LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6760/2015 proposto da:
Consorzio Quarto Pozzuoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via U. Boccioni n. 4, presso lo studio dell’avvocato Antonino Smiroldo, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bruno Cimadomo, e Nicola Rascio, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Consorzio Quarto Pozzuoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via U. Boccioni n. 4, presso lo studio dell’avvocato Antonino Smiroldo, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bruno Cimadomo e Nicola Rascio, giusta procura a margine del ricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza 719/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2020 dal Cons. Dott. Marco Marulli.
FATTI DI CAUSA
1.1. Con tre successive e distinte sentenze, riportanti i numeri 719/2014, 4932/2015 e 5704/2016, la Corte d’Appello di Roma ha provveduto a definire il contenzioso insorto tra il Consorzio Quarto Pozzuoli e l’ANAS s.p.a. in merito alle pretese in punto di danni da sospensione illegittima e di credito per interessi sorte in favore del primo a seguito della convenzione con cui nel ***** il Consorzio aveva ottenuto l’affidamento in concessione della progettazione ed esecuzione di vari lavori nelle aree colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981.
1.2. In dettaglio, con la prima sentenza (719/2014), pronunciando in via non definitiva, la Corte decidente, ha accolto l’appello di ANAS in ordine alla prima pretesa (danni da sospensione illegittima) ed ha perciò riformato la contraria decisione di primo grado sull’assunto che nella specie si era trattato non già di sospensione dei lavori, ma “di sospensione del contratto ampiamente accettata senza alcuna riserva dal concessionario”. Stante, per vero, la previsione contenuta nell’art. 8 dell’atto aggiuntivo 52/1985 secondo cui in caso di mancata copertura finanziaria sarebbero stati riconosciuti al concessionario solo le spese di progettazione e gli oneri di esproprio, la postilla n. 2 dell’atto aggiuntivo 1647/91 giusta la quale si dava atto dell’invito a sospendere i lavori per le opere aventi un tasso di realizzazione al di sotto del 50%, l’accettazione al riguardo esternata dal concessionario ed ancora l’avvenuta ripresa dei lavori in data 23.11.1993 senza riserve da parte di questo, il decidente si è detto convinto che “la c.d. sospensione, in realtà lungi dall’operare sui lavori già iniziati si sia risolta in una concorde sospensione dell’efficacia (esecuzione) dei contratti” e che, tenuto conto dell’accettazione del concessionario, si sia perciò resa configurabile “una “sospensione concordata”, meglio una moratoria pattizia circa l’inizio dei lavori, che non può essere identificata come sospensione illegittima”.
1.3. Pari accoglimento l’appello di ANAS ha riscosso anche in relazione alla seconda pretesa (crediti per interessi da ritardato pagamento e da ritardato rimborso dell’indennità di esproprio), poichè, sebbene l’eccezione circa l’intervenuta rinuncia ad essi da parte del concessionario debba ritenersi inammissibile per tardività essendo stata rassegnata solo nella comparsa conclusionale, nondimeno è provato, ad avviso del decidente, che “gli interessi siano stati calcolati erroneamente a decorrere dalla scadenza del termine fissato per l’emissione del certificato di pagamento” di contro alla previsione convenzionale (art. 23) che ne regola la decorrenza a far tempo dal trentesimo giorno della presentazione della fattura; così come è provato, in punto di anatocismo, che pur applicandosi la L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4 tuttavia “non vi è alcun margine per ritenere che gli interessi possano essere riconosciuti produttivi di interessi prima della domanda giudiziale relativamente ex art. 1283 c.c., sicuramente non potendosi interpretare così la norma indicata”.
1.4. La Corte territoriale ha invece respinto il proposto gravame in punto di interessi anatocistici sulle somme da rimborsarsi a titolo di indennità d’esproprio poichè “non risulta che tale anatocismo sia stato applicato e pertanto il relativo motivo di appello è incomprensibile ed è nullo”; ed in punto di inclusione nella CTU di 32 fatture non pertinenti ad ANAS, non essendo invero “chiaro il riferimento dell’appello a “fatture relative a rimborsi di opere non di competenza ANAS””.
Ha, inoltre, giudicato assorbito l’appello incidentale del Consorzio ritenendo che “i motivi siano completamente interferenti con quelli ex adverso proposti e, in buona sostanza, siano stati esaminati”.
1.5. Con la seconda sentenza (4932/2015), pronunciando ancora in via non definitiva, la Corte decidente ha chiarito, in replica all’obiezione secondo cui in base alla L. n. 741 del 1981, art. 4 gli interessi da ritardo dovevano essere capitalizzati in occasione del pagamento immediatamente successivo, che la regola in parola deve essere interpretata nel senso di “impedire la invalidazione quanto meno degli accordi che recepiscono una esecuzione della stessa in termini di pieno anatocismo svincolata dall’art. 1283 c.c.”, sicchè essa deve essere intesa “siccome esonerante il creditore da qualsiasi necessità di costituzione in mora per il riconoscimento in caso di ritardo nei pagamenti degli interessi “; e ciò non senza aggiungere che nel caso specifico il Presidente della Giunta regionale della Campania n. 43 del 10.5.1982 “aveva espressamente escluso” l’applicabilità alle concessioni concernenti le opere in questione della L. n. 741 del 1981, art. 4. In replica, ancora, all’obiezione secondo cui in base all’art. 1194 c.c. i pagamenti parziali dovevano essere imputati prima agli interessi e poi al capitale, la Corte ha inoltre precisato “che i pagamenti non erano avvenuti in conto maggior debito, ma erano direttamente riferiti ai singoli mandati”, che constava “il consenso da parte del creditore Consorzio con riguardo al pagamento riferito non agli interessi, ma al solo capitale” e che la regola di imputazione di cui all’art. 1194 c.c. “vale con riguardo agli interessi maturati sul credito capitale corrente, non con riguardo all’ipotesi in cui gli interessi richiesti non si riferiscano al credito capitale contestualmente pure richiesto con tali interessi”.
