Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.40036 del 14/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3352/2016 R.G. proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’Avv. DI SCIPIO MASSIMILIANO, con domicilio eletto in Roma, via G. ANTONELLI, n. 15, presso lo studio dell’Avv. MAZZONE OLIVIERO;

– ricorrente –

contro

Z.P., vedova C., C.N. e C.G., quali eredi di C.F., rappresentate e difese dall’Avv. IANNUZZI LORENA e dall’Avv. REY CRISTINA, con domicilio eletto in Roma, via Attilio Regolo, n. 19, presso lo studio dell’Avv. SERANGELI CLAUDIO;

– controricorrenti –

nonché contro C.C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI TORINO n. 1516/2015 depositata il 05/08/2015;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 07/07/2021 dal Consigliere COSENTINO Antonello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso.

Udito l’Avvocato MASSIMILIANO DI SCIPIO, difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e si è riportato alle memorie depositate;

Uditi gli Avvocati LORENA IANNUZZI e CRISTINA REY, difensori della ricorrente, che hanno chiesto l’inammissibilità del ricorso, riportandosi alle memorie depositate.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sig.ra P.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di rivendica del dipinto “Ritratto della sorella Elvira”, del pittore C.F., da lei proposta nei confronti del figlio ed erede del pittore, signor C.F., e proseguita nei confronti delle eredi di quest’ultimo (deceduto in corso di causa), signore Z.P., C.N., C.G. e C.C.A..

Per la migliore intelligenza delle censure mosse dalla ricorrente alla sentenza impugnata è opportuno esporre, nei limiti di quanto ancora interessa in questa sede di legittimità, la vicenda da cui ha avuto origine il contenzioso tra la signora P. ed il signor C.F..

Il dipinto “Ritratto della sorella Elvira” venne rubato nel 1963, insieme ad altre opere d’arte, dalla villa di campagna dello stesso Autore, il Maestro C.F.. In ragione della fama del Maestro, il furto fu reso noto al pubblico da notizie di stampa.

Nello stesso anno 1963 il Dott. P.E., odontoiatra torinese, e la sua consorte, sig.ra F.M.L., acquistarono detto dipinto, nell’ambito di un lotto complessivo di 14 quadri, da un imprenditore e collezionista d’arte genovese, sig. C.M.. I coniugi P. vendettero sei quadri di tale lotto al gallerista R.A. e trattennero per sé i rimanenti otto, tra i quali il “Ritratto della sorella Elvira”.

Nel 1965 i dipinti venduti al gallerista R. vennero a costui sequestrati e affidati in custodia alla vedova ed al figlio del Maestro C., frattanto deceduto.

A seguito della denuncia penale conseguentemente sporta dal R. nei confronti dei coniugi P. e F., l’Autorità giudiziaria dispose il sequestro degli altri otto quadri che questi ultimi avevano acquistato dal signor C. e tenuto per sé, compreso il “Ritratto della sorella Elvira”; la custodia di tali quadri, tuttavia, fu affidata agli stessi coniugi P., presso i quali le opere si trovavano.

Il procedimento penale a carico dei coniugi P. e F. per il delitto di ricettazione si concluse nel 1967 con un decreto di archiviazione e con il dissequestro degli otto quadri sequestrati, che quindi rientrarono nella libera disponibilità della famiglia P..

Il contenzioso civile instauratosi tra gli eredi C. ed il gallerista R. sulla proprietà dei sei quadri a quest’ultimo sequestrati fu a propria volta definito nel 1971 con sentenza della Corte d’appello di Torino, passata in giudicato, che accertò il diritto di proprietà del R., sul presupposto della buona fede del suo acquisto.

Nel 2007 il “Ritratto della sorella Elvira” venne nuovamente sequestrato nell’ambito di una seconda indagine per ricettazione, questa volta a carico della figlia di P.E., sig.ra P.A., la quale – essendo nel possesso del dipinto (che deteneva nella casa in cui abitava insieme a suo marito V.G.) – lo consegnò spontaneamente ai Carabinieri.

