Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.41437 del 23/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13438-2019 proposto da:

S.R., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE SODDU;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore speciale, D.F.M., elettivamente domiciliata in ROMA presso lo Studio dell’avvocato ITALO BENIGNI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2716/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata in data 06/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella CAMERA DI CONSIGLIO del 22/09/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

RILEVATO

che:

S.R. ricorre, affidandosi a dodici motivi, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza n. 2716/2018 della Corte d’Appello di Napoli, resa pubblica il 6 giugno 2018.

Resiste con controricorso Unipolsai Assicurazioni.

La vicenda trae origine dall’incidente stradale che, il *****, coinvolgeva S.S., terza trasportata a bordo dell’auto condotta da S.F.. In conseguenza dell’incidente la vittima citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avellino, Sai Assicurazioni, R. e S.F., rispettivamente, assicuratrice, proprietario e conducente dell’auto su cui viaggiava, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale, con sentenza n. 273/2005, condannava i convenuti in solido al pagamento di Euro 354.349,93.

Nel 2007, Fondiaria Sai SPA conveniva in giudizio S.R., formulando azione di rivalsa volta ad ottenere la restituzione della somma corrisposta alla danneggiata. Il convenuto contestava la fondatezza della domanda e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della compagnia di assicurazioni per mala gestio, oltre al riconoscimento del danno morale ed esistenziale e alla condanna per lite temeraria.

Il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 871/2010, condannava S.R. a pagare alla Fondiaria Sai Euro 358.576,43, oltre agli interessi legali ed alle spese di lite.

La Corte d’Appello di Napoli, investita del gravame dal soccombente, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava l’appello, confermava la decisione di prime cure e condannava S.R. al pagamento delle spese di lite.

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione degli artt. 352,359 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4. Nullità del procedimento e della sentenza”. La censura investe la statuizione con cui il giudice a quo ha rigettato l’eccezione di nullità “per avere la Corte fissato udienza ex art. 281 sexies c.p.c., anziché ex art. 281 quinquies c.p.c., come richiesto dalla parte, senza assegnare termine per deposito di comparse conclusionali”, ritenendola, innanzitutto, meramente dilatoria, e, poi, dimostrando, attraverso la sintesi del diario del processo, che entrambe le parti avevano esaurientemente e diffusamente esplicitato le proprie difese, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e di difesa, contemperato con il principio di ragionevole durata del processo, e vieppiù rilevando che l’eccezione non era supportata dalla dimostrazione della concreta lesione eventualmente derivatane (pp. 3 -4 della sentenza).

La tesi del ricorrente è che, avendo chiesto la fissazione dell’udienza ex art. 352 c.p.c. e non ex art. 281 sexies, il Presidente avrebbe dovuto fissare l’udienza di discussione, come statuito da Cass. n. 6205/2009.

1.1. Il motivo è infondato.

L’omessa fissazione, nel giudizio d’appello, dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte, ai sensi dell’art. 352 c.p.c., non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, onde, poiché la discussione della causa nel giudizio d’appello ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non è sostitutiva delle difese scritte di cui all’art. 190 c.p.c., per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito di esporre meglio la propria linea difensiva, ma è necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi (cfr., in tal senso, Cass. 10/12/2020, n. 28188; Cass. 27/11/2017, n. 28229).

Ora, come già rilevato dalla Corte d’Appello, il ricorrente non aveva allegato di aver subito alcuna lesione del proprio diritto di difesa. A quanto consta a questa Corte, S.R. deduce per la prima volta con la memoria, ex art. 380 bis c.p.c., di aver potuto depositare solo con la comparsa conclusionale una serie di atti sopravvenuti – segnatamente la dichiarazione con cui S.S. aveva dichiarato di non aver mai dattiloscritto, spedito, firmato o consegnato all’avv. M. la lettera del 28 maggio 1998 che quest’ultimo affermava di avere allegato a quella del 4 giugno 1998, peraltro, mai inoltrata ai destinatari indicati – quindi ammissibili ex art. 345 c.p.c. e che la discussione orale sarebbe stata l’unica occasione in cui trattarne oralmente, oltre che l’unica in cui operare le scelte di cui all’art. 221 c.p.c.