1.6. Con la terza sentenza (5704/2016) la Corte decidente, pronunciando in via definitiva, ha proceduto alla liquidazione degli interessi anatocistici e delle spese di lite.
1.7. Con altra sentenza, riportante il n. 5328/2019 la medesima Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, della richiamata sentenza 719/2014 proposta dal Consorzio Quarto Pozzuoli in merito all’interpretazione resa da questa in ordine alla decorrenza degli interessi (art. 23 della convenzione 9/81) sull’assunto che “l’interpretazione della normativa era controversa fra le parti e la Corte d’Appello ha aderito all’interpretazione dell’Anas” e che “in ogni caso, anche a prescindere dalle contestazioni, in linea di principio, non è configurabile l’errore revocatorio allorchè si denunciano vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico”.
1.8. Avverso la richiamata sentenza 719/2014 entrambe le parti hanno formalizzato ricorso a questa Corte iscritto al RG 6760/2015, in via principale, il Consorzio sulla base di dieci motivi ed, in via incidentale, ANAS sulla base di quattro motivi.
Analoga iniziativa il Consorzio ha dispiegato avverso le successive sentenze 4932/2015 e 5704/2016, impugnate con ricorso fondato su dieci motivi iscritto al RG 24505/2017, resistito da ANAS con controricorso; ed avverso la sentenza 5328/2019 con ricorso iscritto al RG 1878/2020, fondato su un solo motivo parimenti resistito da ANAS con controricorso.
1.9. Chiamato il ricorso 6760/2015 inizialmente all’adunanza camerale dell’11.2.2020, il Collegio, prendendo atto dell’istanza in tal senso formulata dal Consorzio, con ordinanza interlocutoria 9925/2020 ne ha differito la trattazione onde dar modo di procedere alla riunione dei procedimenti anzidetti.
I predetti ricorsi sono perciò pervenuti in trattazione all’odierna udienza camerale. Memoria del Consorzio ex art. 380-bis1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Giusta le determinazioni contenute nell’ordinanza interlocutoria 9925/2020 va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi 24505/2017 e 1878/2019 al ricorso 6760/2015 con precedenza, per i motivi ivi enunciati, nella trattazione del ricorso 1878/2020 relativo alla sentenza 5328/2019.
3.1. Con tale ricorso fondato su un unico motivo il Consorzio si duole dell’errore in cui il giudice della revocazione, dichiarando inammissibile il mezzo proposto, sarebbe incorso nell’applicare l’art. 395 c.p.c., n. 4, ritenendo che nella specie non sia ravvisabile un errore revocatorio perchè oggetto di censura è la formulazione del giudizio operata dalla sentenza revocanda sul piano logico-giuridico. Al contrario “è agevole osservare… che la sentenza impugnata (719/2014) nell’accogliere il motivo di appello proposto da ANAS aveva presupposto l’esistenza di un fatto che era, invece, pacificamente non esistente: ovverosia (che) l’art. 23 della Convenzione Rep 9/81 non prevede assolutamente che il termine per il pagamento degli acconti in corso d’opera decorra “dalla data di presentazione della fattura”, ma da quella di “emissione degli stati di avanzamento lavori redatti dal Direttore dei lavori e vistati dal Concessionario””.
3.2. Il motivo è infondato.
E’ stabile affermazione di diritto vivente che “l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purchè non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali” (Cass., Sez. V, 22/10/2019, n. 26890). In particolare, per quel che qui rileva, l’errore revocatorio deve concretarsi in un errore meramente percettivo (Cass., Sez. VI-III, 15/02/2018, n. 3760), oggettivamente ed immediatamente rilevabile (Cass., Sez. I, 3/02/2006, n. 2425), che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice (Cass., Sez. VI-V, 14/11/2016, n. 23173,) sicchè esso non è configurabile allorchè si denuncino vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, in quanto l’errore che si determina su questo terreno non costituisce un errore percettivo, ma un errore di giudizio (Cass., Sez. I, 19/06/2007, n. 14267). Esso non deve poi cadere su un punto controverso del giudizio sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi (Cass., Sez. I, 9/05/2007, n. 10637) e pertanto non è configurabile se l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione tra le parti e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass., Sez. I, 4/04/2019, n. 9527).
