LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27671/2018 R.G. proposto da:
Casa Generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Di Mauro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Padre Semeria n. 33;
– ricorrente –
contro
Sompo Japan Nipponkoa Insurance Company of Europe Ltd, Rappresentanza Generale per l’Italia, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Massimiliano Scipioni e Massimo Romeo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in *****;
– ricorrente incidentale –
e contro
Società Cattolica di Assicurazione S.p.a., anche quale avente causa della Verona Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Pierfilippo Coletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Viale delle Milizie, n. 38;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Tua Assicurazioni S.p.a. (già Duomo Uni One Assicurazioni S.p.a. e in precedenza II Duomo Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.a.), M.F.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 5005/2017 depositata il 21 luglio 2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1 dicembre 2021 dal Consigliere Iannello Emilio.
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Battista Nardecchia Giovanni, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2907/2010 del 9 febbraio 2010 il Tribunale di Roma condannò la Casa Generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli (d’ora in poi “Casa Generalizia”), quale proprietaria dell’Ospedale S. Giovanni Calibita, al pagamento, in favore di M.F., della somma di Euro 26.430 a titolo di risarcimento dei danni da questo subiti a seguito di intervento chirurgico al setto nasale, eseguito presso il detto ospedale in data 2 gennaio 2003.
Delle domande di manleva proposte dalla Casa Generalizia -rispettivamente nei confronti: a) della Sompo Japan Nipponkoa Insurance Company of Europe Ltd (d’ora in poi “Sompo Japan”); b) della Società Cattolica di Assicurazione S.p.a. e delle coassicuratrici Verona Assicurazioni S.p.a. e II Duomo Assicurazioni e riassicurazioni S.p.a. – fu accolta la prima e rigettata invece la seconda.
Quest’ultima traeva fondamento da una polizza (n. 3737) che, già vigente in favore di altre strutture ospedaliere facenti capo alla Provincia Religiosa San Pietro Fatebenefratelli, era stata estesa all’Ospedale S. Giovanni Calibita con atto di variazione del 7 febbraio 2003.
Il tribunale, avuto riguardo alla data di detta variazione, ritenne che il sinistro, verificatosi anteriormente, rimanesse estraneo al suo ambito temporale di riferimento ed escluse anche che fosse applicabile la clausola claims made di retroattività triennale contenuta nella polizza n. *****, poiché limitata alle denunce presentate tra il mese di gennaio e dicembre 2001 e subordinata alla condizione che fosse stata giudizialmente accertata la non operatività della garanzia precedentemente prestata da Assitalia (precedente compagnia assicuratrice).
2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame che, con esclusivo riferimento a tale capo della sentenza, fu interposto dalla Casa Generalizia.
Ritenuto, preliminarmente, che – nonostante il giudicato formatosi sulla condanna di Sompo Japan e nonostante anche l’avvenuto integrale rimborso delle somme – residuasse l’interesse dell’appellante ad impugnare “per evitare un giudicato negativo opponibile in altre controversie tra le parti”, la corte territoriale ha, nel merito, ritenuto infondato l’appello con riferimento ad entrambi i punti in contestazione (ambito temporale di riferimento della estensione della polizza; inapplicabilità della clausola di retroattività triennale).
2.1. Quanto al primo ha rilevato che l’interpretazione fornita dall’appellante (che faceva retroagire la copertura assicurativa fino al 1 gennaio 2001, data di decorrenza iniziale del contratto originario) “contrasta(va) con il dato letterale dell’atto di integrazione ove si fissa l’efficacia dell’estensione della garanzia assicurativa all’8 febbraio 2003 ed, in pari data, la scadenza della prima rata del premio e delle imposte” e contrastava anche con i principi generali che regolano la materia, in base ai quali la deroga alla previsione generale della decorrenza degli effetti del contratto assicurativo, dalle ore 24 del giorno della conclusione, alle ore 24 dell’ultimo giorno della durata pattuita (art. 1899 c.c.) deve essere dimostrata in modo rigoroso, certo ed univoco.