La memoria, per giurisprudenza consolidata, non è lo strumento attraverso cui sanare i vizi e colmare le carenze del ricorso per cassazione. La funzione della memoria ex art. 380 bis c.p.c. – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di ratio – è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. 07/02/2020, n. 2976).

Ad abundantiam, va osservato che il ricorrente non ha fornito alcuna dimostrazione della utilità/decisività della documentazione che asserisce di non essere stato in grado di produrre ritualmente e tempestivamente nel giudizio di primo grado.

2.Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Nullità del procedimento (art. 158 c.p.c.) e della sentenza (art. 161 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Illegittimità costituzionale del D.L. n. 69 del 2013 convertito in L. n. 98 del 2013, artt. da 63 a 72. Violazione degli artt. 3,97,104,106,107,108 e 109 Cost.”, per avere la sentenza impugnata rigettato l’eccezione sul vizio relativo alla composizione del collegio giudicante del quale faceva parte ed aveva assunto il ruolo di relatore un giudice ausiliario e per aver ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale allo stesso scopo proposta.

2.1. Sulla questione è intervenuta la Consulta che, con la decisione n. 41 del 17 marzo 2021, ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata da questa Corte, con le ordinanze nn. 84 e 96 del 2020, ed ha dichiarato costituzionalmente illegittimi del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, gli artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della L. 28 aprile 2016, n. 57). La Consulta, con una pronuncia che essa stessa ha definito additiva, ha inserito nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire ed ha statuito, per quanto di specifico rilievo nella vicenda per cui è causa, che “in tale periodo è legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario”, giacché l’interazione dei valori in gioco evidenzia, nell’immediato, il pregiudizio all’amministrazione della giustizia e quindi alla tutela giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni diritto fondamentale, che deriverebbe da un’immediata espunzione dal sistema delle norme dichiarate costituzionalmente illegittime, essendo alla Corte ben presente l’esigenza di “evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria”. Pertanto, ha reputato che fosse soluzione costituzionalmente adeguata alla protezione dei valori in gioco che la declaratoria di illegittimità delle disposizioni censurate lasciasse al legislatore un sufficiente lasso di tempo, onde assicurare la “necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale”, segnatamente dell’art. 106 Cost., comma 2.

2.2. Il motivo, pertanto, non può essere accolto.

2.3. Tale conclusione non è il alcun modo inficiata da quanto il ricorrente deduce con la memoria ex art. 380 bis c.p.c., e cioè che la questione di legittimità costituzionale eccepita nel ricorso evidenzia aspetti ulteriori – che, comunque, non ha specificato neppure nella memoria – rispetto a quelli presi in considerazione dalla menzionata sentenza della Corte Costituzionale.

3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce “Nullità del procedimento e della sentenza per incompatibilità del giudice, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 Violazione degli artt. 111 Cost., comma 2, e artt. 51 e 58 c.p.c.”, per avere il giudice relatore, ausiliario, deciso della infondatezza di una questione di legittimità costituzionale che lo riguardava, anziché astenersi.

3.1. Il motivo è assorbito.

4. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 84 c.p.c., e per violazione dei principi in tema di interpretazione dei contratti e dei negozi giuridici in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nel giudizio di primo grado il ricorrente aveva dedotto l’invalidità e/o l’inesistenza della procura alle liti rilasciata dal procuratore speciale dell’assicurazione, poiché l’importo della causa superava i 160.000,00 Euro, il valore massimo per il quale il procuratore speciale aveva potere di rappresentanza. Il Tribunale aveva respinto l’eccezione, rilevando che il suddetto limite di valore si riferiva agli atti di liquidazione sinistri ed ai relativi pagamenti, ma non anche al conferimento della procura ad litem che il procuratore speciale poteva conferire per qualsiasi tipo di giudizio, fatta eccezione per quello di legittimità.

La Corte d’Appello, dinanzi alla quale era stata formulata analoga eccezione, ha confermato la conclusione del Tribunale, ritenendo evidente che la procura speciale escludesse il potere di procedere alla liquidazione stragiudiziale di sinistri, provvedendo al loro pagamento per somme eccedenti il valore di Euro 160.000,00, ma comprendesse la rappresentanza nei giudizi attivi e passivi in qualsiasi sede giurisdizionale, ordine e grado, e nelle procedure concorsuali, con la sola esclusione dei giudizi dinanzi alla Cassazione.