3.3. La Corte decidente nel dichiarare inammissibile il proposto mezzo di impugnazione straordinaria ha primamente rilevato, richiamandosi alla norma convenzionale disciplinante la decorrenza degli interessi, che “l’interpretazione della normativa era controversa”; e, di seguito, che tra le opzioni interpretative sul tappeto, “la Corte d’Appello ha aderito all’interpretazione data dall’Anas”. In tal modo essa, in linea con i trascritti enunciati di diritto, ha fatto notare, da un lato, che la questione era stata oggetto di discussione tra le parti e che su di essa la sentenza si era pronunciata, sicchè nella specie il preteso errore revocatorio non atteneva ad un fatto incontroverso estraneo all’iter decisionale; dall’altro, che oggetto della sollevata censura non era un errore percettivo, ma l’errore di giudizio in cui, ad avviso del deducente, era incorso il decidente nell’aderire alla tesi di ANAS, nondimeno, tuttavia, ostativo al sindacato qui richiesto poichè l’attività valutativa del giudice, quale in particolare si compie nell’apprezzamento delle risultanze processuali – tanto più se questo apprezzamento è oggetto di specifica censura in via ordinaria (cfr. il motivo sub 8 del ricorso 6070/2015) – non è fonte di errore revocatorio che si possa censurare per mezzo dell’art. 395 c.p.c., n. 4.
E ciò non senza pure notare che, anche ove – come si sostiene alle pp. 11-12 del ricorso – l’interpretazione della clausola convenzionale fosse stata tra le parti pacifica, la diversa interpretazione che ne offre il giudice non è mai fonte di un errore revocatorio, atteso che rientra tra i suoi compiti quello di ricostruire i fatti ed interpretare, oltre che la legge, anche i patti negoziali, sicchè non è idoneo motivo di revocazione quello che attiene alla censura della decisione giudiziale per il fatto che il giudice non abbia tenuto conto della pretesa convergenza delle parti litiganti sulla portata di una clausola convenzionale e di essa renda una diversa interpretazione.
3.4. La sentenza si sottrae perciò alla pretesa cassazione e ciò consente di passare all’esame degli altri ricorsi.
4.1. Con il primo ed il sesto motivo del ricorso 6070/2015, relativo alla sentenza 719/2014, il ricorrente Consorzio deduce, in relazione alle statuizione adottate dalla Corte territoriale in punto di danni da sospensione dei lavori e di credito di interessi, che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio di non contestazione, il regime delle preclusioni processuali di cui agli artt. 161,167,180,183,184,190 c.p.c., nonchè il divieto dei nova in appello per aver rigettato entrambe le pretese sulla base di eccezioni introdotte nel giudizio dal convenuto solo tardivamente.
Premesso, infatti, che nel costituirsi ANAS si era limitata ad una generica contestazione delle domande senza produrre alcun documento idoneo a contrastare l’allegazione dei fatti posti a fondamento delle medesime nè dedurre alcunchè in punto di diritto e che tale contegno processuale essa aveva serbato per tutto il corso del giudizio sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, le varie eccezioni, riprese, poi, come motivi di appello, erano state introdotte da ANAS nel giudizio per la prima volta solo con la comparsa conclusionale di primo grado. Nel farle proprie la sentenza impugnata era incorsa perciò nella violazione del principio di non contestazione, essendo onere del convenuto “contestare specificatamente i fatti costitutivi delle pretese avanzate dalla parte istante e non genericamente con mera clausola di stile”, sicchè in relazione alle circostanze di fatto dedotte nell’atto introduttivo del giudizio e non contestate dal convenuto il giudice “deve ritenerle pacifiche tra le parti ed espunte dal thema decidendi”; nella violazione del regime delle preclusioni poichè le questioni sollevate ex adverso introducevano “un’eccezione in senso stretto” che “andava sollevata al più tardi entro la memoria ex art. 180 c.p.c.” e nella violazione del divieto dei nova in appello poichè, essendo perciò decaduto dalla facoltà di ampliare il thema decidendi, “a maggior ragione l’appellante non poteva effettuare nuove allegazioni nel giudizio di gravame per il preciso divieto dell’art. 345 c.p.c.”. In sintesi, la sentenza impugnata nell’accogliere le eccezioni in questione aveva respinto entrambe le proposte domande senza tener conto che le relative eccezioni erano state sollevate tardivamente dalla parte convenuta, “dopo essere incorsa nella preclusione di implicita accettazione dei fatti costitutivi delle domande proposte dall’istante nel proprio atto introduttivo” e che “il giudicante, in relazione alle circostanze di fatto dedotte nell’atto introduttivo del giudizio e non contestate dal convenuto nella propria comparsa di risposta (e neppure nei successivi termini ex artt. 180, 183 e 184) deve ritenerle pacifiche tra le parti ed espunte dal thema probandi”, violando diversamente l’art. 345 c.p.c. se ne fa materia di statuizione in grado di appello.
4.2. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente per unitarietà della censura e alla cui disamina non si oppongono le obiezioni che vi muove il controricorrente – l’una perchè non si allinea al motivo che declina una censura in punto di rito e non di merito, l’altra perchè ne coglie solo in parte il contenuto – sono infondati e vanno pertanto disattesi.
4.3. La giurisprudenza di questa Corte, nel solco di una riflessione diretta a stemperare le rigidità del modello processuale organizzato secondo lo schema dei blocchi di attività nella convinzione che la funzione del processo sia di assicurare la giustizia della decisione, ha da tempo tracciato la distinzione tra potere di allegazione che compete alle parti in ragione del principio dispositivo che regola lo svolgimento del processo ed il potere di rilevazione che compete tanto alle parti in relazione a quelle attività deduttive che l’ordinamento riserva solo alle medesime, quanto al giudice in relazione alla necessità di assicurare la realizzazione delle finalità proprie del giudizio.
