LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24929-2016 proposto da:
N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE FILIBERTO n. 166, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CORVASCE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PASTEUR 5, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA GIANNUBILO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI CARPAGNANO;
– controricorrente –
nonché contro C.A. & C. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI n. 209, presso lo studio dell’avvocato SABINO GIUSEPPE PIAZZOLLA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ANTONIO LOGOLUSO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 326/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 21/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;
udito il P.G., nella persona del Sostituto Dott. MISTRI CORRADO, il quale ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale;
udito l’Avvocato ANTONIO CORVASCE, per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato FRANCESCO ANTONIO LOGOLUSO, per il ricorrente incidentale C.A. & C. S.r.l., che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 1.4.2010 S.M. evocava in giudizio N.G. e C.A. innanzi il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, invocando in via principale l’accertamento della nullità degli atti di variazione catastale posti in essere dal C., per conto della N., con i quali erano stati attribuiti identificativi catastali autonomi ad una parte della corte comune a servizio di un edificio, nonché della compravendita del 17.1.2007 con la quale la N. aveva acquistato la proprietà esclusiva di detta porzione; in subordine, l’accertamento dell’esistenza di un diritto reale d’uso sul predetto bene comune. L’attore invocava inoltre la condanna della N. al rilascio del bene illegittimamente occupato, alla cessazione delle turbative all’esercizio del suo diritto ed al risarcimento del danno. Lo S. lamentava, in particolare, il fatto che la N. parcheggiasse la sua vettura nello spazio illecitamente acquistato, in realtà adibito ad uso comune, così impedendo, o rendendo comunque maggiormente difficoltoso, il suo diritto di utilizzare il posto auto, esistente nello stesso cortile comune, del quale egli aveva acquistato la proprietà esclusiva per successione del proprio genitore, che a sua volta lo aveva acquistato giusta atto di compravendita dell’8.11.1985.
Si costituiva la convenuta N., eccependo il difetto di giurisdizione a favore del giudice tributario – per quanto attiene alla domanda di nullità della variazione catastale -, contestando la domanda e spiegando in subordine eccezione riconvenzionale di usucapione dell’area oggetto della compravendita del 17.1.2007.
Con sentenza n. 147/2011 il Tribunale rigettava la domanda principale dell’attore, accogliendo solo quella relativa alla turbativa nell’uso del posto auto dello S.. Il primo giudice riteneva, in particolare, che l’attore non avesse fornito la prova della proprietà, o comproprietà, dell’area oggetto della compravendita del 17.1.2007, ma fosse titolare di un diritto di passaggio veicolare sulla rampa di accesso dell’edificio, peraltro riconosciuto anche nella richiamata compravendita del 17.1.2007, sulla quale insisteva, in parte, l’area oggetto di detto negozio; ordinava quindi alla N. di cessare qualsiasi turbativa e molestia all’esercizio del diritto dello S..
Quest’ultimo interponeva appello avverso detta decisione, mentre la N. si costituiva in seconde cure, spiegando a sua volta appello incidentale, reiterando le eccezioni di difetto di giurisdizione e di usucapione ed invocando il rigetto della domanda dell’attore. Si costituiva anche il C., resistendo al gravame.
Con la sentenza impugnata, n. 326/2011, la Corte di Appello di Bari accoglieva l’impugnazione principale, dichiarando l’inefficacia, nei confronti dell’attore, della compravendita del 17.1.2007 ed ordinando la trascrizione della sentenza presso la competente Conservatoria dei RR. II., rigettando invece l’appello incidentale. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, che il cortile comune fosse compreso nell’ambito dei beni elencati dall’art. 1117 c.c. e che la N. non avesse fornito la prova idonea a superare la presunzione di proprietà comune sullo stesso; che dunque la parte venditrice non fosse proprietaria del bene venduto nel 2007 alla N.; che costei avesse spiegato in via riconvenzionale mera eccezione, e non domanda, di usucapione, e che dunque non fosse necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti al condominio dello stabile; che l’appellante incidentale non avesse fornito idonea prova del possesso esclusivo ai fini dell’usucapione.
Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza N.G., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso S.M..
Resiste altresì, con separato controricorso, C.A., spiegando ricorso incidentale affidato a sua volta a quattro motivi, esso pure resistito da S.M. con apposito controricorso.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente principale e la ricorrente incidentale hanno depositato memoria. La ricorrente principale ha altresì chiesto la discussione orale del ricorso, ai sensi di quanto previsto dal D.L. n. 137 del 2020, convertito in L. n. 176 del 2020.
Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. CORRADO MISTRI, ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c., artt. 948,2728,2729 e 2697 c.c., il vizio di motivazione e l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, perché la Corte di Appello non avrebbe spiegato i motivi per i quali avrebbe ritenuto non decisive le risultanze degli atti di compravendita con i quali, rispettivamente, erano stati venduti all’attore ed alla convenuta i rispettivi posti auto.
La censura è inammissibile.
A differenza di quanto affermato da parte ricorrente principale, la sentenza impugnata tiene conto delle risultanze degli atti di cui anzidetto, esaminandone il contenuto. In aggiunta, il Giudice di merito tiene anche conto delle risultanze degli altri atti, con i quali il costruttore aveva venduto altri due posti auto ad altri condomini (cfr. pag. 7), dando atto che, in funzione delle descrizioni contenute in tutti gli atti pubblici esaminati, ed alla luce della consistenza e conformazione della corte comune, non si poteva individuare un quarto posto auto, ulteriore rispetto ai tre originariamente venduti ad altrettanti condomini, tra cui l’attore. La valutazione condotta dal giudice di merito, dunque, ha riguardato tutti gli elementi probatori acquisiti agli atti del giudizio, e -rispetto ad essa- la censura propone una complessiva rilettura della fattispecie, finalizzata soltanto ad ottenere un nuovo giudizio sul fatto, estraneo alle finalità ed alla natura del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 c.c., del D.M. Interno 1 febbraio 1985 e della circolare del D.M. Interno dell’11.8.1995, nonché, in via gradata, dell’art. 1158 c.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe dato rilievo alla circostanza che la società C. S.r.l., proprietaria e costruttrice dell’edificio, si era riservata, negli atti di vendita conclusi con i vari condomini nel 1985, la proprietà dell’intero piano scantinato, parzialmente adibito a parcheggio. Ad avviso della ricorrente principale, dunque, la predetta società era pienamente legittimata, nel 2007, a disporre di una parte dell’area di sua proprietà esclusiva, cedendola ad essa ricorrente. La presunzione di proprietà comune derivante dall’art. 1117 c.c., dunque, sarebbe esclusa dall’esistenza di un titolo contrario, attestante la proprietà esclusiva dello spazio oggetto di contestazione.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata tiene conto del fatto che la società C. S.r.l., originariamente proprietaria dell’edificio, si fosse riservata la proprietà del piano scantinato, in parte adibito a parcheggio, ma non la ritiene rilevante, alla luce di una interpretazione complessiva tanto dell’atto di acquisto con cui lo S. aveva, nel 1985, acquistato la sua porzione immobiliare con annesso posto auto, quanto degli altri atti con i quali erano stati venduti, in epoca coeva, a terzi altri due posti auto originariamente esistenti nella corte comune di cui è causa. La Corte di Appello afferma, inoltre, che la tesi del costruttore, secondo cui vi sarebbe stato un errore materiale nell’atto dell’8.11.1985, concluso con il padre dello S., è destituita di fondamento, perché quanto dichiarato in detto atto corrisponde con quanto riportato negli altri atti di vendita degli altri due originari posti auto di cui anzidetto (cfr. pag. 6). La Corte distrettuale, quindi, passa ad esaminare lo stato dei luoghi, ed esclude la possibilità di individuare, nella restante area comune destinata a spazio di manovra a servizio degli originari tre posti auto, l’ulteriore posto auto oggetto della vendita del 2007 a favore della N. (cfr. pag. 7). Sulla base di tali premesse in fatto, il giudice di merito accerta la natura condominiale dello spazio di cui si discute.
