Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.13 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14783/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, nel suo domicilio in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Mastro Raphael USA inc., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Stefanori, con domicilio presso il suo studio, in Roma, Piazza Martiri di Belfiore, n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per l’Umbria, n. 721/02/14 pronunciata il 22 ottobre 2014 e depositata il 01 dicembre 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone che ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo e rigetto del ricorso introduttivo del contribuente;

nessuno comparso per le parti, non essendo stata proposta istanza di discussione.

FATTI DI CAUSA

La società contribuente avente sede in New York risultava essere detenuta al 100% dal sig. A.M., nel contempo altresì presidente del C.d.A. e socio al 50% della soc. Mastro Raphael s.p.a. (poi s.r.l.), corrente in Spoleto. Sulla scorta di questi dati e della documentazione disponibile l’Ufficio riteneva la società americana sostanzialmente riferibile ad una italiana per tipologia organizzativa e centro di imputazione di volontà ed interessi, rilevando il fenomeno dell’esterovestizione. Ne seguivano avvisi di accertamento per mancata presentazione di dichiarazioni in Italia a fini Ires ed Irap, con ripresa per gli anni di imposta 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009.

Insorgeva la contribuente, protestando la propria piena organizzazione ed operatività negli Stati Uniti, oltre all’autonomia e l’assenza degli elementi caratteristici dell’esterovestizione.

Entrambi i gradi di merito erano favorevoli alla parte privata, donde ricorre per cassazione l’Ufficio, affidandosi a due motivi, cui replica con tempestivo controricorso la società contribuente.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del secondo motivo e decisione nel merito con rigetto del ricorso originario del contribuente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1 Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per motivazione inesistente o meramente apparente.

Nel particolare, la sentenza di secondo grado si limita a motivare affermando la stabile organizzazione all’estero della società contribuente in ragione delle fatture ivi emesse e prodotte, nonché per la disponibilità di un libretto degli assegni tratto su società americana.

2 Con il secondo motivo si prospetta cesura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, commi 3, 4, 5 e 5 bis, nonché art. 2697 c.c., per aver motivato sulla presenza di una stabile organizzazione negli Stati Uniti, ove il thema era altro, cioè se tale stabile organizzazione fosse eterodiretta dall’Italia, costituendo un mero braccio operativo della casa madre italiana, con struttura allibrata all’estero per uscire dall’alveo della contribuzione italiana (c.d. esterovestizione).

I motivi, strettamente connessi tra loro, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati. La CTR infatti porta due argomenti a motivazione del proprio assunto, la presentazione di fatture e la disponibilità di un libretto di assegni, circostanze irrilevanti a provare l’autonomia o meno della società estera rispetto all’italiana con cui ha in comune parte del nome e la persona fisica che ne è il vero fulcro di imputazione di volontà ed interessi. In questo senso la prova (raggiunta o meno) e la relativa motivazione sull’esistenza dell’organizzazione all’estero risultano eccentriche al fine del decidere, concretando altresì una motivazione apparente, quando cioè un testo vi sia, ma completamente avulso dal quello che è la questione prospettata al giudice.

Ed infatti, deve ricordarsi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass. V, n. 24313/2018).

Tale è il caso in esame, ove le poche affermazioni -peraltro tautologiche- attengono all’esistenza di una struttura all’estero, mentre il thema decidendum su cui era chiamato a pronunciarsi il giudice di merito attiene all’autonomia della società statunitense pur nel fisiologico coordinamento infragruppo- ovvero alla sua equiparazione ad un’impresa italiana, ubicata all’estero per convenienza fiscale. Ed infatti, sul punto questa Corte ha affinato la distinzione per cui ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell’ipotesi di esterovestizione, ossia di localizzazione fittizia della residenza fiscale di una società all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, non è necessario accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma occorre verificare l’effettività del trasferimento, cioè se la singola operazione sia meramente artificiosa, risolvendosi nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica, fermo restando che la società esterovestita non e’, per ciò solo, priva di autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabile come “schermo” creato con l’unico obiettivo di farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali (cfr. Cass. V, n. 33234/2018). Altresì, in tema di imposte sui redditi, ricorre l’ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (cfr. Cass. V, n. 16697/2019, cfr. altresì n. 15424/2021).

Il ricorso è quindi fondato e la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché esperisca le valutazioni coerenti con i sopraenunciati principi di diritto.

PQM

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per l’Umbria, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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