Si afferma così stabilmente riguardo alla posizione del convenuto che “in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile” (Cass., Sez. U, 3/02/1998, n. 1099).
Sviluppando questo arco di riflessioni le SS.UU. attraverso le successive pronunce 226/2001 e 15661/2004, sono più di recente pervenute ad affermare che “il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto” (Cass., Sez. U, 7/05/2013, n. 10531). In tal modo le SS.UU. hanno inteso porre correttivo al limite più incisivo sotteso alle pregresse pronunce secondo cui la rilevabilità ufficiosa dei fatti costitutivi, modificativi ed impeditivi, costituenti il nucleo identificativo dell’eccezioni in senso lato era consentita a condizione che detti fatti fossero stati tempestivamente acquisiti al processo, valorizzando in funzione del superiore interesse del processo, e di contro al predetto limite, la distinzione tra eccezioni in senso stretto, la cui rilevazione, postulando ineludibilmente un atto di volontà della parte, è di stretto appannaggio di quest’ultima, ed eccezioni in senso lato, i cui fatti rappresentativi, ove siano rilevabili in base agli atti di causa, sono opponibili anche in difetto di istanza di parte rendendosi rilevabili d’ufficio.
4.4. Se in ragione di ciò non è dunque dubitabile che sia in facoltà del giudice d’appello procedere ex officio all’apprezzamento dei fatti ostativi alla riconoscibilità della pretesa se essi siano rilevabili ex actis, la decisione qui impugnata, avendo ritenuto rilevabile ex officio le eccezioni sollevate dalla convenuta nel corso del giudizio, si allinea al riferito quadro di diritto e si sottrae perciò alle critiche di cui la fanno bersaglio i motivi in disamina. Essa non viola, perciò, l’art. 345 c.p.c., tanto più considerando, come annotano da ultimo le SS.UU., che, pur intervenendo sul corpo della norma, il legislatore ha voluto lasciare intatto il potere della parte di proporre nuove eccezioni rilevabili d’ufficio e, con esso, l’omologo dovere del giudice. Ma non viola neppure il principio della non contestazione ed il regime delle preclusioni, posto che, se i fatti costituenti fonti di eccezione in senso lato sono stati introdotti nel giudizio, nessuna limitazione, in vista dei superiori interessi perseguiti dal processo, si frappone al potere di rilevazione del giudice, onde legittimamente ne è consentita la rilevabilità in appello se i detti fatti siano già documentati agli atti del giudizio.
4.5. I detti motivi non sono dunque fondati.
5.1. Con il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso 6760/2015 il Consorzio ricorrente, censurando la statuizione adottata dalla Corte d’Appello in punto di danni da sospensione illegittima, lamenta, nell’ordine, la violazione dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362,1363 e 1365 c.c., posto che il decidente avrebbe desunto dall’interpretazione della postilla n. 2 stesa in calce all’atto aggiuntivo 1647/91 “la rinuncia del concessionario ad avvalersi dei propri diritti in linea con le previsioni di cui alla Convenzione di Concessione Rep. n. 9/81 nonostante la mancanza di qualsiasi indicazione in questo senso”, avrebbe riferito alla sospensione delle opere oggetto di concessione “una pattuizione che invece riguardava eventuali opere ulteriori ancora da “finanziare con risorse integrative”” ed avrebbe affermato “in evidente contrasto con il contenuto del verbale di ripresa dei lavori”, che la ripresa dei lavori era stata concordata con il concessionario (secondo motivo); la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione non avendo essa “motivato in alcun modo in ordine all’asserito concordamento della ripresa dei lavori se non con un semplice richiamo al verbale della ripresa dei lavori” (terzo motivo); la nullità, ancora, della sentenza per violazione degli artt. 167 e 345 c.p.c. e dell’art. 2969 c.c. qualora si fosse voluto credere che essa avesse inteso motivare l’accoglimento dell’appello in parte qua per la mancata iscrizione della riserva, posto che l’eccezione di decadenza della riserva per tardività così valorizzata “non è rilevabile d’ufficio, essendo soggetta ad eccezione di parte, ai sensi dell’art. 2969 c.c.” (quarto motivo).
5.2. Il secondo motivo di ricorso non ha fondamento.
E’ viva raccomandazione a cui questa Corte si è più volte richiamata in materia di interpretazione dei contratti che “il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè chiare, atteso che un’espressione “prima facie” chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime” (Cass., Sez. III, 10/05/2016, n. 9380).
La sentenza impugnata si è esattamente attenuta a questo indirizzo. Emerge dalla motivazione sul punto – di cui si è dato riscontro nella pregressa narrativa di fatto – che il decidente, allorchè ha ritenuto di inferire dagli atti scrutinati la comune volontà delle parti di sospendere temporaneamente i lavori in ragione della contrazione della spesa finanziabile, rigettando cosi la riflessa domanda risarcitoria, abbia non solo ponderato il dato letterale risultante dall’art. 8 dell’atto aggiuntivo 52/1985 e dall’atto aggiuntivo 1647/91, laddove il primo formulava l’avvertenza che il concessionario sarebbe stato ristorato dei soli costi di progettazione e di esproprio in caso di mancata o incompleta esecuzione dell’opera ed il secondo registrava alla postilla 2 la presa d’atto dell’intervenuta riduzione dell’impegno di spesa; ma, raccordando l’una previsione all’altra, abbia inteso riconnettere la presa d’atto in parola alla premessa contenuta nella postilla 1 ove era formalizzata l’accettazione del concessionario che l’impegno del concedente a dar seguito alle opere affidategli o da finanziare si doveva ritenere “operativo solo a seguito del relativo provvedimento CIPE”, in tal modo esplicitando quel percorso circolare a cui deve ubbidire il procedimento ermeneutico e che impone di ricostruire la volontà delle parti attraverso un apprezzamento complessivo delle risultanze documentali.
