LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1368/2019 proposto da:
R.G.O., che si rappresenta e difende e, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI, 55, presso il proprio studio;
– ricorrente –
contro
GE.MA SRL AUTOSPAZIO;
– intimata –
C.F.;
– intimato –
A.R.;
– intimata –
AUTOIMPORT SPA;
– intimata –
avverse l’ORDINANZA n. 15187/2018 della CORTE di CASSAZIONE, depositata il 12/06/2018;
udita la relazione della causa del Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;
udita la relazione del sostituto procuratore, Dott. MARIO FRESA, con la quale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
R.G.O. ricorre per la revocazione della ordinanza n. 151872018 resa dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione, pubblicata il 12 giugno 2018, non notificata, basandosi su sette motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto in questa sede attività difensiva.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Dott. Mario Fresa, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Si dà preliminarmente atto che, per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte avrebbe dovuto procedere in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
Tuttavia, essendo sopravvenuto del D.L. n. 121 del 2021, art. 7, comma 2, la trattazione in udienza pubblica è divenuta effettiva.
L’odierno ricorrente assume: i) di aver citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la società Gema Auto Spazio, da cui aveva acquistato, il *****, un’autovettura Opel Astra, e la società Autoimport, officina autorizzata alle riparazioni delle auto Opel in garanzia, perché fossero condannate in solido alla restituzione di Euro 8.423,00, cioè la somma che aveva pagato alla Autoimport per riparare l’auto, fermatasi, in data 28 febbraio 2003, mentre era ancora in garanzia, a causa di un grave danno al motore. La Autoimport, infatti, si era rifiutata di riparare l’auto gratuitamente, perché aveva ritenuto che i danni dipendessero da un urto escludente la garanzia. Della società venditrice R.G.O. aveva chiesto anche la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa della indisponibilità del mezzo; ii) di aver appreso, dalla comparsa di risposta della società Gema, che essa non gli aveva venduto l’auto, ma che si era limitata a fare da tramite con A.R., la effettiva proprietaria (dal PRA risultava infatti che l’auto era stata alienata dalla società Gema a A.R. e che quest’ultima gliela aveva poi rivenduta); iii) di avere, quindi, citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la società Gema, il suo rappresentante legale, C.F., e A.R., per sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti a causa dei reati di truffa o di frode in commercio commessi in concorso ai suoi danni; danni quantificati in Euro 7.500,00, per il deprezzamento dell’auto, in Euro 10.000,00 per i danni morali da reato, in Euro 5.000,00, per i danni morali soggettivi ex art. 2059 c.c.; iii) di essere stato condannato dal Tribunale di Roma, con sentenza n. 3598/2007, al pagamento delle spese di lite nei confronti della Gema, di C.F. e di A.R., in conseguenza della ritenuta infondatezza della domanda di risarcimento dei danni per i reati di truffa e di frode in commercio; iv) di aver ottenuto, dal giudice di prime cure, l’accoglimento della domanda di garanzia per i danni all’auto; v) di aver impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo, per quanto qui rileva, sia la riforma del capo della sentenza riguardante la truffa o la frode in commercio sia di quello relativo alla garanzia, in relazione al quantum debeatur; vi) di avere fatto ricorso per la cassazione della sentenza n. 7218/2014 (con cui la Corte territoriale aveva rigettato il suo atto di appello), dichiarato inammissibile con l’ordinanza revocanda; vii) di essere stato, con la stessa ordinanza, condannato, oltre che al pagamento delle spese di lite a favore della parte costituita, al pagamento di Euro 3.000,00, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Erronea supposizione da parte dell’ordinanza di insussistenza di fatti decisivi la cui verità è invece positivamente stabilita sulla base degli atti e documenti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali la sentenza ebbe a pronunciare (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c.)”.
A giudizio del ricorrente, l’ordinanza di questa Corte, a fronte di più di 46 pagine del ricorso a ciò dedicate, avrebbe liquidato l’esposizione del fatto, in relazione ai reati di cui era stato vittima, in poche battute, limitandosi, in particolare, a dare atto che, dalla documentazione prodotta giudizio, era emerso che egli aveva lamentato di essere stato vittima di una truffa e di una frode in commercio, giacché gli era stata venduta per nuova un’auto usata e che, in conseguenza di ciò, aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni morali, biologici e patrimoniali subiti.
