Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.4697 del 22/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1968/2015 R.G. proposto da:

D.C.R., e R.G., rappresentati e difesi dagli Avv. Domenico Perna, ed Enzo Notaro, con domicilio eletto in Roma, via Casilina, n. 1674, presso lo studio dell’Avv. Alessandra Malva;

– ricorrenti –

contro

P.L., rappresentato e difeso dagli Avv. Mozzi Vincenzo, e Nicola Mozzi, con domicilio eletto in Roma, via P. Di Dono, n. 3/a;

– controricorrente –

E FALLIMENTO DI D.C.R. E R.G., in persona del curatore p.t. Avv. A.F.;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 20 novembre 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 novembre 2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 20 novembre 2014, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da D.C.R. e R.G. contro il decreto del 25 marzo 2014, con cui il Tribunale di Nola aveva rigettato l’opposizione proposta dai reclamanti, in qualità di falliti, alla richiesta di omologazione del concordato fallimentare presentata da P.L., in qualità di terzo assuntore, il 9 marzo 2012.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto ritenuto che l’importo di Euro 57.000,00, versato dal P. a garanzia di una precedente proposta di concordato fallimentare, omologata e poi risolta per inadempimento, ben potesse essere preso in considerazione anche ai fini della nuova proposta, nei limiti in cui non era stato utilizzato per il pagamento dei creditori, escludendone il definitivo incameramento da parte del fallimento. Ha osservato infatti che, al pari di quelle prestate dal debitore, le garanzie offerte da un terzo per la ammissione al concordato non sono equiparabili a quelle di diritto comune, ma implicano l’assunzione del rischio dell’insuccesso della procedura concordataria, e pertanto non perdono efficacia in caso di risoluzione del concordato, con la conseguenza che le somme versate, nei limiti in cui non siano state utilizzate, non possono essere trattenute dal curatore, ma devono essere restituite al terzo, che potrà essere poi convenuto dai creditori per la realizzazione delle garanzie.

La Corte ha ritenuto poi insussistenti gli errori asseritamente commessi dal Tribunale nel calcolo dell’esborso economico del terzo, osservando che le somme dovute in restituzione a quest’ultimo appartenevano al suo patrimonio personale, e costituivano pertanto un sacrificio economico, in considerazione del vincolo di destinazione contrattualmente assunto nei confronti dei creditori. Premesso inoltre che la proposta prevedeva il pagamento integrale dei creditori contro il trasferimento al terzo degli immobili siti in *****, ha ritenuto insussistente anche la lamentata sproporzione tra il sacrificio imposto ai falliti e l’impegno assunto dal terzo, osservando che la previsione del soddisfacimento integrale ed immediato dei creditori, a fronte dell’incertezza esistente in ordine al realizzo dei beni ad un valore superiore a quello posto a base dell’ultima asta, escludeva che gli obblighi concordatari comportassero la violazione dei principi di correttezza e buona fede. Precisato infatti che il controllo del tribunale in sede di omologazione della proposta di concordato ed in presenza di opposizioni ha ad oggetto, oltre alla regolarità formale del procedimento, la sussistenza dei requisiti minimi necessari ad evitare lo snaturamento dell’istituto per finalità speculative, ha escluso la configurabilità di un abuso dello strumento concordatario, rilevando che dall’omologazione della proposta non scaturiva per i falliti alcun sacrificio ulteriore rispetto a quello derivante dalla liquidazione in sede concorsuale degli immobili oggetto di cessione al terzo, potendosi anzi prevedere una presumibile diminuzione di valore in caso di vendita all’asta.

3. Avverso il predetto decreto il D.C. e la R. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il P. ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 140 e 141 dell’art. 1453 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che, nell’affermare il diritto del terzo alla restituzione dell’importo versato a garanzia della precedente proposta concordataria, la Corte territoriale ha omesso di esaminare la questione riguardante la responsabilità dell’assuntore, che con il proprio inadempimento aveva dato luogo alla risoluzione del concordato, causando danni ai falliti ed al ceto creditorio. Premesso che la cauzione svolge la funzione di garantire la serietà dell’offerta anche in riferimento all’ipotesi dell’inadempimento, aggiungono che lo stesso assuntore aveva previsto l’acquisizione della somma depositata, in caso di accettazione della precedente proposta.