La tesi del ricorrente è che tale conclusione contrasti con i canoni dell’interpretazione letterale, logica e sistematica, poiché il mandato conferito all’avvocato comprendeva anche il potere di conciliare e transigere e tale potere non poteva che essere contenuto entro i 160.000,00 Euro, atteso che il delegato non può delegare ad altri un potere maggiore di quello egli stesso ha. Di conseguenza, non sarebbe compatibile con i canoni dell’interpretazione logica affermare che il limite di competenza riguardava solo gli atti negoziali e non anche quelli di conferimento della procura alle liti.

4.1. La censura va disattesa.

Innanzitutto, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perché la procura speciale del cui contenuto si controverte non è stata riprodotta in giudizio (sul punto è sufficiente richiamare Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469).

In secondo luogo, risulta evidente che il ricorrente non censura, come avrebbe dovuto, l’utilizzo dei canoni di interpretazione degli atti di autonomia privata, ma l’esito dell’attività interpretativa, proponendone all’attenzione di questa Corte uno diverso, corrispondente ai suoi desiderata, vale a dire l’estensione della limitazione del potere di sottoscrivere transazioni a quella di conferire procure ad litem. Deve darsi seguito alla costante nomofilachia con cui è stato precisato che le censure relative all’ermeneutica negoziale non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione della parte ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr., per tutte, Cass. 28/11/2017, n. 28319).

5.Con il quinto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo ritenuto non vessatorio e non necessitante di specifica sottoscrizione, ai sensi dell’art. 1341 c.c., l’art. 2 delle condizioni generali di contratto, il quale escludeva la copertura nel caso di assicurazione della responsabilità per i danni subiti dai terzi trasportati, se il trasporto non è effettuato in conformità alle disposizioni vigenti ed alle indicazioni della carta di circolazione.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce “Falsa applicazione dell’art. 1341 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e ss. e dei canoni dell’interpretazione contrattuale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Interpretando la clausola n. 2 delle condizioni generali di contratto come clausola non vessatoria, la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione.

Dopo aver ritenuto dubbia la linea di demarcazione tra clausole delimitative della responsabilità e clausole di determinazione dell’oggetto del contratto, il ricorrente richiama l’art. 1 della direttiva n. 90/232 e l’art. 12 della direttiva n. 103/2009, per il quale l’assicurazione copre la responsabilità per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall’uso del veicolo, nonché la sentenza n. 356/2007 e la n. 442/2011 della Corte di Giustizia, allo scopo di sostenere che la copertura assicurativa a favore dei terzi trasportati non poteva essere esclusa nell’ipotesi di un numero di passeggeri superiore rispetto a quello previsto per l’autovettura dalla carta di circolazione.