5.3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono andare assorbiti. L’uno perchè la rilevata correttezza in punto di diritto del ragionamento ermeneutico sviluppato dal decidente del grado rende, prima di tutto, inconferente, la declinata doglianza che quel ragionamento, diversamente suffragantesi, vorrebbe invece veder sconfessato per la pretesa nullità a cui la sentenza si esporrebbe non già per non aver motivato riguardo ad un punto di esso, ma per aver motivato in maniera insufficiente; l’altro per il carattere subordinato di esso, atteso che rigettandosi le censure di cui al terzo motivo di ricorso, l’infondatezza della pretesa in disamina trova giustificazione in ragione di quanto argomentato dal decidente in motivazione e non già, dunque, per effetto di decadenza della riserva.
6.1. Con il quinto motivo di ricorso il Consorzio ricorrente deduce la nullità, in ultimo, della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 112 c.p.c. laddove essa aveva giudicato assorbito l’appello incidentale pur non avendo il giudicante argomentato le ragioni poste a fondamento di siffatta decisione” ed omettendo, perciò, “la decisione sul merito dell’appello incidentale in assenza dei presupposti per dichiararlo assorbito”.
Più in dettaglio l’impugnante, premesso che appellando incidentalmente la sfavorevole decisione sul punto di primo grado aveva evidenziato che questa aveva erroneamente respinto le proprie domande in ordine all’anomalo andamento dei lavori, alla disapplicazione della penale da ritardo, ad alcune riserve tecniche e al recupero dell’anticipazione posto in essere dal concedente a seguito della rideterminazione dell’importo contrattuale, si duole che la Corte d’Appello abbia potuto ritenere i dedotti motivi di gravame “assorbiti” o in “buona sostanza… esaminati” perchè “interferenti” con quelli proposti ed accolti dall’appellante principale, quantunque sia “agevole riscontrare la totale diversità dei fatti” posti a fondamento delle sopradette pretese rispetto a quelli posti a fondamento della domanda in punto di danni da sospensione legittima e non si vede quindi, come il rigetto della riserva relativa alla sospensione dei lavori dal 28.5.1991 al 23.1.1993 possa determinare l’automatico assorbimento dei motivi di impugnazione incidentali tutti afferenti a pregiudizi subiti successivamente alla ripresa dei lavori in data 23.1.1993.
6.2. Il motivo è fondato e va perciò accolto, risultando l’impugnata decisione sul punto affetta da una duplice ragione di nullità che ne inficia il fondamento sia sotto un profilo logico che sotto quello giuridico.
E’ indubbia, infatti, la sussistenza di un vizio logico laddove la sentenza ha affermato che i motivi dell’appello incidentale dovessero essere assorbiti in conseguenza dell’accoglimento dell’appello principale, constando viceversa dalla ricognizione di essi, a cui provvede il ricorso assolvendo in tal modo anche l’onere di autosufficienza, che nessuna interferenza è argomentabile tra fatti che non solo sono avvenuti in diversi contesti temporali, ma che nessuna connessione hanno tra loro tale che possa ritenersi che quelli successivi siano conseguenza di quelli pregressi. Il che è fonte, intuitivamente, pure di un errore in diritto, poichè la decisione sul punto si manifesta perciò priva di congrua ed adeguata motivazione e come tale sostanzialmente omessa.
7.1. Con il settimo, l’ottavo ed il nono motivo del ricorso oggetto delle censure ricorrenti è il capo della decisione d’appello che, pur disconoscendo, per tardività della corrispondente allegazione operata solo nella comparsa conclusionale, che il relativo credito fosse stato rinunciato dal Consorzio a seguito degli atti di rinegoziazione 1649/91 e 1647/91, ha tuttavia rideterminato la decorrenza degli interessi non già a far tempo dalla data del certificato di pagamento, ma da quello di presentazione della fattura. Si sostiene, nell’ordine, la nullità della sentenza in parte qua “per carenza assoluta di motivazione”, posto che il decidente, rimettendosi sul punto all’art. 23 della convenzione inter partes si sarebbe limitato “a confermare l’affermazione contenuta nell’atto di appello dell’Anas”, senza procedere all’esame della richiamata clausola contrattuale (settimo motivo); la violazione dei canoni di interpretativi di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. posto che il decidente nell’accogliere il gravame sul punto di Anas sarebbe “incorso nei medesimi vizi ” già oggetto di denuncia con il secondo motivo di ricorso (ottavo motivo); la violazione della L. n. 741 del 1981, art. 4 posto che il decidente, statuendo che la decorrenza degli interessi debba aver corso dalla presentazione della fattura, si sarebbe posto “in evidente contrasto anche con la L. n. 741 del 1981, art. 4 che commina la nullità di qualsivoglia pattuizione in deroga ai termini di pagamento previsti dal D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36” (nono motivo).
