Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.4031 del 16/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36223-2018 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SENATORE e con il medesimo elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE FERRERO DI CAMBIANO 82, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO AVAGLIANO, pec:

avvgiuseppesenatore.pec.ordineforense.salerno.it;

– ricorrente –

contro

***** SPA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO IANNONE, e GIORGIA GAUDINO, ed elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio del primo, in via Antonio Bertoloni 27, pec:

paoloiannone.avocatinapoli.legalmail.it;

AZIENDA OSPEDALIERA SAN GIUSEPPE MOSCATI di AVELLINO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato LYDIA D’AMORE e con la medesima elettivamente domiciliata in Rom, via Poli 29, pec:

ufficiolegale.cert.aosgmoscati.av.it;

– controricorrenti –

e contro

REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA, INA ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4134/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

FATTI DI CAUSA

1. S.S., con atto di citazione del 13/1/2001, convenne davanti al Tribunale di Avellino la ***** SpA rappresentando di essere stato ricoverato preso la struttura in data ***** e dimesso dopo due giorni con l’indicazione della necessità di un nuovo ricovero e di un intervento chirurgico. In data ***** fu nuovamente ricoverato e sottoposto ad intervento chirurgico nel corso del quale fu sottoposto a trasfusione con somministrazione di tre unità di sangue. Dopo le dimissioni, nel corso di nuovi controlli clinici, apprese di essere affetto da epatite C, infezione contratta certamente in occasione del precedente ricovero avendo lui, prima del ricovero, effettuato, tra gli altri esami, anche i markers dell’epatite tutti negativi. La situazione di salute andò peggiorando tanto da trovarsi nella condizioni di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3 per inoltrare l’istanza per l’indennità.

Convenne allora la ***** SpA davanti al Tribunale di Avellino per sentirne pronunciare la condanna al risarcimento dei danni.

La convenuta si costituì in giudizio contestando la domanda e chiamando in causa l’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino, fornitrice delle sacche di sangue, nonchè la Reale Mutua di Assicurazione SpA e l’Assitalia SpA per essere manlevata. Si costituirono le terze chiamate in causa e l’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati chiese ed ottenne di chiamare in garanzia la Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA.

2. Espletata prova per testi e CTU il Tribunale adito, con sentenza n. 1668 del 2012, rigettò la domanda, ritenendo non raggiunta la prova del nesso eziologico tra la trasfusione e il contagio, anche alla luce delle indagini espletate dai consulenti tecnici, ed escludendo di poter ritenere ammissibile, per diversità della causa petendi, la domanda nuova avanzata in corso di causa dal danneggiato volta ad accertare che il virus era derivato non già dalla trasfusione ma da “generica infezione nosocomiale nel periodo di degenza”.

3. Il S. propose appello contestando la valutazione delle risultanze della CTU la quale non aveva escluso la riferibilità dell’infezione alla trasfusione ma aveva solo concluso di non poter avere alcuna certezza sul punto, fermo restando che l’infezione era certamente derivata dal ricovero ospedaliero e da tutte le procedure chirurgiche e/o manovre strumentali e/o altre esposizioni parenterali effettuate durante l’ospedalizzazione.

4. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 4134 del 17/9/2018, ha rigettato l’appello ritenendo mancare la prova che il contagio fosse eziologicarnente connesso alla trasfusione, pur essendo soddisfatto il criterio cronologico della non preesistenza dell’infezione epatica rispetto al ricovero e pur essendo certa l’esclusione di altri fattori causali. Quanto alla trasfusione il giudice ha valorizzato le osservazioni dei consulenti secondo le quali vi era un rischio bassissimo di contaminazione del sangue e vi era comunque l’impossibilità di attingere informazioni dai centri trasfusionali circa lo stato clinico dei donatori, essendo trascorso il termine di cinque anni previsto dalle disposizioni in materia per la conservazione dei registri. La Corte territoriale ha altresì confermato la sentenza di primo grado in ordine alla inammissibilità per mutatio libelli della domanda, formulata nei termini dell’art. 183 c.p.c., comma 6, di danni per derivazione del contagio da ulteriori e diverse condotte non allegate, riferibili ad altri soggetti.

