Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.12 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14698/2015 R.G. proposto da:

R.D., rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Sorrentino e Carlo Srubek Tomassy, nel domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, alla via Caio Mario n. 27;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, nel suo domicilio in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Friuli Venezia Giulia, n. 471/10/14 pronunciata il 19 novembre 2014 e depositata il 24 novembre 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Troncone Fulvio che ha chiesto il rigetto del ricorso;

nessuno comparso per le parti, non essendo stata proposta istanza di discussione.

FATTI DI CAUSA

Il contribuente è rappresentante di commercio nel settore tessile ed opera prevalentemente all’estero, principalmente in Serbia e Croazia. Per l’anno di imposta 2008, l’Ufficio disconosceva spese sostenute all’estero e procedeva alla ripresa a tassazione. Nel particolare, non erano riconosciuti i compensi alla ditta Pellex Uni DOO ed al sig. D.V., segnatamente perché avvenute fuori dai canali bancari.

Il contribuente protestava trattarsi di spese sostenute e dimostrate secondo un sistema probatorio coerente, tenendo conto che le transazioni commerciali nei Paesi dell’ex Jugoslavia avvengono principalmente per contanti.

Ottenuta piena soddisfazione in primo grado, l’appello era sostanzialmente favorevole all’Ufficio, ove erano riconosciute come deducibili solo alcune voci di spesa, confermando il resto la ripresa a tassazione.

Ricorre per cassazione il contribuente affidandosi a sei motivi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

In prossimità dell’udienza il P.G ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso, mentre la parte privata ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti sei motivi di ricorso.

1 Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, nonché art. 2699 c.c., nella sostanza protestando l’illegittimità dell’atto impositivo perché non sottoscritto dal titolare dell’organo, in assenza di delega esibita o prodotta.

La doglianza viene dichiaratamente proposta per la prima volta avanti questa Suprema Corte, sull’assunto trattarsi di profilo rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Il motivo è inammissibile, perché non rilevabile d’ufficio e non proposto nei precedenti gradi di merito.

E’ infatti orientamento di questa Corte, cui non vengono offerte ragioni per discostarsi, quello per cui -come ha chiarito da Cass. V 28 gennaio 2021, n. 1897- nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio (Cass., sez. 5, 5/05/2010, n. 10802; Cass., sez. 5, 24/06/2016, n. 13126; Cass., sez. 5, 13/01/2017, n. 706).

Il motivo è dunque inammissibile.

2 Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione delle medesime norme di cui al precedente motivo, cui si aggiunge la violazione dell’art. 75 c.p.c., nella sostanza lamentando che l’atto d’appello sia intitolato per la Direzione provinciale di Gorizia dell’Agenzia delle entrate, ma poi sottoscritto dal capo ufficio legale, su delega dirigenziale di cui non c’e’ esibizione o allegazione.

Il motivo ammissibile, pur venendo dichiaratamente posto per la prima volta in questa sede, sull’assunto trattarsi di profilo rilevabile d’ufficio in quanto questio litis ingressum impediens (Cass. I, n. 24483/2013). Non di meno, il ricorrente denuncia solo non esservi delega espressa all’appello, non invece la carenza di qualifica del firmatario quale preposto al settore contenzioso/ufficio legale, qualifica che implica delega di funzioni connessa al ruolo di preposto della relativa articolazione dell’ufficio (cfr. Cass. V, n. 20599/2021), donde la sua inammissibilità in questa sede, perché motivo eccentrico rispetto la struttura della ratio decidendi della gravata sentenza.

3 Con il terzo motivo si profila censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, lamentando che la CTR abbia ritenuto provati solo alcuni pagamenti fra le spese deducibili esposte, mentre per altre non ha ritenuto l’integrale affettività dei pagamenti. Più in particolare, il patrono del contribuente ritiene che il TUIRD.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, non richieda la correlazione stretta fra spese e ricavi che la CTR ha interpretato esservi.

Il motivo è in parte inammissibile, ove richieda una sostanziale rivisitazione del merito a questa Corte di legittimità, sostituendo a quello operato dal giudice d’appello un nuovo bilanciamento dell’apporto probatorio dei documenti offerti. E’ infondato dove lamenta alterazione del riparto probatorio e disparità di trattamento a fronte delle medesime circostanze, posto che spetta al contribuente provare inerenza e coerenza delle spese sostenute, mentre è nei poteri dell’Ufficio il disconoscere ciò che appare eccessivo o inattendibile in ragione delle circostanze, dovendo il privato dimostrarne l’effettiva esistenza (cfr. Cass. V, n. 30366/2019).

4 Con il quarto motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 42, nella sostanza lamentando la mancanza di motivazione dell’avviso di accertamento.

Il motivo è inammissibile ove prospetta a questa Corte di legittimità profili di merito sulla struttura dell’atto impositivo e non si traduce in critica ai capi di sentenza impugnata ove, peraltro, la predetta censura non risulta neppure essere stata riportata, ponendo nelle condizioni questa Suprema Corte di verificare non trattarsi di motivo nuovo (cfr. Cass. S.U. n. 1518/2016).

5 Con il quinto motivo si prospetta ancora doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 5 per violazione del D.L. n. 231 del 2007, art. 49 e D.L. n. 112 del 2008, art. 32, protestando sia stata illegittimamente applicato al caso di specie il limite quantitativo ai pagamenti in contanti che non era vigente all’epoca dei fatti, donde almeno entro i limiti allora in vigore le somme corrisposte agli interlocutori stranieri potevano ritenersi effettuate legittimamente.

Il motivo non coglie la ratio decidendi della gravata sentenza che non limita il proprio scrutinio alle somme corrisposte via banca o per contanti, né fa questioni di legittimità di pagamenti, bensì nel corpo della parte motiva (dal quarto capoverso in avanti di pag. 2 e poi 3), esamina per destinatario (ditta Pellex a sig. D.) tutte le some corrisposte analizzandone la coerenza e la dimostrazione di correlazione immediata con i prelievi aziendali.

Pertanto, anche il quinto motivo è inammissibile.

6. Con il senso motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, nel caso di specie, il confronto logico temporale fra le date dei prelievi e le date dei pagamenti di cui alle ricevute rilasciate dalla soc. Pellex e dal sig. D..

Il motivo è parimenti inammissibile, prospettando come n. 3 il vizio che è descritto al prefato art. 360 c.p.c., n. 5, peraltro proponendolo secondo la formulazione previgente.

Come affermato da questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – nel testo antecedente alla modifica disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012- deve essere dedotto mediante esposizione chiara e precisa del fatto controverso e delle ragioni specifiche per cui la motivazione deve essere ritenuta insufficiente. Peraltro, il fatto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve concretarsi in un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso. E di tale fatto deve essere indicata anche la natura “decisiva” ai fini del decidere (Cass., Sez. V, n. 16655/2011).

Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).

Il motivo è dunque inammissibile.

In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro.quatromilacento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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