LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12626-2017 proposto da:
Z.G., rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO ANTONIO BIANCA, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
L.L., rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO KOSTORIS, giusta procura in calce al controricorso;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 27/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. CERONI FRANCESCA, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto di entrambi i ricorsi.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L.L. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Gorizia su richiesta di Z.G. a titolo di compensi professionali per le attività svolte nell’interesse dell’opponente, compensi maturati a seguito della realizzazione di una villa unifamiliare in *****.
A sostegno dell’opposizione deduceva che l’incarico aveva avuto ad oggetto solo la progettazione generale edilizia e la direzione dei lavori, ma che non era mai stato conferito alcun incarico di progettazione delle strutture e degli impianti.
Inoltre, anche gli incarichi conferiti non erano stati portati a termine, mentre la parte eseguita era stata svolta con errori e ritardi.
Infatti, proprio a causa di tali ritardi era stato costretto a sollevare il ricorrente dall’incarico, sostituendolo con un nuovo professionista.
Espletata CTU a mezzo del medesimo ausiliario che aveva già redatto l’ATP, il Tribunale con la sentenza n. 527/2013 rideterminava l’importo dovuto allo Z., al netto degli acconti ricevuti e di quanto dovuto per eliminare i vizi delle opere riscontrati.
A seguito di appello principale del L. e di appello incidentale dello Z., la Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 27 del 19 gennaio 2017, condannava il L. al pagamento della somma di Euro 17.416,73 oltre cnp ed IVA ed Euro 1.600,00 quali spese rimborsabili, disponendo altresì che da tale somma andava detratta la cifra di Euro 18.874,29 già versata dall’appellante principale; condannava altresì lo Z. a risarcire i danni alla controparte ammontanti ad Euro 6.152,24, con il rigetto dell’appello incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Z.G. sulla base di sei motivi.
L.L. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad otto motivi.
Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
2. Con ordinanza interlocutoria n. 18728 dell’11 luglio 2019, la Sesta Sezione civile della Corte ha rimesso la causa alla pubblica udienza, in assenza di evidenza decisoria della controversia.
3. Preliminarmente deve darsi atto che non ricorre l’improcedibilità del ricorso, come inizialmente dedotto nella proposta del Consigliere relatore in occasione della trattazione del ricorso dinanzi alla Sesta Sezione civile, occorrendo a tal fine avere riguardo ai principi affermati da Cass. S.U. n. 8312/209, atteso che, stante l’avvenuta notifica a mezzo pec della sentenza impugnata, e sebbene parte ricorrente non abbia altresì provveduto ad attestare immediatamente la conformità delle copie dei messaggi di posta elettronica certificata relativi alla detta notifica, la loro conformità non è stata disconosciuta dalla difesa di parte controricorrente, ed avendo lo stesso ricorrente provveduto a depositare attestazione di conformità in occasione della adunanza camerale del 4/12/2018.
4. Va altresì disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata in relazione al fatto che avverso la sentenza d’appello l’arch. Z. aveva in precedenza avanzato istanza di correzione di errore materiale.
Si assume che tale istanza in sostanza riproponeva le medesime questioni poi poste in ricorso e che quindi con la stessa risultava consumato il potere di impugnazione.
Tuttavia, rileva la Corte che la notifica dell’istanza di correzione di errore materiale della sentenza è inidonea a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., stante la natura amministrativa e non impugnatoria del procedimento di correzione, sicché non può trovare applicazione il principio per il quale, ai fini della decorrenza del detto termine, la notifica dell’impugnazione equivale, sul piano della “conoscenza legale” da parte dell’impugnante, alla notificazione della sentenza impugnata (Cass. S.U. n. 5053/2017), il che consente sia di escludere che la mera proposizione della detta istanza equivalga alla presentazione di un’impugnazione, sia che la stessa sia idonea a far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso.
5. Appaiono poi del pari destituite di fondamento le ulteriori eccezioni di inammissibilità del ricorso, rilevando il Collegio che lo stesso contiene un’adeguata e sufficiente esposizione dei fatti di causa, conforme alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, evincendosi dalla sua lettura anche quali fossero le richieste e le posizioni assunte dalle parti nel corso del giudizio nelle due fasi di merito, e rilevando la mancata specificazione del contenuto degli atti processuali e dei documenti su cui il ricorso si fonda solo sull’ammissibilità di alcuni singoli specifici motivi, come si avrà modo di illustrare nel prosieguo, e non anche sull’intero ricorso.
6. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 18 in quanto il calcolo del compenso dovuto sarebbe stato effettuato non sul valore dell’opera completa, ma solo sul valore di quella realizzata.
Si evidenzia che la sentenza impugnata, pur avendo a pag. 26 individuato correttamente la norma da applicare, per l’ipotesi in cui il completamento dell’opera commissionata non sia stato possibile per il venir meno dell’incarico originariamente affidato per l’intera opera – norma che prevede che il compenso si applica applicando le corrispondenti aliquote o percentuali per il valore a consuntivo della parte di opera eseguita ed al preventivo della parte di opera progettata e non eseguita – ha tuttavia a pag. 27 preso in considerazione il solo valore dell’opera realizzata.
Tale errore si è poi ripercosso anche sull’individuazione della percentuale sulla scorta della quale determinare il compenso. Inoltre, anche i coefficienti per le prestazioni parziali di cui alla Tabella B sono stati erroneamente calcolati dalla Corte d’Appello, che ha provveduto ad arrotondamenti sempre per difetto.
Il motivo è fondato.
Nella fattispecie, il giudice di merito ha accertato che l’incarico inizialmente affidato al ricorrente concerneva la realizzazione completa del villino del controricorrente, ma che successivamente, l’incarico è stato revocato, nel corso dell’esecuzione dei lavori, sul presupposto che il committente ritenesse lo Z. inadempiente rispetto agli obblighi assunti. Per l’ipotesi configurata in sentenza, trova quindi applicazione la previsione di cui alla L. n. 143 del 1949, art. 18 che al comma 4 prevede che: “Nel caso di sospensione dell’incarico, il compenso si valuta applicando le corrispondenti aliquote o percentuali al consuntivo della parte di opera eseguita ed al preventivo della parte di opera progettata e non eseguita, facendone il cumulo, tenuto conto dei coefficienti di maggiorazione come è detto sopra.”
Lo sviluppo del calcolo del compenso, come illustrato a pag. 27, sulla base della percentuale interpolata, evidenzia come lo stesso sia stato effettuato solo in relazione al valore dell’opera eseguita sino al momento della sospensione dell’incarico, mancando ogni riferimento al valore a preventivo dell’opera non eseguita, come invece previsto dalla norma citata.
La sentenza è quindi incorsa nella denunciata violazione di legge, e deve essere cassata, dovendo il giudice del rinvio procedere al calcolo del compenso in conformità di quanto previsto dalla L. n. 143 del 1949, art. 18, comma 4 assorbendo la cassazione in parte qua anche la questione relativa alla corretta individuazione dei coefficienti per le prestazioni parziali, attesa la necessità di dover provvedere ad un ricalcolo del compenso sulla scorta della diversa base di computo.
7. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 18 quanto al mancato riconoscimento delle spese tecniche a mente degli artt. 6 e 13 stessa legge.
Si lamenta che il L. aveva impugnato la sentenza del Tribunale, dolendosi del fatto che, a seguito dell’ordinanza di correzione di errore materiale adottata dal Tribunale di Gorizia, erano state riconosciute al ricorrente principale anche le spese generali di cui all’art. 6, quantificate nella percentuale del 30 % dei compensi dovuti.
Tale riconoscimento era contestato sul presupposto che non fossero stati forniti elementi idonei a giustificare anche tale voce.
La Corte d’Appello ha però giudicato inammissibile il motivo di appello (cfr. pag. 25), in quanto non ha ravvisato la relativa statuizione all’interno della sentenza.
Tuttavia, nonostante tale inammissibilità, nel rideterminare i compensi spettanti al ricorrente, ha negato tale voce, che, stante la declaratoria di inammissibilità dell’appello, doveva invece essere confermata.
Il motivo è fondato.
Dall’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso incidentale a pag. 14 risulta confermato l’assunto di parte ricorrente principale, secondo cui con l’ordinanza di correzione dell’errore materiale, di cui dà atto anche la sentenza a pag. 11, il credito per compensi dello Z. è stato portato da Euro 28.310,05 ad Euro 32.709,38, e che tale incremento era dovuto anche al riconoscimento delle dette spese in una percentuale del 30% del compenso dovuto ex art. 18, così come previsto dal D.M. 21 giugno 1958, art. 5 (che fissa nella percentuale massima del 60% l’importo delle spese L. n. 143 del 1949, ex art. 6 liquidabili in misura forfettaria).