Il complessivo accertamento in fatto non è adeguatamente scalfito dalla censura in esame, con la quale la ricorrente propone – in sostanza – una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, senza però confrontarsi pienamente con i vari argomenti utilizzati dalla Corte di merito. La ricorrente afferma infatti che, quando il costruttore si riserva la proprietà di un’area, ne può disporre liberamente, poiché tale riserva supera la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 730 del 16/01/2008, Rv. 601494), ma non considera il decisivo fatto che, nel caso di specie, la Corte pugliese ha accertato, in concreto, che l’area di cui si discute era destinata a consentire l’accesso ai tre originari posti auto di proprietà individuale e che parcheggiare una vettura su parte di essa non fosse tecnicamente possibile, senza violare il diritto dei titolari dei predetti posti auto di accedervi liberamente. L’affermazione della sussistenza della presunzione di condominialità dello spazio di cui si discute, dunque, è fondata su un accertamento non limitato ai soli titoli, ma anche esteso allo stato effettivo dei luoghi. Estensione che si giustifica in considerazione della circostanza -evidenziata anche dal giudice di merito – che la riserva di proprietà non aveva ad oggetto in modo specifico la rampa di accesso al piano scantinato, né tantomeno la parte di essa di cui la C. S.r.l. ha disposto nel 2007, ma l’intero piano scantinato, parzialmente adibito a parcheggio, nella parte in cui esso non aveva costituito l’oggetto delle compravendite del 1985. La riserva contenuta in questi ultimi atti, dunque, è stata ritenuta efficace dalla Corte di seconda istanza soltanto per la parte del piano scantinato non ricompresa negli atti di alienazione di cui sopra, né destinata, per le sue caratteristiche concrete (oggetto di accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede) all’uso comune, e quindi soggetta all’art. 1117 c.c. Il Giudice di merito, in tal modo, si è limitato ad interpretare gli atti depositati nel fascicolo del giudizio, in modo non implausibile; rispetto a tale valutazione, la ricorrente propone, in sostanza, una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, senza confrontarsi con il principio, già ribadito in occasione dello scrutinio del primo motivo di ricorso, secondo cui li quest’ultimo non può risolversi in una mera istanza di revisione del giudizio di fatto complessivamente condotto dal giudice di merito (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790, cit.).
La conclusione cui è pervenuta la Corte di Appello, peraltro, è del tutto coerente con l’ulteriore affermazione dello stesso giudice, secondo cui, poste le caratteristiche e le dimensioni della rampa di accesso alla parte adibita a parcheggio del piano scantinato, e quindi la sua idoneità solo a consentire il passaggio ai titolari dei posti auto originari, se la società costruttrice avesse effettivamente voluto riservarsene la proprietà esclusiva, avrebbe necessariamente dovuto prevedere un diritto di servitù di passaggio veicolare su di essa, a favore dei titolari degli originari tre posti auto esistenti nello scantinato. La mancata previsione di tale diritto reale, negli atti di compravendita del 1985, aventi ad oggetto i predetti originari posti auto, rappresenta – secondo la Corte distrettuale – un elemento confermativo del fatto che, nell’originario disegno del costruttore, lo spazio destinato all’accesso al piano scantinato, parzialmente ceduto alla N. nel 2007, non era stato oggetto di alcuna riserva di proprietà, ma -piuttosto- era stato destinato ad uso comune. Anche questa valutazione è conseguenza di un apprezzamento di fatto, frutto di un ragionamento non implausibile, che non è – in quanto tale – utilmente sindacacabile in sede di legittimità.
Con il terzo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 1079 c.c., perché la Corte di merito avrebbe erroneamente rigettato l’appello incidentale con il quale la N. aveva contestato la decisione di prime cure, nella parte in cui essa aveva accolto la domanda dello S., sia pure limitatamente alla sola cessazione delle molestie all’uso del posto auto di sua proprietà.
La censura, che non è neppure assistita da adeguata argomentazione in diritto, è inammissibile. Essa si risolve, in sostanza, nell’affermazione che la N. avesse dimostrato, nel corso del giudizio di merito, di aver sempre usato il posto auto poi oggetto dell’atto di acquisto del 2007, ma non si confronta adeguatamente con la parte della decisione impugnata con la quale la Corte di Appello rigetta espressamente l’eccezione riconvenzionale di usucapione proposta dall’odierna ricorrente, ritenendola non provata (cfr. pagg. 11 e s. della sentenza). Statuizione, quest’ultima, che non è neppure espressamente attinta dal motivo in esame.
Con l’ultimo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. ed il vizio di motivazione, perché il giudice di merito l’avrebbe erroneamente condannata alla refusione delle spese del doppio grado, senza considerare che almeno quelle di prime cure avrebbero dovuto essere compensate, posto che lo S. era risultato soccombente in relazione alla domanda di risarcimento del danno dal medesimo proposta.
La censura è infondata.