La tesi sostenuta è che, così facendo, l’ordinanza abbia violato il dovere, di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, di ricostruire esattamente i termini della controversia. In particolare, oltre ad avere errato nel ritenere che egli avesse chiesto il risarcimento dei danni biologici – invece, mai domandato – non avrebbe tenuto conto che i reati, oggetto del giudizio, non erano emersi dalla documentazione prodotta, ma da una attività istruttoria sviluppatasi nell’arco di tre anni che aveva indotto il giudice di prime cure a ritenere provato che l’auto non era nuova, ma era stata già venduta dalla Opel alla Gema e da questa a A.R. – circostanza, peraltro non contestata dalla Gema, che aveva affermato che C.F. gli aveva sottoposto un’offerta promozionale riservata ai dipendenti Opel, consistente nell’utilizzo del meccanismo della doppia intestazione abbinato ad uno sconto del 20% sul prezzo di listino – che la domanda risarcitoria non era basata sulla ricorrenza di una truffa e/o di una frode in commercio, ma sulla qualificazione del reato come truffa, tesi principale, o, in subordine, come frode in commercio.
La conclusione del ricorrente è che l’omessa completa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della sentenza impugnata abbia portato questa Corte a dare per supposta l’inesistenza degli elementi costitutivi della truffa o della frode in commercio, con inevitabile incidenza sul rigetto del ricorso.
2.Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Erronea supposizione da parte della ordinanza impugnata dell’esistenza di un fatto ritenuto decisivo la cui verità è invece incontrastabilmente esclusa. Fatto che non ha costituito punto controverso sul quale l’ordinanza ebbe a pronunciare (art. 395, comma 1, n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c.). Erronea supposizione… dell’insussistenza di fatti decisivi, la cui verità è invece positivamente stabilita sulla base dei documenti e degli atti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali l’ordinanza ebbe a pronunciare (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c.)”.
Con il primo motivo di ricorso per cassazione il ricorrente aveva dedotto la nullità della sentenza della Corte d’Appello per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c.. La statuizione reiettiva della domanda risarcitoria da parte del Tribunale si era basata sulla seguente argomentazione: l’auto venduta era conforme agli accordi intercorsi tra le parti, i precedenti passaggi di proprietà (che ben potevano essere ignorati dall’acquirente) dalla Opel alla Gema erano irrilevanti, inidonei ad incidere sul valore del bene e aventi solo la funzione di regolare i rapporti economici tra la produttrice dell’auto e la concessionaria. Detta statuizione era stata condivisa dalla Corte d’Appello, ma, secondo l’opinione del ricorrente, senza motivazione e senza rispondere alle censure e alle critiche mosse con l’atto di appello, ove si denunciavano sia la non rispondenza alla realtà commerciale e al contratto estimatorio dell’asserzione secondo cui i rapporti tra la Opel e la concessionaria non fossero rilevanti per l’acquirente dell’auto sia l’omessa indicazione del contenuto degli accordi intercorsi con la Gema, al fine di stabilire se l’auto acquistata fosse conforme agli stessi.
In aggiunta, il Tribunale aveva affermato che auto nuova è quella non precedentemente immatricolata, indipendentemente dai passaggi di proprietà che l’abbiano interessata, omettendo di considerare, come denunciato in appello, che l’immatricolazione viene eseguita dal concessionario, il quale potrebbe avere interesse a ritardarla, che ogni passaggio di proprietà va annotato al PRA, che l’accordo di vendita era viziato, perché il suo consenso era stato carpito con dolo, che la vendita a favore di A.R. non era avvenuta da parte della Opel, ma da parte della Gema, già acquirente del mezzo.
Con il secondo motivo di ricorso per cassazione erano stati denunciati un ulteriore vizio di motivazione e una ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi il giudice d’Appello pronunciato sulla ricorrenza dei reati di cui agli artt. 640 e 515 c.p., nonostante fossero stati dimostrati tanto la ricorrenza degli artifici e raggiri di C.F. che, con la complicità di A.R., rese possibile la doppia intestazione, si inventò una inesistente campagna promozionale al fine di indurlo ad acquistare l’auto, quanto l’acquisto, da parte sua, di un bene diverso (un’auto non nuova) rispetto a quello che aveva chiesto e che si era dichiarato interessato ad acquistare (un’auto nuova).