Il giudice di appello, pur riferendo del motivo di gravame proposto dal L., e volto a contestare la debenza delle spese conglobate ai sensi dell’art. 6 della tariffa professionale, verosimilmente non avvedendosi che tale riconoscimento in favore dello Z. era frutto del contenuto dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale, e limitando la sua lettura alla sola sentenza, ha dichiarato il motivo inammissibile, ma sempre in conseguenza della parziale disamina del contenuto della decisione sottoposta al suo esame, pur in assenza della riforma della decisione in punto di attribuzione delle spese, ha determinato il compenso al netto di tale voce, e ciò sebbene l’appello proposto sul punto fosse stato dichiarato inammissibile.
In tal modo è pervenuto ad un’inammissibile reformatio in peius in danno del professionista, pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata anche in relazione a tale motivo.
8. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione di una non meglio specificata norma di diritto e comunque il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto alla mancata pronuncia sulla rilevanza della documentazione prodotta e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in ordine al mancato riconoscimento della voce compensi per coordinamento e sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione e spese conglobate ex artt. 6 e 13 sui relativi adempimenti.
Si denuncia che la Corte d’Appello abbia accolto il motivo formulato al riguardo dal committente ed abbia rigettato la richiesta di compenso per la detta voce, ritenendo che non fosse stata fornita documentazione idonea a comprovare l’effettivo svolgimento di tale incarico.
Assume invece il ricorrente che vi sarebbero dei documenti che comprovano l’adempimento dell’attività di coordinatore per la progettazione ed esecuzione.
Il quarto motivo di ricorso denuncia per i medesimi vizi di cui al terzo motivo, il mancato riconoscimento della voce compensi per la contabilità lavori, denunciandosi l’erroneità dell’accoglimento dell’appello da parte della Corte distrettuale, che avrebbe rinvenuto l’assenza di prova, senza prendere in esame una serie di documenti che invece comproverebbero l’effettivo svolgimento dell’attività de qua.
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
In primo luogo, difettano evidentemente del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto si limitano a richiamare alcuni documenti prodotti in sede di merito, che a detta del ricorrente comproverebbero lo svolgimento dell’attività, senza però riportare in ricorso con sufficiente precisione il loro contenuto, onde poterne apprezzare l’effettiva inferenza probatoria.
Inoltre, ed in parte l’evidente difficoltà, anche sulla scorta della estremamente sintetica descrizione del contenuto dei documenti invocati, di poter trarre dagli stessi la riprova dello svolgimento delle dette attività, la sentenza impugnata menziona anche uno dei documenti in questione (il doc. n. 32 allegato alla produzione dello Z. in primo grado), ritenendo che però lo stesso non fosse sufficiente a comprovare lo svolgimento dell’attività di coordinatore per la sicurezza, di guisa che i motivi in esame appaiono nella sostanza volti a contestare, inammissibilmente in sede di legittimità, l’apprezzamento delle prove come operato in sede di merito.
9. Il quinto motivo denuncia l’esistenza nella sentenza impugnata di due errori materiali, già oggetto di istanza di correzione di errore materiale indirizzata alla Corte d’Appello di Trieste (nel controricorso al ricorso incidentale però si riferisce che tale istanza è stata disattesa dalla Corte d’Appello con ordinanza del 30 maggio 2017).
In primo luogo, si evidenzia che la sentenza impugnata, nel rideterminare le somme dovute dallo Z. a titolo di risarcimento del danno, ha attribuito al L. la somma di Euro 6.152,24, ritenendo però, erroneamente, che già in primo grado fosse stata attribuita a tale titolo la somma di Euro 1.500,00.
Invece, il Tribunale aveva contenuto la condanna nella sola somma di Euro 500,00.
In secondo luogo, si deduce che la sentenza di appello ha erroneamente individuato l’importo versato dal L. per anticipo parcella in Euro 9.874,29, anziché nella minor somma di Euro 9.847,29, come da parcella in atti.
Il motivo è inammissibile, in quanto non risulta specificamente inscritto in una delle specifiche e tassative ipotesi di censura ammissibili in sede di legittimità, ed in ogni caso in quanto volto a denunciare quelli che rappresentano degli errori materiali del giudice di merito, senza peraltro in ricorso evidenziare che si tratterebbe di rilevi già avanzati a mezzo del procedimento di correzione di errore materiale ed in quella sede disattesi.
10. Il sesto motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., quanto all’erronea condanna dello Z. al pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi, in quanto la sentenza non si sarebbe avveduta del fatto che le pretese del ricorrente sono state in parte accolte e che anche le pretese risarcitorie del L. hanno avuto parziale accoglimento.
