LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27947-2019 proposto da:
V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE ROBERTO ARDIGO’ 42, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentato e difeso da sé medesime;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato dalla ROMEO GESTIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 504, presso lo studio dell’avvocato MARIO IELPO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA IELPO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2017/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
Pirelli & C. Real Estate Property Management s.p.a. (poi Prelios Integra s.p.a.), nella qualità di mandataria dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano V.G. chiedendo la condanna al rilascio di immobile con condanna al pagamento della somma di Euro 126.150,02 per canoni e oneri accessori. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 25.480,92 a titolo di indennità di occupazione ed Euro 8.007,53 per oneri accessori, oltre interessi. Avverso detta sentenza propose appello il V. ed appello incidentale la controparte. Con sentenza di data 17 giugno 2019 la Corte d’appello di Milano, previa dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado per mancata lettura del dispositivo in udienza, condannò il V. al pagamento della somma di Euro 81.839,28 a titolo di indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 c.c., ed oneri accessori, oltre interessi.
Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che il debito per l’indennità ai sensi dell’art. 1591, non poteva ritenersi prescritto, atteso che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 3, si riferiva ai soli corrispettivi maturati in vigenza di contratto, mentre a partire dalla cessazione dello stesso si trattava di credito risarcitorio di natura contrattuale soggetto all’ordinaria prescrizione decennale (Cass. n. 9977 del 2011). Aggiunse che sulla base della CTU espletata in primo grado, la quale aveva dettagliatamente esaminato anche i pagamenti eseguiti dal V., il debito per oneri accessori del conduttore ammontava a complessivi Euro 9.552,70.
Ha proposto ricorso per cassazione V.G. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., n. 4, e della L. n. 431 del 1998, art. 6, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, essendo l’indennità di cui alla L. n. 431, art. 6, comma 6, dovuta mensilmente, ricorre la prescrizione quinquennale di all’art. 2943 c.c., n. 4, per cui non erano dovuti gli importi di epoca antecedente il 4 marzo 2003.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo il provvedimento impugnato deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e non offrendo i motivi alcun elemento per mutare orientamento.
Nel motivo di ricorso viene introdotta la qualificazione dell’importo dovuto ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 6, comma 6, il quale prevede che il conduttore è tenuto fino all’effettivo rilascio a corrispondere ai sensi dell’art. 1591 c.c., una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto, con gli aggiornamenti e la maggiorazione prevista. Trattasi di norma che trova applicazione nei periodi di sospensione delle esecuzioni previsti dalla legge. Nella sentenza impugnata si fa invece applicazione diretta dell’art. 1591 c.c.. Ad ogni buon conto il debito previsto dall’art. 6, comma 6, partecipa della medesima natura dell’indennità prevista dall’art. 1591, salvo l’esclusione del maggior danno previsto da tale norma.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la responsabilità del locatario per il ritardo nella restituzione dell’immobile ai sensi dell’art. 1591 c.c., ha natura contrattuale perché deriva dalla violazione dell’obbligo del “conduttore” di restituire la cosa locata alla cessazione del contratto; ne deriva che il diritto al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento a tale obbligo, ancorché in parte normativamente determinato con riferimento al corrispettivo convenuto, si prescrive nell’ordinario termine decennale (Cass. n. 3183 del 2006, n. 9977 del 2011, n. 15301 del 2000). Il conduttore rimasto nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione del contratto è infatti tenuto al pagamento, da tale momento, dell’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 c.c., e non già del canone secondo le scadenze pattuite, perché, cessato il rapporto di locazione, la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata (Cass. n. 4484 del 2009, n. 11373 del 2010).
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., e della L. n. 392 del 1978, art. 9, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha accolto la domanda relativa agli oneri condominiali senza considerare che l’ente locatore non ha mai fornito la prova di avere effettivamente sostenuto le spese di cui ha chiesto il rimborso.
Il motivo è inammissibile. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13395 del 2018). Il motivo di ricorso ha ad oggetto esclusivamente l’erronea valutazione della prova.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale avrebbe dovuto disporre la compensazione, almeno parziale, delle spese di entrambi i gradi di giudizio avuto riguardo al limitato accoglimento della domanda tale da integrare una reciproca soccombenza.
Il motivo è inammissibile. La facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (fra le tante da ultimo Cass. n. 11329 del 2019).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2021
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