L’ordinanza revocanda avrebbe trascritto i due motivi di ricorso in maniera assolutamente generica, apodittica ed omissiva, tanto da “non consentire alle parti, al pubblico (l’ordinanza è un atto pubblico) e agli organi preposti all’attuazione della nomofilachia, di conoscere il contenuto delle lamentele, delle censure e delle critiche” rivolte, in appello, alla sentenza di primo grado. Avrebbe, in particolare, ravvisato un implicito rigetto del motivo di appello che denunciava la mancata pronunzia senza spiegare quale era stata l’impostazione logico-giuridica della sentenza d’appello ed in che modo la denuncia formulata risultava incompatibile con essa. Per il ricorrente, la ordinanza, proprio per questo, sarebbe partecipe di un “disegno recondito di evitare la revocazione delle sentenze”.
Dopo tale premessa, il ricorrente provvede ad illustrare la impostazione logico-giuridica della sentenza d’appello, quale emergente a p. 7: era stato dimostrato, per testi, che al cliente era stato proposto l’acquisto di un’auto con uno sconto ulteriore rispetto al prezzo di listino, facendola risultare intestata ad una dipendente della concessionaria, che l’acquirente aveva accettato la proposta, che nel prezzo di acquisto erano state previste le spese per il passaggio di proprietà, le quali non sarebbero state necessarie ove l’auto fosse risultata nuova, che la moglie dell’acquirente aveva sottoscritto una scrittura privata, nella quale si dava atto non solo della consegna del veicolo, ma anche che lo stesso era stato venduto da A.R., che l’auto corrispondeva per marca, modello, motorizzazione e numero di telaio a quella oggetto di contrattazione ed aveva le qualità di fatto e giuridiche promesse.
In considerazione di tanto, la Corte d’Appello aveva escluso la ricorrenza della truffa e della frode in commercio, ma omettendo di considerare – in questo si sostanzia la censura del ricorrente – che l’auto non era stata venduta a A.R. dalla Opel, ma dalla Gema, già proprietaria dell’auto, come era stato evidenziato sia nel ricorso per cassazione sia nella memoria a suo corredo: atti processuali che non sarebbero stati neppure letti anche da questa Corte (oltre che dalla Corte d’Appello, proprio per questa ragione nei confronti della sentenza della Corte d’Appello era stata proposta istanza di revocazione), non permettendole di evincere chi avesse venduto l’auto a A.R., chi avesse concesso lo sconto, quale fosse la campagna pubblicitaria sulla cui scorta era stato praticato lo sconto. Tali omissioni sarebbero state decisive, perché avrebbero permesso di costruire una verità artificiale su cui si era basata la sentenza impugnata, ma, seppur denunciate nel ricorso per cassazione, l’ordinanza revocanda non le avrebbe rilevate, facendo riferimento alla impostazione della sentenza d’appello, peraltro, non definitiva, perché sottoposta a revocazione.
3. Con il terzo motivo il ricorrente imputa all’ordinanza impugnata di essere incorsa in “Erronea supposizione… dell’esistenza di fatti decisivi la cui verità è invece incontrastabilmente esclusa sulla base degli atti e dei documenti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali l’ordinanza ebbe a pronunciare (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 391 bis)”.
Oggetto di censura è la statuizione con cui l’ordinanza ha dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, con il quale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, si lamentava l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e la violazione degli artt. 640 e 515 c.p.. Segnatamente, si imputa, ancora una volta, a questa Corte di non avere letto, se non nell’epigrafe, il motivo di ricorso, come emergerebbe anche dalla non corrispondenza tra la motivazione di inammissibilità e l’epigrafe, posto che non era stata affatto denunciata la valutazione né delle risultanze istruttorie né degli accertamenti in fatto operati dal giudice di merito. Per supportare le sue ragioni il ricorrente riassume il motivo di ricorso e, oltre a domandarsi a quale giudice, il Tribunale o la Corte d’Appello, si riferisca l’ordinanza revocanda, le rimprovera di aver dato per presupposto un fatto, cioè che la Corte d’Appello avesse valutato le risultanze istruttorie e proceduto ad accertamenti di fatto, che non si era verificato, giacché l’istruttoria e l’accertamento in fatto erano stati svolti solo dal Tribunale, non erano stati contestati in appello, ed erano stati arbitrariamente ribaltati dalla Corte d’Appello.
4. Con il quarto motivo si critica l’ordinanza impugnata per “Erronea supposizione…dell’inesistenza di fatti decisivi la cui verità è invece positivamente stabilita sulla base degli atti e documenti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali l’ordinanza ebbe a pronunciare (art. 295 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 391 bis c.p.c.).
