LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28407-2016 proposto da:
C.A., rappresentato e difeso dall’avv. STEFANO MARRONE;
– ricorrente –
contro
M.G., B.C., rappresentati e difesi dall’avv. GIANNI BESSEGA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2556/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, che chiede il respingimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 2556/2015 resa pubblica il 3.11.2015 – per quanto ancora interessa in questa sede – ha confermato la sentenza del locale Tribunale sez. dist. Dolo (n. 26/2012 pubblicata il 27.2.2012), che, in accoglimento della domanda proposta da M.G. e B.C., aveva accertato l’esistenza di una servitù di passaggio pedonale e carrabile larga metri 2,70 gravante per intero sul contiguo fondo del convenuto C.A., così come costituita con atto per notaio Bo. del 11.2.1962 rep. 2119, ed aveva pertanto condannato il convenuto a rimuovere le opere che occupavano l’area in questione ed impedivano alle attrici l’esercizio della servitù.
Per giungere a tale conclusione la Corte veneta ha rilevato, sempre per quanto interessa:
– che i due nuovi documenti non erano ammissibili in appello sia per mancanza di prova sulla incolpevole impossibilità di esibirli in primo grado sia perché non rilevanti;
– che dalla documentazione ritualmente prodotta e dalle prove testimoniali non risultava provato in modo certo ed univoco la presenza della recinzione impeditiva, a dire dell’appellante, dell’uso della servitù;
– che il documento catastale redatto dal geometra Be. non riproduceva la situazione reale dello stato dei luoghi, come dallo stesso chiarito in sede di deposizione testimoniale;
– che le deposizioni dei testi addotti dal convenuto non escludevano comunque l’esercizio del passaggio nei momenti in cui i testi non erano presenti;
– che, come rilevato dal consulente tecnico, il manufatto relativo ai contatori ricadeva sul sito della servitù, per cui correttamente ne era stata disposta la rimozione dal primo giudice: di conseguenza, si rendeva irrilevante verificare se l’opera costituisse un corpo di fabbrica e rispettasse le distanze legali;
– che il prolungamento verso est della servitù risultante dalla relazione di consulenza tecnica di ufficio non assumeva rilievo, essendo pacifica l’avvenuta costituzione della servitù lungo il confine est ovest con l’atto del 1962.
2 Contro tale sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi contrastati con controricorso dalla M. e dalla B..
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Col primo motivo il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, 4, 5 la “violazione degli artt. 1073 e 1074 c.c., travisamento dei fatti, erroneità nei presupposti e nella valutazione degli esiti istruttori, errato rigetto acquisizione nuove prove documentali”, dolendosi del rigetto dell’eccezione di estinzione della servitù di passaggio per non uso ventennale. Insiste sulla preesistenza, sin dal 1969, della recinzione che impediva il passaggio e ribadisce che in quell’anno erano state operate dai M. alcune modificazioni dei luoghi (trasformazione del garage in laboratorio e del portone in porta-finestra) tali da far cessare ogni accesso. Richiama, a sostegno della tesi, l’accatastamento eseguito dal geometra Be. e una foto d’epoca raffigurante la recinzione percorrente il sedime della servitù. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente, nessun impedimento al libero esercizio della servitù era stato da lui posto in essere.
2 Col secondo motivo, il C. deduce la “violazione degli artt. 184 bis e 153 c.p.c.. – mancata acquisizione di documentazione rilevante ai fini del decidere – istruttoria carente – mancata ricostruzione del reale stato dei luoghi di causa”, criticando il giudizio di inammissibilità della produzione documentale in appello, documentazione che non era stato possibile produrre prima perché le due missive con allegate foto (che ritraevano la presenza di un muro) erano state acquisite solo nell’aprile 2012 e quindi in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza di primo grado. Ritiene in ogni caso decisiva la documentazione. Si duole altresì della mancata rinnovazione dell’istruttoria e rileva, a sostegno della inesistenza del passaggio, anche la presenza di un marciapiede rialzato che impediva il transito con l’automobile. Richiama nuovamente il documento catastale per dimostrare la preesistenza della recinzione, evidenziando l’incongruenza delle successive dichiarazioni rese dal geometra Be. in sede di prova testimoniale.