Si verte in un’ipotesi di soccombenza reciproca, che avrebbe dovuto quindi indurre quanto meno ad una compensazione delle spese di lite.
Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale, dovendo il giudice di rinvio provvedere con la sua pronuncia a regolamentare ex novo le spese di lite, tenuto conto dell’esito finale della controversia.
11. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 18 stante l’indebita applicazione al caso di specie della maggiorazione del compenso nella misura del 25 %.
Assume il committente che tale incremento è previsto per le sole ipotesi di incarico parziale e di sospensione dell’incarico nel mentre nella fattispecie risulta che al Z. era stato affidato un incarico completo e che lo stesso, come anche riconosciuto dalla Corte d’Appello, si era reso responsabile di vari inadempimenti, alcuni dei quali anche gravi (in quanto necessitanti di demolizioni delle opere eseguite).
Ciò comporta che non si sia al cospetto di una sospensione dell’incarico, intesa quale interruzione dovuta a volontà del cliente, il che esclude il diritto alla maggiorazione.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il compenso spettante a un architetto o ingegnere per le prestazioni parziali rese deve essere aumentato, ai sensi della L. n. 143 del 1949, art. 18 indipendentemente dalla causa relativa al mancato completamento dell’incarico, anche se esso sia dipeso dalla revoca di quest’ultimo, proveniente dal committente e determinata dall’inadempimento del professionista, trattandosi di obbligazione di natura indennitaria, distinta e non cumulabile con l’obbligazione risarcitoria di cui all’art. 10, comma 2 cit. legge. Quest’ultima presuppone, invece, che la sospensione non sia imputabile al professionista, con la conseguenza che il risarcimento del danno non può essere liquidato in assenza di una condotta colpevole del committente e che l’indennità è destinata a restare assorbita nel risarcimento, quando esso sia superiore (Cass. n. 451/2020; Cass. n. 7602/1999).
La sentenza impugnata ha deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, avendo infatti, verificato anche i pretesi inadempimenti addebitati al professionista, e provvedendo, per quelli ritenuti sussistenti, alla determinazione del risarcimento dovuto, ma senza che ciò possa, per quanto detto, incidere sul diverso diritto del professionista al compenso maggiorato ex art. 18 citato.
12. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. nella parte in cui il giudice di appello ha condannato il L. anche al pagamento degli importi di cui alle fatture soddisfatte pagate dallo Z. al p.i. B. (fattura n. *****) e all’ing. E. (fattura n. *****), per un importo complessivo di Euro 1.600,00.
Si deduce che in sede monitoria non risultava formulata alcuna richiesta in relazione a tali fatture e che analogamente mancava alcun riferimento nelle conclusioni poi rese in sede di opposizione.
Inoltre, le fatture fanno riferimento a prestazioni rese per clienti diversi e, quindi, non possono essere fatte gravare sul L..
Il motivo è fondato, in quanto, anche a soprassedere circa la riferibilità di tali prestazioni all’incarico oggetto di causa, rileva in via assorbente il mancato richiamo alle stesse nelle richieste avanzate dallo Z. in sede monitoria, come poi specificate nel giudizio di opposizione.
13. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., quanto alla liquidazione del compenso per quattro voci, in assenza dei relativi elaborati.
Si assume che sia stato attribuito il compenso anche per la redazione del preventivo sommario, per il preventivo particolareggiato, per il progetto esecutivo e per il capitolato d’appalto, sebbene tali documenti non siano stati prodotti dalla controparte.
In particolare, non rileva, ai fini del compenso per il progetto esecutivo, che l’edificio sia stato realizzato, atteso che il suo completamento è avvenuto a seguito dell’intervento di altro professionista, attesa la revoca dell’incarico allo Z..
Il motivo è inammissibile, in quanto nella sostanza volto a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di legittimità, nonostante che la valutazione resa sul punto dalla Corte d’Appello sia connotata da intrinseca logicità e coerenza.
La sentenza di appello ha, infatti, ritenuto che fosse stata fornita la prova documentale della redazione sia del preventivo sommario che del preventivo particolareggiato, ritenendo veritiera la documentazione all’uopo depositata, sicché le contestazioni del ricorrente incidentale si esauriscono in parte qua nella mera contrapposizione della propria opinione al giudizio della Corte d’appello.