Il governo delle spese dipende dall’esito complessivo della lite, all’esito della quale lo S. è risultato vittorioso, in riferimento alla sua domanda principale. Il giudice di merito avrebbe certamente potuto valorizzare il rigetto della domanda risarcitoria al fine di compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio di merito, ma la relativa valutazione appartiene al suo insindacabile apprezzamento, essendo sufficiente che la complessiva distribuzione delle spese non collida con l’effettivo esito del giudizio, e quindi che la parte sostanzialmente vittoriosa non sia condannata alla refusione degli oneri di un giudizio nel quale essa ha prevalso (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925). Il sindacato sul governo delle spese di lite, pertanto, è diretto solo “… ad evitare che siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensarne i costi tra le parti e consiste, come affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 157 del 2014), in una verifica in negativo in ragione della elasticità costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese in favore della parte vittoriosa” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21400 del 26/07/2021, Rv. 662213).
Il ricorso principale, dunque, va complessivamente rigettato.
Passando all’esame dei motivi del ricorso incidentale, con il primo di essi la C. S.r.l. lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., perché la Corte di Appello sarebbe incorsa in ultrapetizione, pronunciando l’inefficacia della compravendita conclusa tra la società e la N. nel 2007, senza considerare che lo S. aveva invocato solo la declaratoria della nullità del predetto atto.
La censura è infondata.
L’azione di nullità è finalizzata ad ottenere la caducazione degli effetti dell’atto impugnato erga omnes, mentre la domanda di inefficacia è tesa ad eliminarli soltanto in relazione alla posizione dell’attore. In riferimento a quest’ultima, dunque, l’effetto finale delle due diverse iniziative è dunque sostanzialmente analogo. Anche se la Corte di Appello non affronta in alcun modo la questione, si può rinvenire nella motivazione complessiva della sentenza impugnata – con la quale il giudice di merito interpreta le risultanze dei vari atti di acquisto dei diversi posti auto insistenti sulla corte comune oggetto di causa e le confronta con lo stato effettivo dei luoghi – l’implicita configurazione dell’azione spiegata dallo S. in termini di domanda volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia, nei suoi confronti, dell’atto di alienazione intercorso, nel 2007, tra la C. S.r.l. e la N.. Di conseguenza, non si configura alcuna lesione dell’art. 112 c.p.c., perché il giudice di merito non si è pronunciato su una domanda non proposta, ma ha semplicemente interpretato la domanda formulata da parte attrice, pronunziandosi su di essa.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la proprietà comune del cortile e della rampa oggetto di causa.
La censura è infondata, per le stesse considerazioni già espresso in relazione alla confutazione del secondo motive del ricorso principale.
Con il terzo motivo, la società ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1367 c.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato le risultanze dell’atto di vendita del 1985, con il quale il padre dello S. aveva acquistato il suo posto auto.
La censura è inammissibile, in quanto la C. S.r.l. propone una lettura alternativa dell’atto in esame, senza confrontarsi né con i diversi argomenti logici utilizzati dalla Corte di Appello, nella motivazione della sentenza impugnata, a sostegno dell’interpretazione prescelta, e senza considerare che l’apprezzamento e la valutazione delle prove appartiene, in linea di massima, al giudice di merito, onde il motivo di ricorso non può limitarsi alla prospettazione di una ipotesi interpretativa difforme da quella del giudice di merito, laddove quest’ultima non risulti implausibile.
Con il quarto motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe fondato la propria decisione su elementi controversi tra le parti, facendo ricorso a ragionamenti presuntivi in realtà non convincenti.
La doglianza è inammissibile.
Come per il terzo motivo, anche in questo caso si censura l’apprezzamento delle prove e la ricostruzione del fatto che la Corte di Appello ha ritenuto più verosimile. Va ribadito, sul punto, che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., Ric. 2016 n. 24929 sez. 52 – avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585). Poiché l’interpretazione fornita dalla Corte di Appello non è implausibile, la censura in esame, che consiste nella prospettazione di una ipotesi interpretativa alternativa a quella prescelta dal Giudice di merito, non è ammissibile.
Da quanto precede deriva il rigetto anche del ricorso incidentale.
In funzione del rigetto, tanto del ricorso principale, che di quello incidentale, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate per intero, tra le rispettive parti. La ricorrente principale va invece condannata alla refusione delle dette spese, liquidate come da dispositivo, in favore della parte controricorrente S., in applicazione della regola generale della soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta tanto il ricorso principale che quello incidentale. Compensa per intero le spese del presente giudizio di legittimità tra la parte ricorrente principale e quella ricorrente incidentale. Condanna invece la parte ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente S., liquidandole in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte del ricorrente principale che di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021
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