La censura investe il rigetto del quarto motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione del giudicato interno, per plurime ragioni: i) l’ordinanza gli avrebbe per errore attribuito la paternità della qualificazione come alternativa della motivazione della Corte d’Appello; ii) il contenuto degli accordi con il rappresentante legale della cessionaria non era stato oggetto di accertamento da parte del Tribunale, ma posto a fondamento della domanda risarcitoria; iii) a base della sua domanda risarcitoria non vi era il fatto di aver acquistato come nuova un’auto risultata usata, ma la truffa e la frode in commercio, stante che egli si era determinato ad acquistare un’auto nuova.
L’ordinanza revocanda, in aggiunta, non avrebbe preso in considerazione: i) la memoria delle controparti, riportata nel ricorso a p. 39, che aveva confermato che la sua intenzione era quella di acquistare un’auto nuova; ii) gli atti da cui emergeva la prova che l’auto non era nuova, ma era una a km 0; iii) che ciò fu intenzionalmente taciuto da C.F. e da A.R.; iv) che non vi era una campagna promozionale in corso da parte della Opel, come quella descritta.
Avrebbe erroneamente supposto l’inesistenza dei raggiri ed artifici, invece, dedotti in giudizio e non contestati dalle controparti: l’auto non era di proprietà della Opel, ma della Gema, la campagna pubblicitaria della Opel non esisteva, i passaggi di proprietà non erano stati due, bensì tre.
Il ricorrente, insiste, dunque, nell’affermare che sui fatti indicati si fosse formato il giudicato, che la Corte d’Appello erroneamente non lo avesse rilevato e che lo stesso avesse fatto l’ordinanza revocanda, torna sulla violazione dell’art. 112 c.p.c., esclusa da questa Corte, e ribadisce che la Corte d’Appello non aveva mai effettuato una valutazione delle risultanze istruttorie, aveva integrato la motivazione del Tribunale, giungendo a conclusioni opposte e, contrariamente alle difese ed ammissioni delle controparti, aveva dichiarato che il patto con il rappresentante legale della concessionaria aveva ad oggetto l’acquisto di un’auto formalmente usata, perché già immatricolata. Denuncia, a proposito dell’ordinanza revocanda, che, escludendo la violazione dell’art. 112 c.p.c., relativamente al risarcimento del danno patrimoniale, sarebbe incorsa in plurimi errori revocatori: i) per avere ignorato, dandola per esistente, la condizione cui era stata subordinata la relativa richiesta, rappresentata dalla dichiarazione di fondatezza dei motivi precedenti – che invece erano stati considerati inammissibili – ed essersi pronunciata nel merito sul danno patrimoniale, anziché dichiarare il motivo assorbito; ii) per aver ritenuto che egli avesse considerato in re ipsa il danno patrimoniale, mentre, invece, in re ipsa avrebbe dovuto essere considerata la prova del danno, infatti, “accertata la truffa, l’an debeatur del risarcimento del danno patrimoniale doveva dirsi anch’esso conseguentemente accertato. Doveva soltanto essere data dal truffato la prova del quantum del danno. La prova era in re ipsa perché è notorio che un’auto a km 0 vale meno di un’auto nuova… come prova dell’entità del danno… aveva indicato, alla stregua delle riviste specializzate prodotte in giudizio, una percentuale di svalutazione dell’auto Km 0 rispetto all’auto nuova”.
5. Con il quinto motivo, viene imputato a questa Corte di avere parzialmente ricostruito il quinto motivo di ricorso per cassazione e di avere omesso di esaminare la richiesta di rigetto della condanna al pagamento delle spese di lite a favore della Gema, essendo stata la stessa condannata in merito alla ricorrenza della garanzia; sicché questa Corte avrebbe supposto erroneamente l’inesistenza di un fatto, la richiesta di condanna della Gema al rimborso delle spese per i tre gradi di giudizio relativamente alla garanzia. A detto errore il ricorrente chiede che questa Corte ponga rimedio se, del caso, con la correzione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., comma 1, II parte.