1.1. Il motivo è fondato.

Benvero, la mancata valutazione della responsabilità dell’assuntore per l’inadempimento del precedente concordato non comporta la configurabilità della lamentata omissione di pronuncia, trattandosi di una questione rimasta assorbita dall’affermazione, posta a fondamento del decreto impugnato, secondo cui, in quanto equiparabile alle garanzie prestate per l’esecuzione del concordato, la cauzione non perde efficacia per effetto della risoluzione, anche nel caso in cui la stessa sia pronunciata per inadempimento del debitore o del terzo assuntore, e dev’essere quindi restituita a chi l’abbia prestata, nei limiti in cui non sia stata utilizzata, fermo restando il diritto dei creditori di agire per la realizzazione della garanzia. In quanto idonea a rendere superflua qualsiasi indagine in ordine all’imputabilità dell’inadempimento, la predetta tesi, indipendentemente dalla sua condivisibilità, consente di ritenere insussistente il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., configurabile soltanto nel caso in cui il giudice abbia omesso di adottare qualsiasi statuizione in ordine a un capo della domanda o a un’eccezione di parte ovvero a un motivo di gravame, con la conseguente mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. Cass., Sez. lav., 26/01/ 2016, n. 1360; Cass., Sez. V, 20/02/2015, n. 3417; Cass., Sez. III, 25/09/ 2012, n. 16254).

1.2. La regula juris enunciata dal decreto impugnato non è tuttavia condivisibile, costituendo il risultato della non corretta trasposizione di un principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, e ritenuto applicabile sia al concordato preventivo che a quello fallimentare.

In caso di annullamento o risoluzione del concordato fallimentare, la L.Fall., art. 140, comma 3, prevede infatti che i creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato, e non sono tenuti a restituire quanto hanno già riscosso. Tale principio è stato ritenuto applicabile anche alla risoluzione del concordato preventivo, pur in mancanza di una disposizione analoga, essendo stato affermato che le garanzie offerte dal debitore come condizione per l’ammissione alla procedura non sono equiparabili alle fideiussioni di diritto comune, non essendo collegate a singoli crediti, ma avendo la funzione di consentire l’ammissione dell’imprenditore in crisi alla procedura concorsuale, ed implicando a carico di chi le presti l’assunzione del rischio dell’insuccesso dell’operazione concordataria, con la conseguenza che in caso di risoluzione del concordato per inadempimento esse non perdono efficacia, negli stretti limiti della percentuale concordataria per cui sono state offerte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la garanzia sia stata prestata da un terzo estraneo alla procedura concorsuale (cfr. Cass., Sez. I, 31/03/2010, n. 7942; 30/12/2005, n. 28878; 27/02/2003, n. 2961). Nel dirimere un contrasto di giurisprudenza riguardante la legittimazione all’escussione delle predette garanzie, le Sezioni Unite di questa Corte hanno poi chiarito che la titolarità attiva del rapporto di garanzia non spetta al debitore concordatario, dal momento che la garanzia s’inserisce in un rapporto (destinato a perdurare oltre i limiti della procedura concordataria) che lega il garante ai creditori a beneficio dei quali è stata prestata; hanno osservato inoltre che, pur con i caratteri di specialità da cui è connotata, la garanzia si riferisce comunque soltanto alle obbligazioni che il debitore assume nei confronti dei creditori esistenti al momento del concordato, i quali non s’identificano con quelli nel cui interesse si svolge la procedura fallimentare conseguente alla risoluzione; hanno aggiunto infine che l’eventuale escussione della garanzia non arrecherebbe alcun reale beneficio al patrimonio del fallito, dal momento che il garante escusso può vantare un diritto di regresso da insinuare al passivo del fallimento, ed hanno quindi concluso che la predetta legittimazione non spetta al curatore, ma ai singoli creditori (cfr. Cass., Sez. Un., 18/05/2009, n. 11396; Cass., Sez. I, 4/11/2011, n. 22913).

Tale conclusione è stata espressamente richiamata dal decreto impugnato, il quale ha ritenuto la cauzione assimilabile alle garanzie prestate per l’esecuzione del concordato, escludendo quindi il potere del curatore di rifiutarne la restituzione in caso di risoluzione del concordato, ma riconoscendo ai singoli creditori la facoltà di agire autonomamente nei confronti dell’assuntore, ed a quest’ultimo la facoltà d’imputare l’importo già versato alla nuova proposta concordataria.

