Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.40122 del 15/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23562/2016 proposto da:

IMPRESA Z. SRL, elettivamente domiciliata in Roma, Via Panama 52, presso lo studio dell’avvocato Beatrice De Siervo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Maria Gorgoglione;

– ricorrente –

contro

S.S., e C.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Caio Mario 27, presso lo studio dell’avvocato Carlo Srubek Tomassy, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2440/2016 della Corte d’appello di Milano, depositata il 16/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/04/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– l’Impresa Z. s.r.l. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha rigettato la sua domanda di condanna dei sigg.ri S.S. e C.A., al pagamento del residuo prezzo di lavori di appalto eseguiti in un immobile di proprietà di questi ultimi;

– l’impresa espone di avere realizzato, a seguito di contratto di appalto stipulato nel marzo 2011 opere di recupero del sottotetto secondo piano, con ricavo di nuova unità abitativa e che, in epoca successiva, il committente appaltava anche il rifacimento del balcone esistente al primo piano ed alcuni lavori extra contratto;

– l’adito Tribunale di Busto Arsizio aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva della C. e respinto la domanda dell’appaltatrice nonché accolto la domanda incidentale proposta da S. per il risarcimento dei costi di ripristino per l’eliminazione dei difetti accertati in sede di ctu;

– proposto gravame da parte dei convenuti ed appello incidentale da parte dell’impresa, la corte territoriale ha accolto l’appello principale riguardante l’importo del ripristino, liquidandolo nella misura determinata dal ctu;

– per quanto di specifico interesse, la corte territoriale ha al contempo disatteso l’appello incidentale dell’impresa che lamentava l’errata considerazione delle opere indicate nei consuntivi come “varianti” ai sensi dell’art. 1659 c.c., commi 1 e 2, e, pertanto, soggette ai sensi dell’art. 7 del contratto all’autorizzazione/approvazione del committente e, quindi, alla prova scritta;

– in realtà, secondo l’appellante incidentale si trattava di opere per la maggior parte già ricomprese nel computo metrico iscritto dalle parti in causa per le quali, trattandosi di contratto a misura e non a corpo, erano state esposte solo le maggiori quantità (la quasi totalità verificata dalla direzione lavori) ovvero di opere extracontrattuali richieste dal committente o di opere che potrebbero configurare un nuovo appalto per le quali non era richiesta la prova scritta non essendo ricomprese nell’operatività dell’art. 7 del contratto, come inteso in giudizio;

– la corte territoriale ha respinto l’impugnazione ritenendo che l’art. 7 del contratto inter partes e rubricato come “opere extracontratto-varianti-lavori in economia” in combinato disposto con l’art. 4 del medesimo contratto – e secondo il quale l’ammontare dell’appalto era da ritenersi fisso ed invariabile – portava a ricostruire la volontà delle parti in termini di appalto a prezzo fisso ed invariabile salvo il riconoscimento di un compenso ulteriore per lavori aggiuntivi, cioè extra contratto eseguiti su domanda del committente o per varianti, quantitative o qualitative, calcolate a misura sulle modifiche, rispetto al computo metrico estimativo iniziale;

– la corte territoriale respingeva, altresì, tutti gli altri dodici motivi in cui si articolava l’appello incidentale dell’impresa Z.;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dall’impresa Z. con ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso i sigg.ri C. e S..

CONSIDERATO

Che:

– con il primo e secondo motivo il ricorrente denuncia rispettivamente con il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1659 e 1661 c.c., con riferimento agli artt. 3, 4 e 7 del contratto d’appalto, nonché con il secondo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto storico dell’esistenza di un contratto a misura e di un nuovo appalto nel rifacimento del balcone al primo piano;

– in particolare il ricorrente assume che la corte d’appello non avrebbe operato la corretta distinzione tra le opere contrattuali, le opere extracontrattuali e le varianti come delineato nelle disposizioni di cui all’art. 1659 c.c. e recepite nell’art. 7 del contratto d’appalto integralmente considerato ed erroneamente interpretato solo in parte dalla corte d’appello con conseguente stravolgimento della relativa pattuizione;

– così facendo la corte non avrebbe riconosciuto che parte delle somme richieste dall’impresa costituivano differenze dovute per maggiori quantità eseguite delle opere contrattuali specificate nel computo metrico estimativo, ed aveva, invece, ritenuto che le opere ulteriori di cui l’impresa aveva chiesto il pagamento costituissero opere extracontrattuali e/o varianti arbitrariamente eseguite dall’impresa e non, come nei fatti, opere richieste dal committente e dalla direzione lavori con conseguente negazione del diritto alla prova ai sensi dell’art. 1661 c.c.;

– l’impresa censura anche l’erronea qualificazione del contratto d’appalto operata dalla corte territoriale che l’aveva ritenuto “a corpo” benché costituisse circostanza documentalmente provata e non contestata che si trattava, diversamente, di un contratto d’appalto “a misura” come specificato nell’art. 3 del contratto medesimo;

– inoltre, l’impresa ricorrente censura la decisione della corte d’appello di non avere ritenuto che il rifacimento del balcone nell’abitazione del convenuto al primo piano, non era ricompreso nelle opere contrattualmente pattuite relative al recupero abitativo del piano secondo-sottotetto, sicché configurava un nuovo appalto verbale od opera extra contrattuale il cui ordine avrebbe potuto essere provato a mezzo di testimoni e o presunzioni nella normativa;