7.2. Il medesimo capo della decisione è materia di rimostranza anche per la ricorrente incidentale.
Con il primo motivo del proprio ricorso – che non è soggetto alle preclusioni opposte dal Consorzio in relazione agli artt. 360-bis c.p.c., n. 1, art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, rivelandosene incongrua la prospettazione in ragione di quanto si dirà in relazione a ciascun motivo – ANAS lamenta che la Corte territoriale, ricusando di prendere in esame la sollevata eccezione in punto di rinuncia del Consorzio al credito per interessi – concernente i ritardi nel pagamento degli anticipi e delle indennità di esproprio per esserne avvenuta l’allegazione solo nella comparsa conclusionale, avrebbe erroneamente espunto il relativo tema dal giudizio, quantunque fosse “evidente che l’argomentazione in parola non costituisse affatto una eccezione in senso stretto, bensì una valutazione dell’operato del CTU, evidentemente sottratta alla disciplina di cui al citato art. 180 c.p.c. e legittimamente proponibile in sede di comparsa conclusionale”.
7.3. Il carattere pregiudiziale che riveste tale ultima allegazione che, se fondata, recupererebbe al teatro della contesa il tema della rinuncia agli interessi, con l’effetto di assorbire perciò le ragioni di gravame fatte valere dal ricorrente principali con i pregressi settimo, ottavo e nono motivo del relativo ricorso, presupponenti diversamente che il credito in questione non sia stato rinunciato impone di affrontare la questione oggetto delle contrapposte doglianze delle parti muovendo dal primo motivo del ricorso incidentale (Cass., Sez. I, 31/10/2014, n. 23271).
7.2. Il motivo è fondato e va accolto.
Valgono a riguardo le medesime considerazioni spese a partire dalle SS.UU. 10531/2013 a proposito del pronunciato rigetto del primo e del sesto motivo del ricorso principale, sviluppate tuttavia in senso inverso poichè se in quel caso si è ritenuto che l’impugnato deliberato non sia censurabile per aver esaminato le eccezioni in senso lato prospettate da ANAS solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, qui, al contrario lo stesso deliberato si rende invece censurabile per non aver esaminato le analoghe eccezioni prospettate da ANAS ancora nella comparsa conclusionale. Rimandando dunque a quanto più estesamente si è detto in quel luogo, va pure rimarcato che non vale a sottrarre a conseguente cassazione il capo della decisione qui impugnato il fatto – emergente dall’incipit di pag 10 della motivazione – che la Corte abbia inteso valorizzare il dato formale della tardiva allegazione dell’eccezione pur non ricusando a priori di prendere posizione riguardo ad essa e, solo a fronte della necessità di scandagliarne più analiticamente il contenuto, abbia dato conto dell’intervenuta preclusione.
7.3. L’eccezione è rimasta perciò impregiudicata esponendo di conseguenza l’impugnata decisione che di essa ha omesso l’esame alla critica esternata con il motivo.
Cassandosi dunque, in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, la decisione in parte qua, restano, per quanto si è anticipato, conseguentemente assorbiti i motivi sette, otto e nove del ricorso principale.
8.1. Con il decimo motivo di ricorso il ricorrente Consorzio, censurando il capo della decisione qui impugnata che ha accolto il gravame di ANAS in ordine al divieto di anatocismo, riformando perciò la contraria decisione di primo grado che aveva ritenuto riconoscibili gli interessi sugli interessi prima della domanda giudiziale, contesta che la Corte d’Appello abbia violato il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35 e 36 e della L. n. 741 del 1981, art. 4 poichè, pur richiamandosi ai principi enunciati da tale ultima disposizione, non si è avveduta che, rispetto alla preclusiva disposizione recata dall’art. 1283 c.c., “essa prevede una evidente deroga alle disposizioni del codice civile, prevedendo una particolare ipotesi di capitalizzazione degli interessi”.
8.2. Anche detto motivo, in disparte da ogni ragione che ne esclude la fondatezza come più volte affermato da questa Corte (Cass., Sez. U, 17/07/2001, n. 9653), si sottrae tuttavia alla chiesta disamina, restando esso all’evidenza assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale. L’anatocismo cui si richiama il motivo è rappresentabile solo in relazione ad un credito per interessi, sicchè se la questione della loro debenza, in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale che ne aveva eccepito la rinuncia da parte del Consorzio, è stata rimessa all’esame del giudice del rinvio quale conseguenza della cassazione del corrispondente capo della sentenza qui impugnata, la decisione che riguardo ad essa sarà presa in quella sede non potrà non estendere i propri effetti anche al capo della sentenza qui in disamina nel senso che se non sussiste un credito per interessi, tanto più potrà sussistere un credito per interessi anatocistici, rendendo dunque inconferente l’odierno motivo di ricorso.
9.1. Venendo al ricorso incidentale, del primo motivo di esso si è già detto.
Il secondo lamenta un vizio di omessa pronuncia sul presupposto che la Corte d’Appello, avendo ritenuto che l’eccezione in punto di rinuncia al credito per interessi non fosse scrutinabile perchè tardivamente sollevata, avrebbe in tal modo omesso di pronunciarsi su di essa. Resta chiaramente assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso che imporrà l’esame dell’eccezione nel giudizio di rinvio conseguente del suo accoglimento e alla cassazione del corrispondente capo della decisione impugnata.