2.2. Quanto poi alla prevista retroattività triennale ha rilevato che attraverso la relativa clausola le parti avevano voluto tener conto del precedente contratto di assicurazione stipulato con Assitalia S.p.a. e, in particolare, della possibilità di sovrapposizione della garanzia per i sinistri che avessero avuto luogo nella vigenza del precedente contratto di assicurazione ma denunciati nel secondo, stabilendo che il nuovo assicuratore avrebbe dovuto prestare la garanzia solo se non l’avesse prestata il vecchio e dopo l’accertamento giudiziale negativo.
Ne ha quindi dedotto che “il riferimento specifico al precedente rapporto assicurativo limita la clausola di retroattività alle strutture sanitarie originariamente assicurate, del tutto diverse e distinte dall’ospedale S. Giovanni Calibita Fatebenefratelli, a cui è stata estesa solo successivamente la garanzia assicurativa e, per il quale, peraltro, non risulta alcun precedente rapporto con la società Assitalia”.
3. Avverso tale decisione la Casa Generalizia propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste la Soc. Cattolica di Assicurazione Coop a r.l. (dal 1 aprile 2021 Società Cattolica di Assicurazione S.p.a.) depositando controricorso, con il quale eccepisce, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, stanti il giudicato formatosi sulla condanna di Sompo Japan e l’avvenuto integrale pagamento da parte della stessa delle somme richieste dall’assicurata.
Sompo Japan deposita controricorso con il quale dichiara di aderire e non opporsi all’accoglimento del ricorso principale e propone, “in via subordinata ed espressamente condizionata” a tale auspicato esito, ricorso incidentale con unico mezzo, per resistere al quale la Soc. Cattolica di Assicurazione deposita secondo controricorso.
Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede.
4. Chiamata la causa all’adunanza camerale del 24 novembre 2020 (in vista della quale depositavano memorie la ricorrente e la Cattolica), all’esito della stessa questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 2508 del 3 febbraio 2021, ritenuta la rilevanza nomofilattica della questione posta con la preliminare eccezione della controricorrente, ne ha disposto, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., ultimo comma, la trattazione in pubblica udienza.
Il P.M. ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
L’ente ricorrente, Sompo Japan e Soc. Cattolica di Assicurazione hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2. Con il primo motivo la ricorrente Casa Generalizia denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367 e 1899 c.c..
Sostiene che l’interpretazione dell’atto con il quale si è pattuita l’estensione della copertura assicurativa all’ospedale San Giovanni Calibita è in contrasto con il canone ermeneutico dell’intenzione dei contraenti (art. 1362 c.c.) e con quello dell’interpretazione sistematica (art. 1363 c.c.).
Osserva infatti che:
– si è in presenza non di un nuovo contratto assicurativo, ma di una appendice ad un contratto assicurativo stipulato per altre strutture ospedaliere (nel testo si legge “la presente appendice” prevedendo che la stessa “fa parte integrante della polizza cui si riferisce”);
– il testo contiene una ricognizione di una situazione obiettiva già sussistente alla data (29 dicembre 2000) della stipula della polizza ***** (ovvero del fatto che la struttura denominata Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli fa parte della Provincia Religiosa di San Pietro Fatebenefratelli) e manifesta in modo altrettanto chiaro, con l’espressione “fermo il resto”, l’intenzione di considerare operanti le garanzie operanti in forza della polizza *****, senza escluderne nessuna;
– l’appendice non contiene alcuna previsione di un termine iniziale di copertura né di un termine finale, ma reca soltanto la data di redazione.
Sostiene, quindi, che forma e contenuto dell’atto chiariscono quale sia stata l’intenzione dei contraenti: assicurare l’Ospedale alle medesime condizioni con le quali l’assicurazione era già prestata per le altre strutture ospedaliere, tra le quali, in particolare, anche quella di inizio e termine della garanzia, anch’essa da intendersi ad oggetto del rinvio.