Evidenti ragioni di priorità logica consigliano di partire dall’esame del secondo motivo, che è infondato.
L’ammissione dei nuovi documenti in appello è disciplinata dall’art. 345 c.p.c. e nel caso di specie – in cui la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 27.2.2012, quindi in data anteriore all’11.9.2012 – dalla versione precedente alla modifica introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Sez. 2 -, Ordinanza n. 21606 del 28/07/2021 Rv. 661833; Sez. 2 -, Sentenza n. 6590 del 14/03/2017 Rv. 643372).
La Corte d’Appello, quindi, era tenuta valutare oltre che l’incolpevole impossibilità di produrre tempestivamente i nuovi documenti, anche l’indispensabilità degli stessi.
Ebbene, in ordine al primo profilo, le argomentazioni addotte dal ricorrente, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, non sono idonee a giustificare la produzione tardiva perché il fatto di essere venuto in possesso del documento solo nell’aprile del 2012 non soddisfa il requisito richiesto dalla legge: cioè l’incolpevole possibilità di reperirlo precedentemente (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 14766 del 26/06/2007 Rv. 597848). La parte avrebbe quindi dovuto dimostrare un caso ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore per superare la barriera posta dall’art. 345 c.p.c. alla produzione documentale.
Quanto alla indispensabilità – intesa come idoneità dei nuovi documenti ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 10790 del 04/05/2017 Rv. 643939) – la Corte d’Appello l’ha valutata e l’ha esclusa attraverso un giudizio di irrilevanza dei documenti, osservando sostanzialmente a pag. 8 della sentenza che le foto riproducevano il muro in un determinato momento ma non per il tempo utile all’estinzione (20 anni). Tale rilievo è coerente perché non risulta comunque dimostrata la presenza del muro per un ventennio e solo questa circostanza avrebbe potuto avere un peso determinante ai fini dell’accoglimento dell’eccezione di estinzione della servitù per non uso ventennale.
Infondato è anche il secondo motivo che investe la ritenuta infondatezza dell’eccezione di estinzione.
Il giudizio sull’idoneità di determinati segni esteriori a rivelare l’esistenza di una servitù ed il suo concreto esercizio, la valutazione delle circostanze che inducono ad ammettere od escludere l’avveramento dell’effetto estintivo per non uso della servitù stessa, costituiscono apprezzamenti del giudice del merito, incensurabili in Sede di legittimità se esattamente e congruamente motivati (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3575 del 12/11/1974 Rv. 372090).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha dato conto delle ragioni per cui ha escluso l’estinzione della servitù di passaggio vantata dalle attrici, osservando che dalle deposizioni testimoniali non risultava provata in modo certo ed univoco la presenza della recinzione che impediva, secondo la tesi dell’appellante, l’uso della servitù. Ha altresì osservato, con particolare riferimento all’accatastamento del geometra Be., che le precisazioni fornite dallo stesso durante la deposizione come teste, avevano chiarito la rappresentazione dello stato dei luoghi riportata nel documento da lui redatto, rappresentazione non riproducente la situazione reale ma quella da farsi successivamente previa visura del frazionamento (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza, ove vengono esposte anche le ragioni per le quali la Corte di merito ha ritenuto esaustive le precisazioni del geometra).
3 Col terzo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “travisamento dei fatti-contraddittorietà ed omessa motivazione nella valutazione delle deposizioni testimoniali”. Il C. riporta il contenuto delle deposizioni e le rivaluta in senso favorevole alla propria tesi.
Il motivo è inammissibile perché non considera il principio generale, costantemente ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (cfr. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229; Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014 Rv. 631274; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017 Rv. 643792; cfr. altresì Sez. 5 -, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017 Rv. 645292).