Quanto al progetto esecutivo, la sentenza ha fatto richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19492/2008) secondo cui la stessa realizzazione dell’opera fa presumere che sia stato redatto anche il progetto esecutivo che della prima costituisce necessario presupposto.
A tale affermazione il L. contrappone però l’argomento secondo cui i lavori sarebbero stati portati a termine dalla geom. A.A., alla quale deve quindi attribuirsi anche la paternità di tale progetto.
Tuttavia, la critica non si confronta con l’intero contenuto della sentenza gravata, che a pag. 20 ha ricordato come la CTU avesse accertato che, al momento della sospensione dell’incarico, l’immobile si trovasse in uno stadio di avanzata costruzione, essendo alla data del settembre del 2006, sostanzialmente terminato nelle sue parti strutturali ed essenziali, residuando il completamento di vari impianti ma senza che potesse dubitarsi della realizzazione degli elementi strutturali fondamentali.
L’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello, e che non è sostanzialmente contestato quanto all’individuazione della realizzazione dell’opera in una misura corrispondente a circa ai due terzi dell’intero valore preventivato, induce a ritenere che effettivamente lo stato avanzato di costruzione non potesse prescindere dall’esistenza anche del progetto esecutivo, e conforta circa la corretta applicazione della regola presuntiva come individuata dalla citata giurisprudenza di legittimità.
Infine, del tutto generica, ed implicante una censura di fatto, è la contestazione quanto all’esistenza del capitolato d’appalto, stante lo specifico accertamento compiuto sul punto dal giudice di appello.
14. Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in merito alla valenza delle prove raccolte nel giudizio, quanto alla determinazione del valore delle opere.
Si sostiene che l’ammontare delle opere eseguite sia frutto del recepimento da parte del giudice di appello di una CTU di cui è stata accertata l’invalidità in sede penale, sicché si sarebbe dovuto prescindere da quanto verificato dall’ausiliario d’ufficio. Il motivo è inammissibile.
In disparte la mancata specificazione degli accertamenti compiuti dal consulente del PM ed in che modo gli stessi divergerebbero da quelli del CTU, al fine di riscontrare se tale divergenza investa proprio l’accertamento oggetto del motivo, non appare possibile attribuire di per sé preminenza alla verifica compiuta dal consulente del PM, atteso anche l’esito del procedimento penale occasionato dalla denuncia del L. (non essendo sfociato in un rinvio a giudizio del CTU nominato in sede civile).
Ma l’inammissibilità del motivo consegue al rilevo che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass. S.U. n. 20867/2020).
La deduzione del ricorrente, ancorché la consulenza svolta in sede penale abbia costituito oggetto del materiale probatorio di cui si è servito il giudice di appello (cfr. pag. 16), e non potendosi attribuire a quest’ultima di per sé un valore probatorio maggiore rispetto agli accertamenti già svolti in precedenza, si sostanzia nella pretesa di pervenire ad un diverso e più appagante accertamento dei fatti, in difformità di quanto operato dal giudice di appello, il quale, e proprio con specifico riferimento alla individuazione delle opere già eseguite, ha fondato il proprio giudizio non solo sulla CTU svolta in sede civile, ma sulla disamina anche di ulteriore documentazione, parte della quale proveniente anche dallo stesso tecnico di parte committente (cfr. il richiamo alle note a firma del geom. A. del 22/9/2006, allegate alle osservazioni del CTP in sede di ATP, che attestano come l’edificio fosse stato realizzato nelle sue parti strutturali ed essenziali già alla data della sospensione dell’incarico), dovendosi quindi ritenere che sia il frutto di un complessivo apprezzamento del materiale istruttorio, e non già dell’acritico recepimento dell’operato del CTU.
15. Il quinto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. in forza del quale devono essere poste a fondamento della decisione le circostanze non contestate, quanto al riconoscimento della misura del danno.
Si allega che la sentenza, pur ravvisando gli errori del professionista per la progettazione della terrazza e del setto di ingresso, ha liquidato la somma di Euro 2.300,00, di cui Euro 900,00 per il primo ed Euro 1400,00 per il secondo, nonostante il L. avesse quantificato l’importo in Euro 3.000,00 per ognuno degli errori, senza una contestazione ad opera della controparte.
Il motivo è inammissibile in quanto anche in tal caso finalizzato esclusivamente a contrastare un apprezzamento riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24070/2017, proprio in relazione alla liquidazione del danno).