Rileva al riguardo che l’opposta tesi accolta in sentenza, mentre esclude che possa operare il rinvio per il termine iniziale di copertura, è poi comunque costretta a ricorrervi al fine di individuare il termine finale della copertura assicurativa, non disponendo l’appendice nulla al riguardo.
Contesta inoltre la validità del riferimento, in sentenza, all’art. 1899 c.c., rilevando che tale norma delimita il suo campo di applicazione alla sola “conclusione del contratto” di assicurazione e non e’, quindi, applicabile all’appendice di un contratto di assicurazione, che rispetto allo stesso costituisce un patto aggiuntivo e non un nuovo contratto di assicurazione.
Ne rileva comunque l’inconducenza, dal momento che trattasi di norma derogabile e che il limite a tale derogabilità riguarda solo la forma dell’espressione della volontà (che deve essere esternata per iscritto), “non il modo in cui la deroga è stabilita (ad es. mediante l’indicazione della data in giorno, mese e anno)”.
Deduce, infine, che “in presenza della possibilità di un’interpretazione non univoca e, quindi, dubbia, in applicazione dei criteri di interpretazione soggettiva sopra richiamati”, avrebbe dovuto farsi applicazione del canone di cui all’art. 1367 c.c., ai sensi del quale il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui producano effetto, piuttosto che nel senso in cui non ne producano nessuno, come – afferma – avverrebbe nella specie a ritenere detta estensione della polizza operante solo a far data dall’8 febbraio 2003.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1365,1366 e 1367 c.c., anche in relazione all’art. 1322 c.c..
La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile alla copertura assicurativa garantita dalla Società Cattolica di Assicurazione la clausola claims made di retroattività triennale contenuta nella polizza n. *****.
Lamenta che l’interpretazione accolta dalla corte di merito tradisce l’intenzione delle parti (di estendere l’intera copertura assicurativa della polizza ***** anche all’Ospedale San Giovanni Calibita) e viola il criterio dell’interpretazione sistematica, trascurando l’importanza dell’espressione utilizzata: “fermo il resto”; con il risultato di rendere il rinvio stesso tamquam non esset in violazione anche del canone di cui all’art. 1367 c.c..
Osserva che ne sortirebbe, nella specie, la configurazione di un contratto “claims made impuro”, privo di clausola di retroattività, che dovrebbe ritenersi, secondo l’arresto di Cass. Sez. U. n. 9140 del 2016, atipico e inidoneo a superare il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c.. Considerata in particolare l’entità del premio pagato alla firma (Euro 1.315.000) vi sarebbe sproporzione tra il premio pagato e la copertura assicurativa prestata, limitata a soli undici mesi.
Afferma che il riferimento, nella detta clausola, ad una specifica compagnia assicurativa, Assitalia, ha carattere chiaramente esemplificativo, prevedendosi – attraverso l’espressione di chiusura: “Tale condizione è operante anche per tutte le coperture antecedenti alla polizza suindicata” – che possa non essere Assitalia il precedente assicuratore, ma altra compagnia assicuratrice: nel caso di specie la Sompo, parte del medesimo giudizio.
Denuncia, infine, anche la violazione del principio di buona fede che regola l’interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.).
4. Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.
L’esistenza di un concreto interesse ad impugnare da parte della Casa Generalizia, nonostante il passaggio in giudicato della statuizione di condanna nei confronti di Sompo Japan e nonostante anche il già ottenuto rimborso da parte di quest’ultima, risulta già espressamente affermata nella sentenza impugnata, come s’e’ già riferito nei su estesi “fatti di causa”.
Sulla base di quella premessa la corte d’appello è poi passata ad esaminare il merito delle questioni poste con l’atto di gravame e le ha giudicate infondate per le ragioni sopra sintetizzate, conseguentemente rigettando l’appello della Casa generalizia e condannandola alla rifusione delle spese del grado.
Ciò solo evidentemente legittima, sotto il profilo dell’interesse, detto ente a proporre ricorso per cassazione.