Anche il procedimento per ricettazione a carico di P.A. si concluse con una archiviazione, ma, all’esito del dissequestro del quadro, quest’ultima venne consegnato a C.F., quale unico erede del C.M.F..

La sig.ra P.A. convenne quindi in giudizio, di fronte al Tribunale di Torino, il sig. C.F. con azione di rivendicazione, richiedendo, appunto, l’accertamento della proprietà del dipinto (frattanto detenuto dalla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino in base ad un comodato sottoscritto concordemente da C.F. e dai coniugi P.A. e V.G.).

La sig.ra P. indicava tre titoli distinti, e tra loro alternativi, del diritto di proprietà da lei vantato sul dipinto de quo; in primo luogo deduceva di aver acquistato tale dipinto nel 1986, in virtù di donazione disposta in suo favore da sua madre, sig.ra F., dopo la morte di P.E. (avvenuta del 1982); in subordine deduceva di aver acquistato la proprietà del dipinto jure successionis, quale erede del padre; in ulteriore subordine deduceva di aver acquistato tale proprietà a titolo originario, per usucapione, avendo posseduto l’opera pubblicamente e pacificamente per oltre venti anni dal 1986 al 2007 (allorquando la stessa venne sequestrata per ordine dell’Autorità giudiziaria).

Il sig. C.F. si oppose alla domanda dell’attrice e propose a propria volta una domanda riconvenzionale di accertamento della sua proprietà del dipinto.

Il Tribunale di Torino respinse le domande della sig.ra P. e, in accoglimento della riconvenzionale del convenuto, accertò la proprietà del dipinto in capo a C.F..

La Corte d’appello di Torino, adita dalla sig.ra P. nel contraddittorio delle eredi di C.F., qui controricorrenti, ha confermato la sentenza di primo grado argomentando, per quanto qui interessa, che la sig.ra P. non aveva acquistato il dipinto de quo:

– né a causa della donazione della madre del 1986, dovendosi giudicare detta donazione nulla per difetto di forma scritta e non potendosi utilmente richiamare il disposto dell’art. 783 c.c., in difetto di prova tanto della modicità del valore del dipinto quanto della traditio del medesimo;

– né per usucapione decennale ex art. 1161 c.c., difettando la prova della necessaria buona fede, né per usucapione ordinaria ventennale, difettando la prova del possesso continuo nel ventennio anteriore al 23 gennaio 2007 (data in cui la sig.ra P. consegnò il quadro ai Carabinieri), in ragione delle incertezze relative alla data ed alle modalità di inizio del di lei possesso;

– né jure successionis, difettando la prova dell’appartenenza del bene alla massa ereditaria relitta da P.E..

Il ricorso per cassazione della sig.ra P. si articola in quattro motivi.

Le signore Z.P., C.N. e C.G. hanno depositato controricorso, mentre C.C.A. è rimasta intimata.

La causa, avviata alla trattazione camerale, è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 24 novembre 2020, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380 bis c.p.c.; in quella sede è stata rimessa alla udienza pubblica e quindi è stata discussa nella pubblica udienza del 7 luglio 2021 per la quale tanto la ricorrente quanto le controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso per la inammissibilità o il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 36 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo della mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa affermando: “non è oggetto del presente giudizio l’accertamento della insussistenza dello stato di buona fede, al momento dell’acquisto, in capo a tale soggetto ( P.E., n.d.r.)” (pag. 15, secondo capoverso, della sentenza).

La ricorrente – evocando la pronuncia del tribunale di Torino con cui i suoi genitori erano stati assolti dal delitto di ricettazione dei quadri venduti al R. (e da loro acquistati insieme al “Ritratto della sorella Elvira”) sul presupposto della loro buona fede lamenta l’omessa pronuncia del Giudice d’appello rispetto all’accertamento della buona fede in capo ai suoi danti causa.

Il motivo è infondato.

Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. n. 1616/21). La Corte territoriale si è pronunciata, rigettandola, sulla domanda della P. di accertamento del suo diritto di proprietà sul quadro e tanto ha fatto in relazione a ciascuno dei titoli di acquisto dalla stessa dedotti, ossia la donazione dalla madre (pag. 8 e segg. della sentenza), l’usucapione (pag. 17 e segg. della sentenza) e la successione al padre (pag. 24 e segg. della sentenza). Non c’e’, dunque, alcuna omessa pronuncia (cfr. Cass. n. 5730/20: “Poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio”).