In effetti, anche in riferimento al concordato fallimentare, la funzione di garanzia della cauzione è stata espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ne ha evidenziato l’affinità rispetto alle altre forme di cauzione previste dalla normativa sostanziale e processuale, il cui tratto comune è stato individuato nelle modalità di realizzazione della garanzia, costituite dal deposito di denaro o cose mobili da parte dell’obbligato e nella destinazione degli stessi a restare acquisiti in caso d’inosservanza degli obblighi a presidio dei quali ne è stata imposta la consegna (cfr. Cass., Sez. I, 4/08/2017, n. 19604): in virtù di tale funzione, la cauzione è stata qualificata come una garanzia reale atipica, assimilabile al pegno irregolare, che consente al creditore, in caso d’inadempimento del debitore, di procedere alla vendita delle cose depositate o di chiedere l’assegnazione della somma versata, sino a concorrenza del proprio diritto (cfr. Cass., Sez. I, 8/ 10/2014, n. 21205; Cass., Sez. III, 20/05/1999, n. 4912; Cass., Sez. I, 18/ 06/1968, n. 2005). E’ proprio tale assimilazione, peraltro, a giustificare l’esclusione dell’obbligo di restituzione da parte del curatore, in caso di risoluzione del concordato per inadempimento, in tanto potendosi realizzare la funzione della cauzione, in quanto la somma costituita in garanzia non vada dispersa, ma resti definitivamente acquisita al fallimento, per essere successivamente distribuita tra tutti i creditori o soltanto tra quelli che abbiano aderito al concordato, a seconda che si tratti di concordato fallimentare o preventivo.

Nessun rilievo può assumere, in contrario, la concorde affermazione della dottrina secondo cui la norma di cui alla L.Fall., art. 140, comma 3, è riferibile soltanto alle garanzie in senso tecnico, la cui sopravvivenza risponde al principio di solidarietà nel fallimento, per effetto del quale la pronuncia di risoluzione non incide sugli effetti positivi del concordato, che restano definitivamente acquisiti al fallimento. Tale affermazione, volta a differenziare la sorte delle garanzie da quella degli altri obblighi assunti per l’esecuzione del concordato, i quali sono invece destinati a venir meno per effetto della risoluzione, non si pone affatto in contrasto con l’incameramento della cauzione, anch’esso rispondente al principio solidaristico, e giustificato proprio dal modo di operare della garanzia. Si è d’altronde osservato che, anche a voler escludere l’operatività del predetto principio, in virtù della sottolineatura della natura contrattuale del concordato, dovrebbe ugualmente riconoscersi all’istituto in esame la finalità di garantire la serietà dell’iniziativa, e quindi una funzione analoga a quella rivestita in materia contrattuale dalla caparra confirmatoria, la quale dev’essere restituita, normalmente, soltanto nel caso in cui il contratto non possa avere esecuzione per causa non imputabile alla parte che l’ha prestata (cfr. Cass., Sez. III, 16/05/2006, n. 11356; 25/11/1993, n. 11684; Cass., Sez. IL 4/03/2005, n. 4777); e si è aggiunto che, in tema di concordato, la predetta funzione è rafforzata dalla circostanza che, in sede di risoluzione, l’accertamento della non imputabilità della causa è precluso dai limitati poteri spettanti al tribunale, il quale, non avendo altro compito che quello di accertare se il concordato sia stato eseguito o meno nei termini e con le modalità stabiliti dalla sentenza di omologazione, non gode di alcun margine di discrezionalità nella valutazione della gravità e dell’imputabilità dell’inadempimento (cfr. Cass., Sez. I, 13/07/2018, n. 18738; 10/01/1996, n. 157; 19/05/1983, n. 3454; 14/10/1974, n. 2830).

Va quindi confermato il principio, già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il versamento della cauzione, assicurando da un lato la serietà della proposta concordataria ed aggiungendosi dall’altro alle garanzie prestate per l’adempimento delle condizioni offerte, trasferisce a carico del proponente il rischio della mancata attuazione, cui fa seguito in ogni caso l’incameramento della somma versata, e ciò tanto nel caso in cui la proposta sia stata formulata dal debitore quanto nel caso in cui sia stata formulata da un terzo assuntore, il quale non può considerarsi estraneo all’iniziativa, assumendo in proprio gli obblighi derivanti dall’omologazione del concordato (cfr. Cass., Sez. I, 4/08/2017, n. 19604, cit.).

2. L’applicazione del predetto principio, escludendo nella specie la possibilità d’imputare alla nuova proposta concordataria l’importo della cauzione precedentemente versata, detratte le somme già distribuite ai creditori, renderà inevitabile una nuova valutazione di fattibilità del concordato, la cui necessità comporta l’assorbimento del secondo motivo d’impugnazione, con cui i ricorrenti hanno dedotto la violazione della L.Fall., art. 129 e dell’art. 1175 c.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso la configurabilità di un abuso dello strumento concordatario.

3. Il decreto impugnato va conseguentemente cassato, in accoglimento del primo motivo di ricorso, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2021

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