6.1. I motivi quinto e sesto possono essere scrutinati congiuntamente, perché riguardano la medesima questione.

6.2. Ad avviso del Collegio, sono entrambi infondati.

Questa Corte – cfr., ad esempio, Cass. 07/11/1997, n. 10947 – ha già avuto occasione di occuparsi specificamente di una clausola avente proprio lo stesso contenuto e lo stesso tenore letterale di quella per cui è causa, escludente la garanzia assicurativa nel caso in cui il trasporto di terzi fosse avvenuto in contrasto con le disposizioni normative e le prescrizioni della carta di circolazione dell’auto assicurata, ritenendo che “l’esclusione dalla copertura assicurativa di eventi sinistrosi verificatisi nel concorso di previste circostanze che aggravano il rischio non costituisce clausola limitativa di responsabilità dell’assicuratore, delimitando invece l’oggetto della garanzia prestata nonché i precisi termini della obbligazione assunta dall’assicuratore; delimitazione, in quanto tale, non soggetta ad approvazione per iscritto a norma del citato art. 1341 c.c. (…) Cass. 8 gennaio 1987, n. 22; Cass. 17 novembre 1994, n. 9745). Sotto altro aspetto, la clausola facendo applicazione di disposizioni di legge di carattere imperativo attinenti alla circolazione non può considerarsi vessatoria, ancorché escluda una copertura assicurativa che in difetto di una precisa delimitazione del rischio in riferimento a situazioni oggettive e soggettive, potrebbe non ritenersi esclusa (Cass. 24 febbraio 1972, n. 547; Cass. 6 maggio 1994, n. 4423)”. Il principio, del resto, è stato ribadito in numerose altre occasioni, con riferimento a clausole che circoscrivono i limiti della copertura assicurativa, escludendo specifici casi di circolazione anormale, in conseguenza delle condizioni soggettive del conducente e che riproducono disposizioni di legge, rinvenibili negli artt. 186 e 187 C.d.S. e nell’art. 1900 c.c., che vietano, rispettivamente, la guida in stato di ebrezza o sotto l’effetto di stupefacenti e che escludono dalla copertura assicurativa i sinistri provocati volontariamente o con colpa grave dall’assicurato (cfr. Cass. 14/10/2019, n. 25785).

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione, quindi, della giurisprudenza di questa Corte che distingue le clausole che delimitano l’oggetto del contratto assicurativo da quelle che escludono la responsabilità dell’assicuratore, riconoscendo solo alle seconde natura vessatoria ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. Annoverata la clausola di rivalsa dell’assicuratore per gli indennizzi corrisposti a terzi danneggiati dall’assicurato messosi alla guida del proprio autoveicolo in condizioni difformi rispetto a quanto prescritto dalla carta di circolazione tra quelle che delimitano l’oggetto della polizza assicurativa, il giudice a quo ne ha tratto la conseguenza che essa non fosse vessatoria e che non abbisognasse di essere sottoposta alla specifica approvazione per iscritto al fine di produrre effetti. Costituisce ius receptum che la specifica approvazione per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 cpv. c.c., della clausola contrattuale escludente la garanzia assicurativa nei casi anzidetti, non è necessaria perché essa stabilisce in quali limiti l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro e quindi non fa che precisare l’oggetto del contratto assicurativo, senza creare delle limitazioni di responsabilità a favore dell’assicuratore medesimo riguardo al risarcimento del danno assicurato. Tale clausola non rientra perciò tra quelle limitatrici di responsabilità soggette alla disciplina del citato art. 1341 cpv., onde non può dirsi che essa non ha effetto a favore del contraente, che l’ha predisposta nelle condizioni generali di contratto (assicuratore) ove non sia specificamente approvata per iscritto dal contraente per adesione (assicurato) (Cass. n. 25785/2019, cit.).

Va osservato, poi, che quanto affermato dal ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, dimostra che egli sovrappone erroneamente il principio di tutela del terzo trasportato con le condizioni per esercizio del diritto di rivalsa da parte dell’assicuratrice.

La Corte d’Appello, infatti, non ha messo in discussione la tutela del terzo trasportato, vittima del sinistro. Tale tutela prescinde dall’accertamento della responsabilità dell’incidente, sollevando il terzo da rischi e oneri connessi alla ricerca del responsabile e della sua compagnia assicuratrice. Non può non ribadirsi che l’interesse di tutela del terzo, che dovrà essere comunque risarcito, prevale dunque su ogni questione inerente la ricerca del responsabile. Di conseguenza, il soddisfacimento del diritto risarcitorio del terzo, comunque dovuto, è disancorato dalla necessità di coinvolgere in giudizio il responsabile civile e il suo assicuratore e così anche dagli aspetti puramente interni alla convenzione assicurativa, che riguarda l’assicurazione del trasportato o del responsabile civile, trasferendo sull’assicurazione del trasportante il rischio inerente a irregolarità o invalidità della assicurazione, entro i limiti del massimale convenuto (cfr. Cass. n. 16477/ 2017).

Infatti, l’interpretazione che accorda massima tutela alla vittima si armonizza con quanto sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di direttive sull’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, ove la disciplina di diritto interno deve essere interpretata considerando la prevalenza della qualità di vittima – avente diritto al risarcimento su quella di assicurato – responsabile, in conformità al principio solidaristico “vulneratus ante omnia reficiendus”, in virtù del quale il terzo trasportato ha un incondizionato diritto al risarcimento del danno alla persona causato da circolazione, anche illegale o contra pacta, del mezzo da parte dell’assicuratore del vettore.