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4 e 5, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

La sig.ra P., con tale motivo, lamenta che il giudice d’appello non abbia considerato il fatto che, nel corso del procedimento penale in cui i coniugi P. – F. vennero indagati per ricettazione, il dipinto, in un primo momento sequestrato, fu poi dissequestrato e restituito agli stessi. La ricorrente afferma, quindi, che il quadro sarebbe pacificamente appartenuto al patrimonio della sua famiglia per decenni. Inoltre, nel medesimo motivo, la sig.ra P. assume che la domanda di petizione dell’eredità intentata da C.F. mancherebbe del presupposto necessario per l’accoglimento, non essendo state adeguatamente valutate le prove che indicherebbero, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, l’appartenenza del quadro al patrimonio della famiglia P.- F..

Il motivo è inammissibile perché il fatto di cui vi si lamenta l’omesso esame (“la famiglia P./ F. era certamente proprietaria del quadro in questione per averlo legittimamente acquistato”, vedi pag. 13, in fine, del ricorso) non è un fatto storico ma un giudizio di diritto, relativo alla titolarità del diritto di proprietà; un giudizio, per di più, avente ad oggetto un diritto di cui non si specifica il titolare, posto che l’espressione “la famiglia” non identifica alcun soggetto giuridico e allude indistintamente al padre, alla madre, al padre e alla madre in comunione, o al padre alla madre e ai figli in comunione.

Privo di concludenza e’, poi, il riferimento ai verbali di restituzione ai P. dei quadri loro sequestrati nel 1965, non potendo l’accertamento della proprietà discendere da un decreto di archiviazione penale e dai verbali della polizia giudiziaria di restituzione dei beni in sequestro al soggetto presso cui essi furono sequestrati; egualmente privi di concludenza, infine, sono i riferimenti alle dichiarazioni rilasciate alla stampa da C.F. o alla contezza che il medesimo aveva della permanenza del quadro nella materiale disponibilità dei P..

In definitiva il motivo si risolve in una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio inammissibile nel giudizio di legittimità.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la sig.ra P. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1140 c.c. e ss., 2699 c.c. e ss. e “alle norme e ai principi in materia di successione legittima”.

In particolare, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello, nel rigettare la domanda di usucapione per mancanza di certezze sull’epoca della traditio e sulla persona del tradens, non avrebbe adeguatamente valutato i dati che emergevano dalle stime del dipinto (expertise) e dalle polizze assicurative, datate 1986, che confermavano il possesso del dipinto a quel tempo.

La doglianza si risolve in una inammissibile sollecitazione al riesame del merito (vedi pag. 19 del ricorso, rigo 8: “l’assunto di cui sopra si pone in contrasto con le risultanze documentali in atti”; rigo 13: “e’ presente in atti probante documentazione che attesta che proprio nel 1986 il dipinto in questione… veniva fatto assicurare”), che, peraltro, non si misura con il rilievo che la Corte territoriale ha esaminato sia gli expertise che le polizze (pagg. 22/23 della sentenza gravata), pur non traendo da tale esame le conseguenze auspicate dalla ricorrente.

Nel motivo in esame, inoltre, si sottolinea come la Corte territoriale abbia disatteso l’assunto della sig.ra P. di aver acquistato il dipinto de quo per successione ereditaria al padre sull’argomento che non vi sarebbe stata prova che tale dipinto rientrasse nell’asse ereditario di P.E. e si sostiene che tale argomento sarebbe in contraddizione con l’affermazione contenuta a pag. 15, secondo capoverso, della sentenza impugnata secondo cui il fatto che P.E. avesse acquistato il dipinto nel 1963 da C.M. non era contestato.