5. Avverso la sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Hanno resistito, con distinti controricorsi, la ***** SpA e l’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino.

6.La causa è stata fissata ex art. 380 bis c.p.c. all’odierna adunanza camerale in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria mentre il P.G. non ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia applicato il principio del “più probabile che non ” imposto dalla giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 576/2008, in base al quale la prova del nesso causale non richiede la certezza ma esclusivamente la verosimiglianza del rapporto eziologico sicchè il giudice avrebbe dovuto concludere per la certezza della derivazione causale del contagio dalla trasfusione di sangue.

1.1 Il motivo è infondato. La sentenza di questa Corte a sezioni Unite n. 576 del 2008 non trova applicazione nel caso in esame in quanto la stessa riguarda una fattispecie del tutto diversa nella quale era stata accertata l’omissione di controllo da parte del Ministero della Salute sul trattamento degli emoderivati, omissione che, in assenza di fattori alternativi, aveva condotto all’affermazione della sua responsabilità in base alla regola del “più probabile che non”. Nel caso in esame, invece, non vi era alcuna certezza circa la riconducibilità del contagio alla trasfusione anzi, applicando proprio la regola invocata dal ricorrente, si doveva giungere al rigetto della domanda essendovi, in base alle risultanze della consulenza tecnica, una remotissima possibilità di contagio tramite trasfusione e dunque dovendosi escludere, in base al principio del “più probabile che non”, che vi fosse un collegamento causale tra la trasfusione ed il contagio.

Dunque non vi è stata alcuna violazione dell’art. 2697 c.c.

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio – il ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia indagato su altre cause dell’epatite C, pur avendo il CTU concluso per la certezza della derivabilità del contagio dal ricovero ospedaliero sulla base di tutti gli elementi disponibili di natura infettivologica ed anamnestica.

2.1 Il motivo è infondato. Erroneamente il ricorrente evidenzia che la decisione della Corte d’Appello fosse carente di motivazione in quanto, pur ritenendo che verosimilmente l’infezione fosse stata contratta in occasione del ricovero sulla base del “più probabile che non”, la Corte ha ritenuto di non potersi pronunciare su temi nuovi – quale per l’appunto quello della trasmissione del virus attraverso le procedure chirurgiche, le manovre strumentali o le insufficienti metodiche di sterilizzazione.

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – censura la sentenza sempre in relazione alla medesima questione di cui al precedente motivo, declinata quale vizio di violazione di norme di diritto per avere la Corte di merito ritenuto di non potersi pronunciare sulla domanda, come modificata ex art. 183 c.p.c., comma 6, in quanto implicante una inammissibile mutatio libelli.

3.1 Il motivo è fondato e merita accoglimento in ragione della invocata giurisprudenza di questa Corte inaugurata da Cass., S.U., n. 12310 del 2015, che ha fissato il seguente principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi) sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l’allungamento dei tempi processuali.” Ad opinare diversamente, assumendo un’interpretazione restrittiva dell’art. 183 c.p.c., comma 6, si giungerebbe a costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro giudizio, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri interessi.

Sulla base della richiamata giurisprudenza non può negarsi che la domanda introdotta nei termini dell’art. 183 c.p.c., comma 6 volta ad ottenere l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per il contagio dovuto a fattori diversi dalla trasfusione, relativi ad esempio alle cattive condizioni di sterilizzazione degli strumenti o della sala operatoria, dovesse ritenersi connessa e quindi ammissibile rispetto alla domanda di danni per la trasmissione del virus tramite trasfusione, di guisa che il giudice non avrebbe dovuto trincerarsi dietro l’inammissibilità ma avrebbe dovuto pronunciarsi sull’ipotesi del nesso eziologico dell’infezione con fattori diversi, peraltro in presenza di una CTU che aveva espressamente riconosciuto che l’infezione fosse stata contratta in occasione del ricovero. La sentenza va, pertanto, sul punto cassata e la causa rinviata per nuovo esame perchè si accerti la possibile eziologia del contagio da fattori diversi dalla trasfusione infetta.

4. Conclusivamente il ricorso va accolto con riguardo al terzo motivo, rigettati i primi due, la sentenza cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati i primi due, cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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