Il presupposto che fonda l’interesse della parte alla impugnazione e’, infatti, determinato dalla soccombenza nel giudizio di appello e dalla conseguente condanna alle spese in favore della Soc. Cattolica.
Essendo le ragioni della soccombenza determinate dalla valutazione nel merito di infondatezza (non di inammissibilità) delle questioni dedotte a fondamento dell’appello, della correttezza o meno di tale valutazione la ricorrente ha interesse, in questa sede, a dolersi e sotto questo profilo, pertanto, il ricorso è perfettamente ammissibile.
Non può dunque assumere a questi fini alcun rilievo l’obiezione che, in realtà, essendo stata la pretesa indennitaria dell’assicurata già interamente soddisfatta da Sompo, quella non avrebbe più interesse a vedersi accertata la dedotta concorrente copertura assicurativa della Soc. Cattolica e delle altre società di coassicurazione.
Tale rilievo poteva costituire parametro di valutazione della sussistenza di un interesse ad impugnare in appello, ma sul punto, come detto, la corte d’appello si è espressamente pronunciata positivamente (nel senso cioè dell’esistenza di tale interesse).
Una volta che la corte d’appello è dunque passata alla valutazione nel merito dei motivi di gravame e sulla ritenuta infondatezza degli stessi ha fondato il rigetto del gravame e l’accessoria statuizione sulle spese, l’interesse ad impugnare con ricorso per cassazione non può più essere rapportato a quella obiezione ma alla statuizione della sentenza impugnata e alle ragioni della decisione, le quali, palesando la soccombenza dell’ente ospedaliero, ne evidenziano per ciò stesso l’interesse ad impugnare.
La mancanza di interesse a proporre appello avrebbe semmai dovuto essere fatta valere dalla Cattolica Ass.ni S.p.a. con ricorso incidentale condizionato diretto a censurare l’opposta valutazione contenuta nella sentenza d’appello; il che però non è stato fatto.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Mette conto al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.
Nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con i criteri legali di ermeneutica negoziale.
La corte d’appello non trascura affatto il criterio sistematico, né gli altri criteri, ma ben diversamente, in virtù della loro applicazione, giunge, motivatamente, ad un esito diverso da quello auspicato dalla ricorrente.
Le censure mosse col ricorso si risolvono, dunque, nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione: in ultima analisi nella mera assertiva contrapposizione di un esito diverso dell’attività esegetica riservata al giudice del merito e legittimamente nella specie compiuta.
Esse peraltro non riescono affatto a dimostrare le ragioni per le quali i diversi canoni legali richiamati dovrebbero univocamente portare al risultato esegetico auspicato e, per converso, la diversa interpretazione accolta dovrebbe considerarsi in violazione dei relativi criteri.
Al riguardo mette conto osservare che:
– la stessa ricorrente ammette espressamente, come sopra già riferito, che il contratto in questione si espone ad una lettura “non univoca e, quindi, dubbia, in applicazione dei criteri di interpretazione soggettiva sopra richiamati” (v. ricorso, pag. 26, in fine);
– la mancanza di una previsione dedicata espressamente al termine iniziale e finale di copertura è proprio la ragione per la quale la corte territoriale, correttamente, ritiene debba applicarsi la regola sussidiaria dettata dall’art. 1899 c.c.;
– l’inapplicabilità di tale norma alla fattispecie appare del tutto artificiosamente predicata in ricorso sulla base dell’inconsistente rilievo secondo cui quello di che trattasi non è un contratto di assicurazione ma una mera appendice ad un contratto preesistente: è agevole osservare che, al di là del nomen usato, si tratta comunque di un atto negoziale e che la diversa tesi dimostrerebbe troppo ossia l’inutilità di detta appendice dal momento che l’estensione con essa prevista dovrebbe ritenersi già implicita nel preesistente contratto, cosa che la stessa ricorrente non arriva a sostenere;
– altrettanto apodittico e privo di pregio è l’assunto secondo cui la deroga alla regola fissata dall’art. 1899 c.c., dovrebbe potersi trarre indipendentemente dalla precisazione in contratto: ma non è precisato come e in che senso essa dovrebbe trarsi se non alla stregua di una libera interpretazione del contenuto, come tale almeno altrettanto valida quanto quella opposta accolta dal giudice a quo, il che è sufficiente a dimostrarne, per le ragioni dette, l’insindacabilità in questa sede;
– nemmeno è spiegata la ragione per cui l’interpretazione accolta renderebbe la previsione priva di alcun effetto pratico.
6. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo.
Le censure che ne sono poste a fondamento sono sovrapponibili a quelle già esaminate e ritenute inammissibili da questa Corte, in fattispecie analoga tra le medesime parti (Cass. 08/01/2020, n. 121).
6.1. Sulla scia e in conformità a quelle valutazioni la censura con la quale si deduce la violazione del criterio della comune intenzione delle parti e di quello sistematico (artt. 1362 – 1363 c.c.) deve ritenersi inammissibile, per aspecificità, non cogliendo essa l’effettiva ratio decidendi.
La corte d’appello, infatti, non ha affatto omesso di considerare che le parti intendevano estendere le medesime garanzie, previste dalla polizza n. *****, anche all’Ospedale in quanto struttura dipendente anch’essa dalla Provincia Religiosa, ma ha piuttosto rilevato come la clausola claims made aveva operato in via transitoria, venendo ad esaurire la sua efficacia obbligatoria dopo il primo anno di vigenza della polizza (1.1.-31.12.2001), non essendo, quindi, attivabile la garanzia retroattiva nei successivi periodi di proroga della durata di polizza, ciò argomentando sia dalla specifica indicazione del termine entro il quale doveva pervenire la “richiesta di risarcimento” (“durante il periodo di efficacia dell’assicurazione ossia nel periodo 1 – 31 dicembre 2001”), sia dalla subordinazione della operatività della garanzia retroattiva alla mancata prestazione indennitaria a carico di altro assicuratore (Assitalia S.p.a., relativamente alla polizza specificamente indicata e comunque con riferimento a “tutte le coperture antecedenti alla polizza suindicata”).
L’appartenenza delle strutture ospedaliere ad un medesimo Ente religioso, se pertanto giustifica l’ingresso dell’Ospedale, a decorrere dall’8/2/2003, nel rapporto di garanzia assicurativa prestata da Cattolica, non legittima per ciò stesso la reviviscenza di una clausola la cui funzione transitoria doveva – secondo la corte d’appello -intendersi già esaurita alla scadenza del primo periodo di vigenza della polizza (31/12/2001), e che risultava, pertanto, inoperativa, alla data di ingresso dell’Ospedale nel rapporto assicurativo, anche per tutte le altre strutture ospedaliere originariamente coperte dalla polizza ***** (essendo spirato il termine del 31/12/2001 previsto per la denuncia dei sinistri avvenuti nel triennio precedente).
In tal senso la “estensione” all’Ospedale delle “garanzie operative” espressamente prevista dall’Atto di variazione non palesa alcuna incompatibilità – nell’applicazione del criterio di interpretazione sistematica delle clausole contenute nel contratto e negli atti successivi modificativi – con la soluzione ermeneutica adottata dal giudice di appello, in quanto alla data di stipula dell'”Atto di variazione”, tra le garanzie della polizza n. ***** ancora operanti a favore degli assicurati non era più ricompresa la clausola claims made.
6.2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione alla censura fondata sul criterio della ricerca della comune intenzione delle parti, privilegiando il contenuto semantico riconoscibile nelle espressioni lessicali utilizzate nel contratto (art. 1362 c.c., comma 1).
La espressione “fermo il resto” inserita nell'”Atto di variazione”, subito dopo la definizione del premio totale annuo, non evidenzia alcun vizio nella ricostruzione ermeneutica compiuta dalla corte territoriale, atteso che, come si è appena rilevato, il contenuto della polizza, immodificato, non poteva che riferirsi alle clausole ancora operanti e non certo alla clausola claims made che aveva esaurito di produrre effetti già alla scadenza del primo periodo assicurativo.