– con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2729 e 1665 c.c. e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che il contratto di appalto fosse a corpo anziché a misura e per non avere ammesso l’impresa a provare con l’esibizione di documenti, presunzioni derivanti da ammissioni e riconoscimenti che le opere oggetto della domanda di pagamento erano state richieste dai committenti ed acetate sia con riferimento all’esecuzione che con riguardo alla contabilità secondo la previsione dell’art. 1665 c.c.;

– con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 195 c.p.c. e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., per non avere il giudice appello dichiarato la nullità della consulenza e per omessa pronuncia sulle domande/eccezioni dell’impresa;

– con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 210,115 c.p.c. e anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2729,2712 ed 2697 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per non avere la corte d’appello valutato le prove dedotte dall’impresa, anche per presunzioni, per non avere accolto l’ordine di esibizione del libro giornale e le prove testimoniali e per non avere correttamente applicato i principi in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio tra le parti;

– con il sesto motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., l’omessa pronuncia in relazione al motivo di impugnazione che ha censurato la quantificazione dei danni accertati con riferimento al disvalore anziché al costo necessario per il ripristino e l’erroneo ricorso al criterio equitativo;

– con il settimo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge in relazione agli artt. 91,9296 c.p.c. e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere il giudice d’appello applicati i principi della reciproca soccombenza e per non aver sanzionato il comportamento processuale ed extra-processuale della committente;

– ritiene il collegio che le doglianze sin qui descritte e poste a fondamento del ricorso siano fondate per le considerazioni di seguito svolte;

– la conclusione della corte di merito in relazione alla ritenuta infondatezza del diritto dell’appaltatore al pagamento del residuo prezzo non appare conforme ai principi interpretativi applicabili al caso di specie e puntualmente denunciati dal ricorrente;

– infatti, l’appalto costituisce un contratto a forma libera e il regime probatorio delle variazioni dell’opera appaltata muta a seconda che esse siano assunte ad iniziativa dell’appaltatore o del committentele; nel primo caso occorre che le modifiche siano autorizzate dal committente mentre nel secondo caso l’art. 1661 c.c., riconosce all’appaltatore la facoltà di provare con tutti mezzi consentiti, comprese le presunzioni, e le variazioni sono state richieste dai committenti (cfr. Cass. 7242/2001; id. 19099/2011);

– ciò posto, la clausola di cui all’art. 7 così come integralmente trascritta dal ricorrente (cfr. pag. 15 del ricorso) unitamente a quella dell’art. 3 del contratto, in forza del quale trova conferma la qualificazione di appalto a misura, non consentono di avallare la conclusione interpretativa data dalla corte di merito sulla scorta del richiamo ad una sola parte del testo dell’art. 7 e cioè quella che recita “nessuna variante o modifica potrà essere apportata dall’appaltatore senza il consenso scritto del direttore dei lavori”, trascurando la parte in cui l’articolo prevede, in conformità all’art. 1661 c.c., che “il direttore dei lavori o il committente hanno facoltà di richiedere l’esecuzione di tutte le varianti ritenute opportune rispetto al capitolato”; la considerazione solo parziale del tenore contrattuale costituisce circostanza rilevante perché non consente di ravvisare la deroga alle disposizioni codicistica sostenuta dalla corte territoriale per respingere la domanda dell’impresa sull’assunto che ogni opera extra contratto, variante o modifica, da qualunque parte contrattuale richiesta, avrebbe dovuto essere provata per iscritto;

– appare, altresì, meritevole di accoglimento la censura sollevata dalla ricorrente là dove evidenzia come l’oggetto del contratto originario era il recupero del sottotetto – secondo piano onde ricavare una nuova unità immobiliare per il figlio del committente;

– in tale prospettiva, prosegue la ricorrente, il rifacimento del balcone esistente nell’appartamento abitato dal committente al primo piano configura un intervento edilizio del tutto autonomo, di talché non risulta destituita di fondamento la ricostruzione di quest’ultima opera in termini di autonomo e distinto contratto di appalto e non semplicemente di una variante e/o modifica o opera extracontratto, disciplinato secondo il generale principio sopra richiamato della libertà di forma, salve le previsioni dell’art. 1659 c.c., sulle variazioni concordate del progetto e sulle variazioni ordinate dal committente dell’art. 1661 c.c.;

– in relazione ai profili sin qui esaminati deve dunque ritenersi errato l’argomentare della corte territoriale che ha respinto la domanda di pagamento delle opere – la cui esecuzione parte ricorrente assume non contestata e non verificata per rifiuto del committente rilevante ai sensi dell’art. 1665 c.c. – sul duplice assunto della mancanza della necessaria autorizzazione scritta in (falsa) applicazione dell’art. 7 del contratto di appalto e della qualificazione del contratto in termini di contratto “a corpo” così qualificato sulla scorta dell’art. 4 dello stesso, omettendo di considerare il tenore dell’art. 3 del medesimo;

– la sentenza va perciò cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato nei sensi di cui in motivazione e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2021

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