Il diritto risarcitorio del terzo trasportato, appunto, nulla ha a che vedere con la limitazione della copertura assicurativa, oggetto della convenzione tra assicuratrice e assicurato.

7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per non avere la sentenza esaminato il nesso di derivazione causale tra la violazione della carta di circolazione quanto al numero delle persone trasportabili e l’incidente ed il danno subito dalla trasportata.

7.1. Di tale motivo non può che essere dichiarata l’inammissibilità: anzitutto e in via assorbente, per il limite di deducibilità del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in presenza di c.d. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5. Al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a base della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversità: il che nel caso di specie non risulta avvenuto.

In ogni caso, quand’anche il vizio fosse stato deducibile, se ne sarebbe dovuta egualmente dichiarare l’inammissibilità: le censure, infatti, mancano di evidenziare un “fatto storico” e decisivo, il cui esame sia stato omesso.

Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale) che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un diverso esito della controversia) (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053).

Per la giurisprudenza di questa Corte costituisce un “fatto”, agli effetti della citata norma, non una “questione” o un “punto” sottoposto allo scrutinio del giudice, come preteso da parte ricorrente, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico; iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto; iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali.

Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: vi) le argomentazioni o deduzioni difensive; vii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa”; iv) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame.

8. Con l’ottavo motivo il ricorrente attribuisce alla sentenza gravata la violazione degli artt. 115,116 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere rigettato la domanda riconvenzionale di mala gestio, senza esaminare le prove prodotte in giudizio da cui sarebbe emerso che l’assicurazione era in possesso di dati obiettivi sin dall’inizio – verbale dei carabinieri, relazione medico-legale del proprio fiduciario – che le avrebbero consentito di desumere l’esistenza della responsabilità del conducente e la ragionevolezza delle pretese della danneggiata, per cui avrebbe potuto liquidare la somma ritenuta congrua anche mediante offerta formale o reale, evitando un defatigante giudizio.

La Corte d’Appello ha confermato, sul punto, quanto già statuito dal Tribunale, cioè che l’originaria pretesa della terza danneggiata era di Lire 1.100.000.000, quindi, nettamente più elevata rispetto alla somma ottenuta a seguito del giudizio, ed ha escluso che l’affermazione dell’appellante circa il fatto che l’assicuratore fosse stato in grado di valutare la fondatezza della richiesta risarcitoria già subito dopo l’incidente occorso avesse trovato alcun riscontro probatorio e, in aggiunta, ha negato che il contrario fosse dimostrabile attraverso le circostanze oggetto della prova testimoniale richiesta dall’odierno ricorrente, articolata in maniera generica, priva della collocazione cronologica degli eventi ai quali faceva riferimento, carente dell’indicazione del soggetto delegato dall’assicurazione e legittimato a formulare l’offerta nonché relativa a circostanze che avrebbero potuto agevolmente essere semmai provate per tabulas.

8. Le censure che il ricorrente muove a tale statuizione non meritano accoglimento.

Le ragioni sono plurime:

– il ricorrente non si è neppure confrontato con la statuizione impugnata, censurandone le conclusioni quanto ai caratteri della prova testimoniale richiesta e quanto alla dimostrabilità per tabulas di quanto da lui stesso affermato. Il Tribunale aveva rigettato la richiesta dei mezzi istruttori articolati dalla difesa dell’odierno ricorrente, il quale aveva riproposto l’istanza di prova testimoniale per dimostrare che l’impresa assicuratrice, tramite il suo avvocato, aveva proposto a S.S. la somma di Lire 450.000.000 a titolo di risarcimento dei danni riportati nell’incidente che l’aveva coinvolta, che S.S. aveva accettato detta proposta e che essa non ebbe seguito per scelta dell’impresa di assicurazioni;

