ultima volontà può essere acquisita con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità. L’apprezzamento di tale prova costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità se, come nel caso della sentenza della Corte d’appello di Ancona, sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto. La Corte di Ancona, nell’ambito di tale apprezzamento delle emergenze istruttorie, istituzionalmente devoluto al giudice del merito, ha evidenziato come la documentazione medica prodotta attestasse che L.L., alla data del 9 luglio del 2004, era in pericolo di vita, giacché affetto da neoplasia del retto con metastasi e diabete mellito di tipo 2 scompensato, nonché turbe amnesiche. I giudici di secondo grado hanno dato rilievo altresì all’età del testatore, che aveva 84 anni, ed ai documentati prelievi bancari di notevole importo, non giustificati dalle esigenze del titolare del conto. Ora, la deduzione con il ricorso per cassazione di vizi relativi alla violazione di norme di diritto (artt. 591 e 2697 c.c.) non conferisce certamente al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio. La valutazione delle prove, la scelta di opportunità di fare ricorso a presunzioni e la selezione, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione, involgono tutti, a norma dell’art. 116 c.p.c., apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando i dati che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo di questa Corte alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova.

I ricorrenti, senza neppure dedurre specificamente l’omesso esame circa un “fatto”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, richiamano una consulenza tecnica svolta in un giudizio di inabilitazione e lamentano la mancata acquisizione del relativo fascicolo, benché più volte richiesta.

Il giudice di merito può certamente utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, sempre che ritualmente prodotte ed offerte al contraddittorio, e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata. Se le risultanze istruttorie di tale diverso giudizio si trovano raccolte nel relativo fascicolo di ufficio, per essere prese in considerazione risulta sufficiente l’istanza della parte interessata e la conseguente acquisizione del suddetto fascicolo d’ufficio agli atti del giudizio (Cass. Sez. 3, 04/08/2005, n. 16372). Tale facoltà giudiziale di disporre l’acquisizione del fascicolo del diverso giudizio, dovendo coordinarsi con le regole ordinarie dell’onere di allegazione e di prova a carico delle parti, va rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione. Il quinto motivo di ricorso genericamente espone che tale CTU espletata nel giudizio di inabilitazione avesse accertato la “piena capacità del L.”, ma si tratta evidentemente di deduzione che non mina l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto svolto dai giudici di appello e che perciò non consente di ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui essi sono pervenuti.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore dei controricorrenti.

Va negata la domanda di condanna ex art. 385 c.p.c., comma 4, (norma applicabile ratione temporis), giacché il ricorso non può dirsi proposto con colpa grave, ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire coscienza della sua integrale infondatezza.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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