Facendosi applicazione di tale principio, non è pertanto consentito in questa sede riesaminare e rivalutare le deposizioni dei testi che la Corte d’Appello ha compiuto, seppur traendone conseguenze difformi dalle aspettative dell’appellante-odierno ricorrente (v. pagg. 8 e ss.).
4 Col quarto motivo, infine, il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360, n. 5 “ulteriore errore di motivazione-Insussistenza della violazione delle distanze legali”. A dire del C. la relativa domanda era infondata perché il manufatto da lui realizzato per l’alloggio dei contatori non era idoneo a creare intercapedini dannose e quindi non era tenuto al rispetto delle distanze. Si duole poi del silenzio della Corte sull’argomento.
Il motivo è inammissibile per due ordini di motivi: innanzitutto, perché il vizio di motivazione non rientra più tra quelli denunziabili in sede di legittimità per espressa volontà del legislatore (cfr. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione attualmente in vigore ed applicabile al caso di specie). In secondo luogo, perché non coglie la ratio decidendi: la Corte d’Appello infatti (cfr. pagg. 10 e 11 della sentenza) ha ritenuto semplicemente superfluo procedere all’accertamento della violazione delle distanze legali in relazione al manufatto destinato all’alloggio dei contatori, stante la necessità della sua rimozione per altra ragione (in quanto di ostacolo all’esercizio della servitù di passaggio di cui è stata accertata l’esistenza).
5 Col quinto motivo, denunziando “motivazione contraddittoria-istruttoria carente”, il ricorrente critica il giudizio di irrilevanza espresso dalla Corte d’Appello in ordine ai denunziati errori commessi dal CTU nel prolungare verso est la servitù in questione.
Anche questo motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte nella trattazione del motivo che precede: vale solo la pena di aggiungere che la ratio decidendi (ancora una volta non colta dal ricorso) si fonda sulla irrilevanza dell’errore commesso dall’ausiliario nel prolungare vero est la servitù, dovendosi a tal fine avere riguardo all’atto notarile del 1962 che prevede appunto la costituzione della servitù lungo il confine est-ovest (cfr. sentenza pag.11). Questa conclusione a cui è pervenuta la Corte d’Appello appare giuridicamente corretta perché in linea col disposto dell’art. 1063 c.c., a norma del quale l’estensione di una servitù convenzionale e le modalità del suo esercizio devono essere desunte innanzitutto dal titolo.
6 Col sesto ed ultimo motivo si denunzia infine ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 “l’erronea regolamentazione in punto di spese – mancato rimborso della quota del 50% delle spese di CTU-Soccombenza reciproca”.
Il ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese di consulenza tecnica di ufficio e auspica una riforma in tal senso.
Questo motivo è privo di fondamento.
Secondo un generalissimo principio, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (cfr. tra le tante, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020 Rv. 659925; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017 Rv. 646335; Sez. 3, Sentenza n. 10009 del 24/06/2003 Rv. 564510).
Nel caso di specie, le spese del giudizio di primo grado (che ovviamente sono comprensive anche di quelle di consulenza tecnica di ufficio: Sez. 3 – Sentenza n. 25817 del 31/10/2017 Rv. 646459; Sez. 2, Sentenza n. 1180 del 05/05/1973 Rv. 363725) – a differenza di quelle del giudizio di gravame (compensate per intero) – sono state compensate solo in misura del 50% dalla Corte territoriale, in considerazione del parziale accoglimento della domanda delle attrici (infatti, la Corte di merito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’altra domanda proposta dalle due attrici, quella di accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà di un’area situata nell’intercapedine tra i fabbricati e non oggetto del presente ricorso).
Il C., dunque, che certamente non è una parte vittoriosa condannata al rimborso delle spese, non può dolersi in questa sede né può chiedere a questa Corte di legittimità di interpretare il titolo giudiziale sulle spese, rientrando tale attività nei compiti del giudice dell’esecuzione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con inevitabile addebito di spese a carico della parte soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, riconvocata, il 8 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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