– il ricorrente, indicando circostanze -i) asseritamente già note all’assicurazione, (verbale dei carabinieri e relazione medico-legale del proprio fiduciario, il cui contenuto è ignoto a questa Corte, essendo il ricorrente incorso nella violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6); ii) non provate (la ricorrenza di una proposta transattiva accettata dalla terza trasportata, cui la impresa di assicurazioni non aveva dato seguito senza giustificazione); iii) sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado (la mancanza di corrispondenza tra l’avvocato della terza trasportata e l’avvocato della compagnia di assicurazioni, il fatto che l’avvocato della impresa di assicurazioni avesse difeso in un processo per truffa l’avvocato della terza trasportata, la mancata restituzione del fascicolo d’ufficio alla terza trasportata che ne aveva fatto richiesta) – confida, a dispetto di quanto indicato nell’epigrafe del motivo, di poter ottenere una diversa valutazione dei fatti di causa, incompatibile coi caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità.

Infatti, oltre a non avere ricondotto il vizio denunciato alla categoria giuridica corretta tra quelle denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, deve osservarsi che:

alle circostanze di cui alle lettere i) e ii) sono state vagliate da ben due giudici di merito che sono giunti a conclusioni contrastanti rispetto ai desiderata del ricorrente. Il che escluderebbe anche la possibilità, ammesso che ve ne fossero le condizioni (ma cfr. supra p. 1), di imputare alla Corte d’Appello il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

b) quanto alle circostanze di cui alla lett. iii, cui si rapporta la produzione documentale indicata dal ricorrente, deve ricordarsi che “l’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè successivo alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, dev’essere interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” (la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza), precisando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con l’indicazione, in via alternativa (e non concorrente), dei requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame: deve trattarsi di prove o di documenti che le parti dimostrino di non aver potuto proporre prima per causa ad esse non imputabile ovvero che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano indispensabili ai fini della decisione della causa, eliminando ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. Resta, tuttavia, la necessità, in base alle norme previste dagli artt. 163 e 166, richiamati dall’art. 342 c.p.c., comma 1, e art. 347 c.p.c., comma 1, che i nuovi documenti siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado: a meno che, la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo. In ogni caso, la produzione di nuovi documenti in appello anche se ammissibili a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è preclusa una volta che la causa sia stata rimessa in decisione e non può essere, quindi, effettuata per la prima volta in comparsa conclusionale (Cass. 10/05/2019, n. 12574).

Mette conto, in aggiunta, osservare che questa Corte, ove venga dedotta, in sede di legittimità la denuncia di omessa pronuncia sull’ammissione di nuovi documenti in appello, essendo chiamata ad accertare un “error in procedendo”, è giudice anche del fatto ed e’, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse di prova avente le caratteristiche su indicate; tale apprezzamento deve essere svolto in astratto, ossia al solo fine di stabilire l’idoneità teorica della prova ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, spettando pur sempre al giudice di merito, in sede di eventuale rinvio, l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova ai fini della ricostruzione dei fatti di causa (Cass. 29/09/2020, n. 20525). Per assolvere alla sua funzione però è necessario che il Collegio abbia gli elementi, messigli a disposizione dal ricorrente, per valutare il carattere decisivo della violazione prospettata, dovendosi ricordare che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata.

Nel caso di specie, il ricorrente, oltre ad aver prodotto alcuni documenti solo con la comparsa conclusionale (cfr. p. 27 del ricorso), non ha dimostrato in che misura la produzione documentale indicata sarebbe stata utile alla definizione del giudizio né per quale ragione non sia stato in grado di produrla tempestivamente.

9. Con il nono motivo deduce l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la sentenza impugnata preso in considerazione la documentazione prodotta in appello, intervenuta successivamente al giudizio di primo grado, limitandosi a considerare l’istruttoria svolta nel precedente grado di giudizio.

10. Con il decimo motivo il ricorrente ricorre, per violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essersi la sentenza impugnata pronunciata sulla richiesta di ammissione di nuova documentazione proposta in appello alle udienze del 16.12.2020, 12.12.2013, 17.3.2016.