Anche questa seconda censura è infondata, sotto un duplice profilo. In primo luogo, perché – come sottolineato nello stesso brano della sentenza impugnata richiamato dalla ricorrente (secondo capoverso della pag. 15) – il fatto che non fosse contestata la conclusione del contratto di compravendita C./ P. non significa che non fossero contestati “gli effetti e le conseguenze giuridiche” (vale a dire, l’efficacia traslativa del diritto di proprietà sul quadro) di tale contratto. In secondo luogo, perché, quand’anche fosse stato pacifico che il quadro era entrato nella proprietà di P.E. per effetto del contratto di compravendita da lui stipulato con il sig. C., ciò non necessariamente implicava che tale quadro fosse ancora nel patrimonio di P.E. al momento della di lui morte.

Il terzo motivo va dunque, conclusivamente, rigettato.

Con il quarto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2721 ss. c.c., lamentando che la Corte territoriale abbia ritenuto non raggiunta la prova dell’usucapione senza, tuttavia, ammettere i capitoli di prova testimoniale volti a dimostrare il possesso continuato dell’opera nella dimora della ricorrente per il ventennio antecedente al 23 gennaio 2007 (data, come già accennato, in cui la sig.ra P. consegnò il quadro ai Carabinieri).

In particolare la ricorrente censura l’argomentazione sviluppata nella pag. 21 dell’impugnata sentenza, là dove si legge: “l’incertezza di fatto circa la data e le modalità del conseguimento della disponibilità del quadro da parte della P. oltre a non consentire la prova del requisito temporale del possesso ininterrotto utile all’usucapione, impedisce altresì l’applicazione della presunzione del possesso intermedio tra i due estremi temporali, uno dei quali, in specie quello iniziale, non può ritenersi accertato”; secondo la Corte torinese, infatti, i capitoli di prova o dedotti dalla ricorrente sarebbero generici, e non temporalmente determinati, proprio in relazione all’individuazione delle circostanze di tempo.

Nel motivo di ricorso in esame, per contro, si sottolinea come i capitoli di prova testimoniale dedotti dalla difesa della sig.ra P., là dove facevano riferimento alla presenza del quadro nella casa di quest’ultima in via ***** ed alla stipula di una o polizza assicurativa sul medesimo, implicitamente contenevano un inequivocabile riferimento cronologico, legato alla data del contratto assicurativo prodotto in atti.

Il motivo è fondato.

Questa Corte, infatti, ha chiarito, che l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori (Cass. 11765/19; in termini, Cass. 14979/21, non massimata).

La Corte territoriale non si è attenuta a tale principio, perché ha esaminato i capitoli di prova articolati dal ricorrente sub nn. 2, 4, 5 e 1c, debitamente trascritti alle pagine 26 e 27 del ricorso per cassazione, dando esclusivo rilievo alla loro formulazione letterale e, quindi:

– per quanto riguarda i capitoli nn. 2 (“vero che il dipinto per cui è causa – prod. n. 10-12-14 da rammostrarsi al teste – è stato appeso alle pareti delle abitazioni ove ha vissuto la signora P. ovvero dapprima in ***** e successivamente in *****”), 4 (“vero che il dipinto del C. – prod. n. 10 – è stato periziato dal M., che lo visionava nell’appartamento di *****”) e 5 (“vero che il dipinto del C. – prod. n. 10 da rammostrarsi al teste – è stato visionato a fini assicurativi dal signor G.C. F. e dal signor C.R.”), ha trascurando di correlare le circostanze capitolate alle complessive argomentazioni e produzioni difensive della sig.ra P. (e, in particolare, alla polizza con la società di assicurazioni Helvetia, del 1986, dalla stessa versata in atti);

– per quanto riguarda il capitolo della prova testimoniale n. 1c (“vero che a seguito del decesso del signor P.E. il dipinto rammostrato al teste fu donato dalla signora F.M.L. alla figlia A.”), non ha tenuto conto della facoltà di chiedere al teste, al di là della nozione giuridica di donazione, se al medesimo risultasse che la signora F.M.L. avesse materialmente consegnato il dipinto de quo alla figlia P.A. nell’anno 1986.

Il ricorso va quindi accolto limitatamente al quarto motivo e l’impugnata sentenza va cassata in relazione a tale motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in altra composizione, che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie il quarto, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021

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