Con il quarto motivo di ricorso per cassazione, il ricorrente, p. 67, aveva dedotto che il giudice di prime cure aveva condannato la Gema a rimborsare le spese per la riparazione dell’auto ed aveva escluso ogni responsabilità dell’Autoimport, aveva compensato le spese con la società Gema e lo aveva, invece, condannato a rimborsare ad Autoimport le spese di lite, con l’atto di appello aveva impugnato la decisione di prime cure in ordine al quantum della condanna a carico della Gema e in ordine alla esclusione di ogni responsabilità della Autoimport, che si era sottratta ai suoi obblighi, adducendo a pretesto la semi rottura del vetro del faro antinebbia sinistro, e alla condanna alle spese di lite a favore di quest’ultima. Segnatamente, la Autoimport avrebbe dovuto considerarsi responsabile di non avere eseguito la riparazione, nonostante fosse stato accertato che l’auto godeva della copertura assicurativa per le riparazioni e la messa in efficienza. Il Tribunale aveva negato che l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta fatta valere in giudizio potesse coinvolgere, in quanto azione contrattuale, la Autoimport. Il ricorrente afferma di aver dimostrato in appello che la Autoimport doveva considerarsi responsabile di avere illegittimamente rifiutato di riparare gratuitamente l’auto non già in ragione dell’art. 1490 c.c., ma per effetto della convenzione con la Opel, che le attribuiva il ruolo di ausiliaria incaricata dei lavori di riparazione e di mantenimento in efficienza, ex artt. 2049 e 2043 c.c.. La Corte d’Appello aveva ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda nei confronti dell’Autoimport basata sull’art. 2049 c.c., trattandosi di domanda nuova rispetto a quella contrattuale formulata in primo grado. L’ordinanza revocanda avrebbe erroneamente ed acriticamente aderito alla tesi che nei confronti dell’Autoimport fosse stata formulata una domanda risarcitoria extracontrattuale, là dove la domanda originaria nei confronti dell’officina era volta ad ottenere l’accertamento della garanzia Opel a copertura dei danni all’auto e il rimborso, in solido con la Gema, di quanto corrisposto per la riparazione, oltre alla rifusione delle spese di lite, data la soccombenza anche della Autoimport in ordine alla garanzia.
6.Con il sesto motivo il ricorrente lamenta di essere stato erroneamente condannato ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, deducendo: i) di non essere stato in mala fede né in colpa grave, ma di aver esercitato il diritto di difesa costituzionalmente garantito; ii) l’inapplicabilità dell’art. 385 c.p.c., comma 4, abrogato con la L. n. 69 del 2009, cinque anni dopo la pubblicazione della sentenza d’Appello; iii) l’inesistenza di alcuna norma che legittimi il giudice ad esternare giudizi nei confronti delle parti e dei loro difensori – il riferimento è all’affermazione secondo cui le censure formulate nei confronti della sentenza d’Appello apparissero basate “su di un evidente errore nell’interpretazione di norme sostanziali o processuali in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale”; iv) che l’ordinanza revocanda, pur essendo stata la decisione assunta nella Camera di consiglio non partecipata del 28 giugno 2017, era stata pubblicata solo il 12 giugno 2018.
7. Con l’ultimo motivo, il settimo, il ricorrente chiede l’accertamento, anche d’ufficio, dell’arbitrarietà del capo n. 7, di p. 9, con conseguente accoglimento del ricorso originario.
8. Pur essendo plurime le ragioni di censura avverso l’ordinanza di questa Corte, esse presentano tratti comuni che ne giustificano la trattazione unitaria.
9. Deve, innanzitutto, ribadirsi che: i) l’errore di fatto revocatorio ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; ii) il fatto su cui cade l’errore non deve avere costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato, perché l’errore presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
10. Orbene, errori aventi tali caratteristiche non solo non vi sono stati nel caso di specie, ma nemmeno risultano dedotti nei motivi.
11. In via preliminare ed in linea generale si osserva che buona parte degli errori imputati alla ordinanza revocanda, ritenuti il riflesso della condivisione della impostazione logico-giuridica della sentenza della Corte d’Appello di Roma, scambia per errori di fatto revocatori gli esiti – evidentemente non in linea con i desiderata del ricorrente – del potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche ed eventualmente in difformità rispetto alle indicazioni delle parti – nonché gli effetti dei limiti strutturali e funzionali del giudizio di legittimità, atteso che da esso non può pretendersi una riesame della quaestio facti.
12. Proprio in considerazione di ciò, deve affermarsi che nessun rimprovero può essere mosso alla ordinanza revocanda per avere riassunto in poche pagine, a fronte delle ben 46 pagine e mezza utilizzate per la proposizione del ricorso, l’esposizione del fatto materiale e processuale e le ragioni a sostegno dei motivi di ricorso per cassazione. Il ricorrente, malgrado gli sforzi profusi, non ha affatto dimostrato che questa Corte sia venuta meno all’obbligo di ricostruire esattamente i fatti né che abbia trascurato fatti decisivi che, ove esaminati, avrebbero determinato un diverso esito del ricorso per cassazione. Spetta alla Corte di Cassazione interpretare la volontà del ricorrente ed individuare in forma dilemmatica il tema della decisione. Nella sostanza, infatti, ciò che il ricorrente lamenta è proprio il risultato di tale qualificazione e la delimitazione del tema della decisione, ma senza apportare elementi utili a dimostrare che tali attività siano viziate da errori revocatori, dovendosi escludere che la sintesi delle ragioni di fatto e di diritto sia ascrivibile ad errore.