6.3. Di maggior rilievo potrebbe apparire la critica rivolta alla -mancata – applicazione del criterio oggettivo di buona fede ex art. 1366 c.c., in quanto involgente una estensione delle indagini relative alla comune volontà delle parti fondata sull’elemento della lealtà, correttezza e salvaguardia dell’altrui interesse (che costituisce criterio informatore, nella disciplina dei contratti, del principio di solidarietà che trova fondamento direttamente nell’art. 2 Cost.), al quale deve essere orientata la valutazione di meritevolezza delle deroghe apportate dalla autonomia dei privati agli schemi legali tipici dei negozi, nei limiti in cui appaiano rispondenti alla “adeguatezza” della regolazione degli interessi in conflitto, in funzione del concreto inteso realizzare con il programma negoziale, attraverso un’equilibrata composizione dei diritti ed obblighi reciproci scaturenti dal contratto (cfr. Cass. Sez. U. n. 9140 del 06/05/2016; Id. Sez. U. n. 22437 del 24/09/2018).
Critica alla quale può essere ricondotta anche quella secondo cui l’interpretazione accolta in sentenza attribuirebbe al patto natura di contratto assicurativo claims made “impuro”, nullo per difetto di meritevolezza.
Il criterio ermeneutico in questione costituisce lo strumento privilegiato per indagare la “causa concreta” del rapporto costituito dalle parti – in deroga totale o parziale allo schema normativo tipico del negozio o della clausola utilizzati – e cioè per indagare quali siano gli interessi che il negozio è concretamente diretto a realizzare (cfr. Cass. 08/05/2006 n. 10490; Cass. 12/11/2009, n. 23941, che dà rilevo a presupposizioni di fatto emergenti dalle circostanze preordinate alla stipula del contratto; Cass. 19/04/2013, n. 9541, che dà rilievo preminente alla “causa reale” ed alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali; Cass. 04/05/2018, n. 10612) alla stregua dei quali – ove non siano ravvisabili ipotesi di illiceità – deve essere operata la verifica del rispetto:
a) dei canoni di “correttezza informativa” sulla effettiva portata degli effetti contrattuali delle singole clausole, così da accertare che i contraenti abbiano effettivamente avuto una chiara rappresentazione delle utilità e degli oneri derivanti dall’accordo;
b) del “canone di proporzionalità” tra mezzi e risultato, laddove specificamente nei settori in cui le condizioni ed i termini del rapporto negoziale sono interamente o quasi predeterminati unilateralmente dall’offerente che assume, quindi, tra i contraenti una posizione assolutamente predominante, occorrendo in particolare verificare la delle clausole tale da determinare una ingiustificata sproporzione e disequilibrio tra i diritti ed obblighi scaturenti dal contratto (con specifico riferimento al contratto di assicurazione danni, del quale l’assicurazione della responsabilità civile costituisce una sottospecie, è stata posta in evidenza la esigenza di mantenere la “corrispettività” tra rischio assicurato ed entità del premio);
c) della “salvaguardia di interessi pubblici o superindividuali” che vengono comunque coinvolti, direttamente od indirettamente, dalla alterazione del modello legale convenzionalmente attuata dalle parti contraenti: interessi estranei a quelli oggetto di composizione negoziale e pur tuttavia sottesi alla funzione economico-sociale che il Legislatore ha inteso riconoscere ad una determinata tipologia negoziale elevata a strumento necessario per il perseguimento di detti interessi (a tal fine è stato valorizzato quale criterio interpretativo, applicabile anche ai contratti assicurativi pregressi, quello orientato allo scopo – sotteso alle disposizioni legislative sopravvenute volte ad introdurre l’obbligo di assicurazione per determinate categorie professionali – di attribuire la piena tutela risarcitoria del terzo danneggiato: cfr. Cass. Sez. U, n. 9140 del 2016, cit.; Id. Sez. U. n. 22437 del 2018, cit.).