Inoltre, questa Corte ha affermato che il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato e non anche in relazione a fattispecie, come quella del diritto al risarcimento danno, il cui accertamento, richiedendo un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull’evento e sul pregiudizio, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al “thema probandum” come disciplinato dall’art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice (Cass. n. 21460/2019), non potendosi quindi invocare la non contestazione in merito alla sola determinazione del quantum risarcitorio come compiuta dal danneggiato, restando sempre impregiudicato il potere di valutazione del giudice di merito.
16. Il sesto motivo del ricorso incidentale denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 l’omessa quantificazione e liquidazione del danno relativo alla necessità di presentare varianti edilizie ed impiantistiche rispetto ai progetti approvati, pur essendo stato il danno riconosciuto in sentenza ed addebitato allo Z..
Si sostiene che la sentenza di appello a pag. 35 aveva ritenuto che il professionista fosse responsabile anche per le varianti edili ed impiantistiche effettuate senza provvedere a segnalare la necessità di una loro regolarizzazione amministrativa, ma che sia poi mancata la quantificazione del danno.
Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata che espressamente a pag. 38 ha negato il risarcimento del danno “stante la mancata indicazione e quantificazione delle varianti effettuate, dei relativi costi e dei conseguenti danni…”, ritenendo che quindi non fosse possibile pervenire a ricollegare a tale inadempimento una quantificazione del danno.
Non risulta quindi un’omissione di pronuncia, ma anche in tal caso una valutazione, rimessa al giudizio discrezionale del giudice di merito, che lo ha indotto a negare, pur a fronte del riscontro dell’inadempimento, uno specifico pregiudizio meritevole di ristoro pecuniario.
17. il settimo motivo del ricorso incidentale denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa considerazione di un fatto decisivo costituito dalla ritardata disponibilità del bene, con la ricorrenza di un danno in re ipsa.
Si assume che la Corte d’Appello, pur avendo riscontrato dei ritardi da parte del professionista, ha respinto la domanda di risarcimento del danno correlata appunto alla ritardata esecuzione delle opere, reputando i danni non provati.
Tuttavia, si trascura il fatto che la mancata disponibilità del bene implica un danno in re ipsa che andrebbe in ogni caso liquidato equitativamente.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, si rileva che la sentenza in parte qua risulta essere conforme alla decisione del giudice di primo grado che ha del pari disatteso la domanda di risarcimento del danno correlato al ritardo nell’esecuzione dell’opera, con la conseguenza che, essendo applicabile ratione temporis l’art. 348 ter c.p.c., in presenza di una cd. doppia conforme sul punto, è inammissibile la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Va altresì evidenziato che non risulta specificamente individuato il fatto decisivo di cui sarebbe stata omessa la disamina, posto che il rigetto della domanda non si fonda sulla mancata considerazione del ritardo stesso, ma sul difetto di prova in merito al pregiudizio subito.
Inoltre appare incensurabile, e non superabile tramite il richiamo alla figura del danno in re ipsa, la cui ammissibilità è peraltro ampiamente disattesa nella più recente giurisprudenza di questa Corte, il rilievo del giudice di merito secondo cui, pur a fronte della prova dell’an dell’illecito da parte dello Z., era comunque onere del danneggiato fornire la prova del danno, quanto meno allegando quali diversi utilizzi del bene sarebbero stati possibili in caso di tempestiva esecuzione dell’incarico, ed i parametri in base ai quali poter commisurare il pregiudizio.
18. L’ottavo motivo del ricorso incidentale denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa considerazione di un fatto decisivo rappresentato dalla circostanza che la CTU in primo grado è stata depositata in data 12.12.2011.
La Corte d’Appello, nel valutare la richiesta di utilizzare come fonte di prova la perizia del geom. P. del 10/10/2013, ha ritenuto che la stessa fosse tardiva (a differenza invece della consulenza resa in sede penale), in quanto il suo estensore riferiva di avere verificato la comparsa di macchie di umidità in corrispondenza della camera da letto e delle soglie fin dall’ottobre del 2012, e cioè prima ancora che il CTU inviasse alle parti e depositasse il proprio elaborato, assumendo quindi che fosse possibile già in primo grado rivolgersi al Tribunale onde ottenere un sopralluogo da parte del CTU.
Il motivo è inammissibile atteso che si contesta la mancata considerazione da parte del giudice di una consulenza tecnica di parte che costituisce una mera difesa, la cui omessa disamina non può legittimare la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
19. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il primo, il secondo del ricorso principale, nonché il secondo motivo del ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione, dichiara assorbito il sesto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi del ricorso principale ed incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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