12.1. Sembra essersene avveduto lo stesso ricorrente che, a p. 28, dopo essersi dichiarato consapevole di aver mosso all’ordinanza revocanda solo rilievi giuridici, più esatto sarebbe stato dire dopo avere ammesso di non avere individuato errori revocatori, si propone di cambiare rotta e, quindi, di dimostrare la ricorrenza di errori di fatto che inficerebbero di riflesso l’ordinanza di questa Corte, essendo detti errori attribuiti alla impostazione logico-giuridica della sentenza della Corte territoriale, oggetto, a sua volta, come più volte sottolineato, di un giudizio di revocazione.
12.2. A tale scopo il ricorrente individua quelle che ritiene sviste involontarie della sentenza della Corte d’Appello dovute a disattenzione (p. 31) che denoterebbero e confermerebbero, secondo la sua ipotesi, che l’impostazione della Corte territoriale non aveva tenuto conto che l’auto venduta doveva essere di proprietà della Opel e non della Gema, cioè doveva essere nuova quando era stata trasferita a A.R., che la sua intenzione era quella di acquistare un’auto nuova, non un’auto sostanzialmente nuova né formalmente usata, perché già immatricolata.
Lo sforzo non raggiunge lo scopo, perché, ancora una volta, quanto denunciato trasmoda dal perimetro dell’errore revocatorio; infatti, l’ubi consistam della doglianza si risolve in una ennesima pretesa di rivalutazione degli accertamenti fattuali.
12.3. Del tutto eccentrico è l’interrogativo con cui, a p. 38, il ricorrente sembra dolersi del fatto che la Corte di Cassazione non abbia specificato a quale giudice di merito si riferisse quando aveva dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso. Il ricorso per cassazione riguardava infatti la sentenza della Corte d’Appello e davvero non si capisce di cosa dubiti il ricorrente.
13. Anche le numerose doglianze formulate con il quarto motivo di ricorso non hanno affatto la sostanza di errori revocatori; muovono tutte da una premessa in fatto – che il ricorrente sia stato vittima di una truffa o di una frode in commercio – che non è stata riconosciuta ricorrente in alcuno dei precedenti giudizi e che il ricorrente ripropone con ostinazione, ma senza poter contare su alcuno strumento efficace a suo supporto ed a supporto della tesi che l’ordinanza in esame meriti di essere revocata.
14. Quanto alla questione relativa alla mancata condanna della Autoimport a restituire quanto ricevuto per la riparazione dell’auto che era risultata coperta da garanzia, ancora una volta, anteponendo una propria qualificazione delle pretese avanzate in giudizio e delle norme applicabili, il ricorrente pretende di sostituirsi alle valutazioni dei giudici – ritenendo anche la Autoimport soccombente rispetto alla copertura della garanzia – senza in alcun modo dimostrare la ricorrenza di una svista che possa giustificare la revocazione pretesa.
14. Infine, deve escludersi alcun errore revocatorio nella decisione della Corte di Cassazione di ricorrere all’art. 385 c.p.c., comma 4.
E’ dirimente la constatazione che seppure questa Corte avesse errato, gli errori sarebbero stati di diritto e non tali da giustificare la revocazione dell’ordinanza, tuttavia si deve osservare, ad abundantiam, che: i) la sentenza della Corte d’Appello era stata pubblicata il 25 novembre 2014 e che ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, le disposizioni del Capo I – artt. 1-19, ad eccezione dell’art. 1 e art. 19, comma 1, lett. f), si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006; quindi correttamente era stata invocata l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4; ii) l’ordinanza ha correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte quando ha individuato i presupposti per la condanna al pagamento di Euro 3.000,00 in aggiunta alle spese di giudizio.
15. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento in alcuna delle sue articolazioni.
16. Nulla deve essere liquidato per le spese del presente giudizio, atteso che gli intimati non vi hanno svolto attività difensiva.
17. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13/05/2014, n. 10306).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dalla Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021
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