Tanto premesso, devesi tuttavia osservare che l’Ospedale ricorrente, si è limitato soltanto a denunciare la violazione del criterio interpretativo di buona fede oggettiva ex art. 1366 c.c., omettendo del tutto:
– di fornire adeguata dimostrazione del necessario presupposto applicativo del criterio indicato, costituito dal permanere, anche dopo l’impiego degli altri strumenti dell’ermeneutica negoziale, di un irrisolvibile contrasto circa il significato (o meglio circa la descrizione della fattispecie e degli effetti ad essa ricondotti) da attribuire alla clausola, dubbio che non può evidentemente essere rinvenuto nella mera incapacità soggettiva della parte contraente di riconoscere la corretta funzione svolta dalla singola clausola in relazione alla complessiva causa funzionale del contratto, ma che deve sussistere oggettivamente, nel senso che deve essere evidenziato o da un irrisolvibile ambiguità od equivocità o lacunosità del tenore testuale e semantico della clausola, ovvero (in assenza di vizi invalidanti, tali da determinare la nullità parziale o da incidere sulla formazione del consenso) dalla oggettiva incompatibilità del significato della clausola, che pure emerge incontestato dalla disposizione negoziale, con la causa concreta del contratto, in quanto la prima viene a porsi come ostacolo alla realizzazione del risultato programmato voluto dai contraenti;
– di specificare gli elementi circostanziali, interni all’apparato testuale degli atti negoziali (polizza; appendice di proroga ed atto di variazione), od anche esterni ad esso (comportamento tenuto dalle parti prima e dopo la stipula dell’Atto di variazione), alla stregua dei quali la clausola in questione:
1) doveva ritenersi essenziale od aveva costituito elemento determinante alla stipula dell'”Atto di variazione” (in quanto considerata autonomamente rispetto ai limiti cronologici di applicazione in essa contenuti), anche avuto riguardo, eventualmente, alle condotte informative tenute dalle parti contraenti prima e durante la stipula dell'”Atto di variazione”;
2) doveva intendersi inclusa nella “estensione” della polizza all’Ospedale – relativamente al periodo di proroga dell’anno 2003 -, in quanto, in ipotesi, risultante in vigore anche durante il periodo della precedente proroga (2001-2002) in ragione – ad esempio -dalla attivazione della clausola da parte delle altre strutture ospedaliere assicurate, per fatti quindi accaduti nel triennio anteriore al 2000 ma con richieste risarcitorie pervenute successivamente al periodo 1.1-31.2.2001 indicato nella clausola;
3) assumeva carattere essenziale nella economia del contratto assicurativo prorogato, quale elemento corrispettivo considerato nella determinazione dell’ammontare del premio: laddove, ad esempio, in occasione delle Appendici di proroga l’iniziale premio annuale previsto per il primo periodo di vigenza di efficacia della polizza (anno 2001), fosse stato mantenuto inalterato anche nei successivi periodi di proroga contrattuale; o ancora nel caso in cui il premio relativo al nuovo assicurato (Ospedale), stabilito nell'”Atto di variazione”, fosse stato determinato in misura maggiore rispetto al premio determinato, per il medesimo periodo di proroga contrattuale (2003), per le altre strutture dipendenti dalla Provincia Religiosa originariamente assicurate.
Orbene alcun elemento di valutazione è stato, in tali sensi, fornito dalla ricorrente Casa Generalizia, la quale si è limitata (v. ricorso pag. 31) ad una laconica indicazione della entità del premio annuale (Euro 1.315.000,00), peraltro senza neppure specificare se trattasi del premio attribuito all’Ospedale o invece del “Totale complessivo del premio annuo” riferito al corrispettivo dovuto dalla Provincia Religiosa in relazione all’intero contratto assicurativo (v. ricorso, pag. 7), sostenendone – apoditticamente – la eccessiva onerosità per la copertura dei soli sinistri avvenuti e denunciati nel periodo 8/2/2003 31/12/2003.