9.2. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentali – intesi entrambi a denunciare la violazione dell’art. 132 c.p.c. perchè la Corte d’Appello avrebbe respinto i motivi di gravame concernenti l’applicazione dell’anatocismo al credito costituito dall’indennità di esproprio e l’imputazione ad ANAS di 32 fatture non di pertinenza con “motivazione apodittica” e con “motivazione all’evidenza, del tutto “apparente”” -, esaminabili congiuntamente per unitarietà della censura, sono fondati e vanno accolti.
Limitandosi in un caso ad affermare che “nella specie non risulta che tale anatocismo sia stato applicato” e nell’altro che “non è chiaro il riferimento dell’appello a “fatture relative a rimborsi di opere non di competenza ANAS”” la Corte territoriale non ha minimamente assolto il compito motivazionale postogli dai motivi di gravame, non chiarendo in particolare a fronte della specificità delle contestazioni declinate in ciascuno di essi – che la ricorrente incidentale si premura di riprodurre in extenso anche ai fini dell’autosufficienza del mezzo – le ragioni del proprio convincimento ed esponendo in tal modo la decisione adottata al vizio denunciato e alla conseguente sua doverosa cassazione.
10.1. Esaurito l’esame dei motivi a corredo del ricorso 6760/2015, vanno ora esaminati i motivi che il Consorzio ricorrente solleva a mezzo del ricorso 24505/2017 avverso le sentenze pronunciate dalla Corte d’Appello di Roma, ancora in via non definitiva (4932/2015) ed in via definitiva (5704/2016).
10.2. Il ricorso avverso quest’ultima è affetto da pregiudiziale inammissibilità giacchè nessuna censura ne investe le determinazioni ivi adottate, onde non essendo osservato il precetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il proposto ricorso si mostra privo di un requisito introduttivo indefettibile con la conseguenza che il ricorso deve giudicarsi inammissibile (Cass., Sez. V, 3/08/2007, n. 17125). Da ciò tuttavia non discendono gli ulteriori effetti auspicati dalla resistente, stante il diverso principio affermato dall’art. 336 c.p.c., di guisa che se la sentenza è fatta oggetto di impugnazione “all’eventuale accoglimento dell’impugnazione avverso la sentenza non definitiva conseguirebbe la caducazione di quella definitiva, quand’anche questa non sia stata impugnata e su di essa di sia formato il giudicato formale, ma solo apparente” (Cass., Sez. I, 4/11/1993, n. 10909).
10.3. Quanto alle contestazioni che il Consorzio indirizza alla sentenza non definitiva (4932/2015) va detto che con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 279 c.p.c., comma 4, art. 132 c.p.c. e art. 361 c.p.c., u.c. perchè la Corte d’Appello avrebbe ritenuto inapplicabile alla specie la L. n. 741 del 1988, art. 4 in ragione dell’ordinanza 43 del 10.5.1982, con cui il Presidente della giunta regionale della Campania aveva escluso l’applicabilità di detta norma quantunque con la precedente sentenza definitiva 719/2014 si fosse statuito che “gli interessi spettanti al concessionario andavano riconosciuti in applicazione della L. n. 741 del 1981, art. 4”. Subordinatamente con i motivi sub 1.2., 1.3. e 1.4. il Consorzio sempre censurando l’indicata determinazione, si duole della violazione del principio di non contestazione e del divieto dei nova in appello perchè la questione dell’inapplicabilità nella specie della L. n. 741 del 1988, art. 4 per effetto della citata Delib. Presidente della Giunta Regionale era stata introdotta da ANAS “per la prima volta nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio in primo grado”, sicchè erroneamente la Corte decidente era pervenuta al suo esame “senza tener conto che l’eccezione era stata ex adverso sollevata del tutto tardivamente” e per di più dopo che ANAS “era incorsa nella preclusione di implicita accettazione dei fatti costitutivi delle domande proposte dall’istante nel proprio atto introduttivo” (motivi 1.2. e 1.3); e dell’omesso esame di un fatto decisivo avendo il decidente omesso qualsivoglia esame delle obiezioni al riguardo sollevate da esso deducente in ordine alla “novità e tardività della questione sollevata” e all’infondatezza “nel merito del motivo di appello in questione” (motivo 1.4).
Tutti i sopradetti motivi, scrutinabili congiuntamente in quanto tutti afferenti al medesimo tema decisionale, scontano l’effetto preclusivo discendente dall’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale avverso la sentenza 719/2014.
La regolazione della specie alla stregua o meno della L. n. 741 del 1981, art. 4 su cui si interrogano i motivi in disamina, lascia intendere che la sottostante questione della rinuncia al credito per interessi sia stata risolta nel senso della loro debenza, dato che l’art. 4 anzi citato è volto a disciplinare proprio la materia degli interessi e presuppone perciò che un credito per gli interessi sia quantomeno incontestato. Ne consegue che, se in ragione dell’accoglimento del detto primo motivo del ricorso incidentale la questione della rinuncia agli interessi, cassandosi il relativo capo di essa che aveva ricusato di prendere posizione in relazione alla relativa eccezione, è stata rimessa al giudice a quo, in tanto si potrà discettare dell’applicazione della norma in questione e, riflessamente, delle preclusioni che la sua applicazione implica in relazione agli altri temi di indagine sollevati nei motivi, in quanto un credito per interessi possa ritenersi sussistente e non rinunciato. E dunque i rilievi esposti nel motivo non sono allo stato scrutinabili e vanno pertanto ritenuti assorbiti.