10.1. I motivi nono e decimo possono essere esaminati congiuntamente.

Costituisce ragione sufficiente per ritenerli inammissibili il fatto che il ricorrente, in ordine alla stessa questione – la valutazione della documentazione nuova prodotta in appello – ha ipotizzato la ricorrenza di ragioni cassatorie che, stante il loro contenuto contraddittorio, si elidono a vicenda. Il ricorrente non può, infatti, senza cadere in contraddizione, dedurre l’erronea valutazione dei suddetti documenti e lamentare l’omessa pronuncia sulla ammissibilità ex art. 345 c.p.c., comma 3 degli stessi. Deve riaffermarsi che è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.

11. Con l’undicesimo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115,167 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il giudice a quo respinto l’eccezione di prescrizione del diritto di rivalsa ex art. 2952 c.c., comma 2, ritenendo tardiva la contestazione di mancata ricezione della raccomandata del 24 agosto 2006 e per aver preteso che nella comparsa di risposta le parti dovessero prendere posizione specifica su tutte le circostanze a pena di decadenza, anche prima dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 115 c.p.c. a seguito della L. n. 69 del 2009.

Il giudice di prime cure aveva rigettato l’eccezione di prescrizione, facendo coincidere l’exordium praescriptionis con il giorno cui S.S. aveva ricevuto il bonifico della somma di Euro 327.470,07 sul suo conto corrente – 5 settembre 2015 – e ritenendo il termine di prescrizione interrotto con la raccomandata ricevuta dall’odierno ricorrente il 6 giugno 2006 e con quella ricevuta il 29 agosto 2006.

L’eccezione di mancata ricezione delle suddette raccomandate formulata per la prima volta con la memoria integrativa di replica, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6 depositata il 14 aprile 2008, era stata ritenuta tardiva. La statuizione era stata impugnata, sostenendo che già con comparsa di costituzione e risposta, era stata contestata l’utilizzabilità delle due raccomandate, solo con la seconda memoria istruttoria, a fronte della specifica deduzione da parte della impresa di assicurazione che le due raccomandate erano state ricevute, era stato possibile contestare di averle ricevute, in quanto indirizzate nel luogo di residenza.

La Corte d’Appello, con la statuizione attinta dal motivo in esame, ha rilevato, come già aveva fatto il Tribunale, che con la comparsa di costituzione in giudizio S.R. aveva eccepito di non aver ricevuto la prima raccomandata, della seconda, quella dell’agosto 20006, aveva contestato che fosse idonea ad interrompere il termine di prescrizione, ammettendo implicitamente di averla ricevuta. Il che ha indotto la Corte territoriale a ritenere priva di pregio la difesa dell’odierno ricorrente, secondo cui la contestazione dell’avvenuto ricevimento delle raccomandate sarebbe stato possibile solo con la seconda memoria di replica. I fatti, l’invio e la ricezione delle due raccomandate erano stati introdotti con l’atto di citazione, S.R. aveva contestato solo il mancato ricevimento della prima raccomandata ed aveva quindi cristallizzato l’ampiezza del thema probandum.

11.1. L’ubi consistam dello sforzo del ricorrente è quello di ottenere un diverso accertamento dei fatti di causa; di nuovo, rispetto ai motivi di appello, egli deduce solo la erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c. quanto al contenuto dell’onere di contestazione applicabile ratione temporis. Anche detta censura non può trovare accoglimento.

E’ pacifico che il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., era tenuto, contrariamente a quanto ipotizzato dal ricorrente, a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali dovevano ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si fosse limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica. (Cass. 06/10/2015, n. 19896; Cass. 26/11/2020, n. 26908).

12. Con l’ultimo motivo, il dodicesimo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 336 c.p.c., per essere stato condannato al pagamento di Euro 7.000,00 oltre al rimborso delle spese forfettarie, iva e cpa. A sostegno dell’impugnazione il ricorrente non adduce alcuna motivazione, si limita ad affermare “si impugna questa statuizione”.

Il giudice ha posto correttamente le spese di lite del giudizio di appello che confermava la sentenza di prime cure a carico della parte soccombente.

Il motivo è inammissibile, perché neppure individua le ragioni per cui la sentenza d’Appello meriterebbe di essere cassata, risolvendosi in quello che la giurisprudenza di questa Corte stigmatizza come “non motivo”.

13. In definitiva, il ricorso va rigettato.

14. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

15. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2021

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