La censura con la quale viene dedotta la violazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1366 c.c., non assolve pertanto ai requisiti minimi di ammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4.
In definitiva le critiche mosse alla sentenza di appello con il secondo motivo non evidenziano difetti di legittimità nella applicazione da parte del giudice di merito dei criteri della ermeneutica negoziale e non inficiano l’indagine effettuata nella ricostruzione della volontà comune dei contraenti dalla corte di merito, rimanendo confinata la prospettata diversa ipotesi ricostruttiva nell’ambito delle mere rappresentazioni di pur possibili diversi risultati interpretativi, inidonei ex se ad inficiare il risultato accolto, invece, dal giudice di merito.
Sprovviste di diverso e autonomo supporto argomentativo critico sono, poi, le altre censure mosse all’impiego dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1365 e 1367 c.c..
7. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Esito questo che logicamente precede (ed assorbe) quello di infondatezza cui avrebbe dovuto comunque pervenirsi in ragione della sopravvenienza – di cui è comunque anche opportuno qui dare atto – proprio per effetto della sopra citata sentenza di questa Corte n. 121 del 2020, di giudicato esterno, vincolante in questa sede in quanto formatosi in giudizio tra le stesse parti, sulla interpretazione, esattamente nei termini sopra esposti, delle medesime clausole contrattuali per cui è controversia anche in questa sede.
E’ appena il caso al riguardo di rammentare che, secondo principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte:
– qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (tra le altre, Cass. Sez. U. 16/06/2006, n. 13916; Cass. 12/04/2010, n. 8650; 09/12/2016, n. 25269);
– “il giudicato, esterno o interno che sia, costituisce un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione”: garanzia di stabilità a sua volta “collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive” (v. Cass. Sez. U. n. 13916 del 2006, cit.; Id. 17/12/2007, n. 26482);
– proprio per tal motivo, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno e’, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata;
– laddove poi, come nel caso di specie, il giudicato esterno fra le stesse parti si formi a seguito di sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo dalle allegazioni delle parti e facendo ricorso, se necessario, a strumenti informatici e banche dati elettroniche (Cass. 30/12/2020, n. 29923; 15/04/2011, n. 8614).
8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale consegue, ex art. 334 c.p.c., comma 2, l’inefficacia del ricorso incidentale condizionato di Sompo Japan, in quanto tardivo.
Esso risulta infatti notificato in data 29/10/2018, oltre un mese dopo la scadenza del termine lungo per impugnare, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza (21/7/2017).
9. Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Mette conto al riguardo precisare che la soccombenza è interamente ravvisabile in capo alla ricorrente principale e non anche a carico della ricorrente incidentale, non potendo di contro rilevare la dichiarata perdita di efficacia del ricorso da questa proposto.
Con la perdita di efficacia, infatti, il ricorso incidentale tardivo diviene tamquam non esset e non viene preso in esame dalla Corte, non potendosi pertanto neppure in astratto predicare una soccombenza valorizzabile ai fini del regolamento delle spese.
In tal senso, questa Corte ha già chiarito che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 20/02/2014, n. 4074; conf. Cass. 04/11/2014, n. 23469; Cass. 12/06/2018, n. 15220; Cass. 26/09/2018, n. 22799; Cass. 28/09/2018, n. 23443).
10. Le spese processuali nei confronti di Sompo Japan vanno invece compensate, avendo questa assunto in giudizio una posizione non in contrasto con quella dell’odierna ricorrente.
11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Condizioni invece, per le ragioni dette, non ravvisabili nei confronti della ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. 25/07/2017, n. 18348).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inefficace il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente Società Cattolica di Assicurazione S.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Compensa integralmente le spese processuali tra la ricorrente principale e quella incidentale.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021
Codice Civile > Articolo 1322 - Autonomia contrattuale | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1365 - Indicazioni esemplificative | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1366 - Interpretazione di buona fede | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1367 - Conservazione del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1899 - Durata dell'assicurazione | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 378 - Deposito di memorie | Codice Procedura Civile