11.1. Assorbiti devono reputarsi anche i rilievi che il ricorrente Consorzio muove alla sentenza impugnata, nel capo in cui questa ha escluso l’applicabilità dell’art. 1194 c.c. ai pagamenti effettuati in corso di rapporto da ANAS, con il secondo motivo di ricorso, lamentando nell’ordine la violazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2, posto che ANAS “non aveva mai mosso censura alcuna in ordine all’applicabilità, al caso di specie, della disposizione di cui all’art. 1194 c.c…. con conseguente passaggio in giudicato del suddetto capo della citata decisione” (motivo 2 a); la violazione dell’art. 279 c.p.c., comma 4, artt. 132 e 112 c.p.c., essendo andata la sentenza impugnata extrapetita posto che la causa, a seguito della sentenza 719/2014, era stata rimessa in istruttoria al fine del riesame dei conteggi del CTU e per l’esame dei motivi di appello in punto di inclusione dell’IVA nella base di calcolo degli interessi e di errata capitalizzazione di importi già pagati, sicchè “non poteva essere esaminato il profilo inerente l’imputabilità al capitale, anzichè prima ad interessi e poi per la sola differenza… dei pagamenti effettuati dal concedente” (motivo 2 b); la violazione del principio di non contestazione in appello non essendo mai stata sollevata da ANAS “alcuna censura” circa l’asserzione attorea di vedere imputare i pagamenti ricevuti prima agli interessi e poi al capitale (motivo 2 c 1); la violazione del divieto dei nova in appello dovendo in ogni caso rilevarsi la tardività di “qualsivoglia eccezione” sollevata dopo la scadenza dei termini preclusivi, sebbene nella specie fosse stato il giudicante “a statuire autonomamente che i pagamenti effettuati dal Concedente dovessero essere imputati a deconto della sorte capitale” (motivo 2 c 2); il vizio di ultrapetizione avendo il giudice d’appello esaminato “una questione non solo del tutto nuova, perchè non prospettata dalla parte convenuta, ma addirittura neppure proposta come motivo di gravame” (motivo 2 c 3).
11.2. Vale riguardo ad essi quanto si è già osservato con riferimento ai motivi riportati sub 1 del ricorso, tanto più considerando con la giurisprudenza di questa Corte che “in tema di imputazione di pagamento, la disposizione prevista dallo art. 1194 c.c. secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese senza il consenso del creditore – presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese), sicchè fino a quando sia incerto od illiquido il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale” (Cass., Sez. III, 18/10/1991, n. 11014). Se il credito per interessi è, come visto, sub iudice, anche l’applicabilità alla specie dell’art. 1194 c.c. è destinata a subire gli effetti delle determinazioni che andranno assunte dal giudice del rinvio, rendendosi evidente che se vi è stata rinuncia al credito per interessi, i pagamenti andranno imputati solo al capitale (Cass., Sez. III, 10/03/1990, n. 1982) e le questioni qui oggetto di doglianza andranno ritenute superate.
11.3. Considerazioni non diverse vanno spese in relazione al terzo motivo del ricorso a mezzo del quale si lamenta la violazione degli artt. 1194 e 2697 c.c. e D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36 “non comprendendosi come una volta ammessa la certezza, liquidità ed esigibilità del credito la sentenza impugnata possa aver affermato l’inapplicabilità dell’art. 1194 c.c. per asserita carenza dei requisiti”.
Anche questo motivo, postulando la sussistenza di un’obbligazione per interessi, è destinato perciò a restare assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale che quella obbligazione ha inteso mettere in discussione eccependo la rinuncia del Consorzio al corrispondente credito.
12.1. Volendo sintetizzare con ciò gli esiti conclusivi del giudizio va dunque respinto il ricorso iscritto al RG 1878/2020 avverso la sentenza 5328/2019; vanno accolti il quinto motivo del ricorso principale ed il primo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale iscritti al RG 6760/2015 avverso la sentenza 719/2014, risultando infondati il primo, il secondo ed il sesto motivo del ricorso principale ed assorbiti il terzo, il quarto, il settimo, l’ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale: vanno infine dichiarati inammissibile il ricorso iscritto al RG 24505/2017 avverso la sentenza 5704/2016 ed assorbiti i motivi del ricorso iscritto al RG 24505/2017 avverso la sentenza 4932/2015.
12.2. Cassandosi perciò la sola sentenza 719/2014 nei limiti anzidetti la causa va rinviata al giudice a quo perchè proceda al nuovo giudizio.
PQM
Decidendo sui ricorsi riuniti 6760/2015, 24505/2017 e 1878/2020, respinge il ricorso iscritto al RG 1878/2020; accoglie il quinto motivo del ricorso principale ed il primo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale iscritti al RG 6760/2015, rigetta il primo, il secondo ed il sesto motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il settimo, l’ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibile il ricorso iscritto al RG 24505/2017 avverso la sentenza 5704/2016 ed assorbiti i motivi del ricorso iscritto al RG 24505/2017 avverso la sentenza 4932/2015; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Roma che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 13 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021
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