LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24071-2020 proposto da:
S.E., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO GIOVANNI FUSARO;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1453/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1453/2019, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Castrovillari, ha annullato in parte qua la cartella esattoriale, notificata a S.E., con la quale gli era stato chiesto il pagamento della somma di Euro 39.132,60 per contributi IVS relativi agli anni 2005-2008, emessa per le violazioni riscontrate con verbale ispettivo dell’INPS del 10.9.2008.
2. I giudici di seconde cure hanno in sintesi ritenuto, da un lato, che l’INPS non avesse dimostrato la fondatezza della contestazione -riguardante due lavoratrici assunte con contratto di apprendistato senza limite di durata e, pertanto, da ritenere operaie qualificate- per mancata indicazione delle norme contrattuali collettive di riferimento, mentre, dall’altro, ha ritenuto fondata la contestazione relativa ad altre due lavoratrici, assunte con contratto part-time di 24 ore settimanali, perché dalle risultanze processuali era emerso che avevano invece lavorato per 25 ore.
3. Per la cassazione ricorre S.E. con un unico motivo.
4. L’INPS non ha svolto attività difensiva.
5. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
6. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5., in relazione all’art. 116 c.p.c., e all’art. 2967 c.c., il travisamento della prova per ciò che concerne l’esistenza di elementi di prova da cui risulterebbe un orario di lavoro delle dipendenti V. e F. di 25 ore settimanali, fatto decisivo per il giudizio, nonché la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in merito alla presunta efficacia probatoria di un documento, mai acquisito, costituito dal registro delle presenze.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Invero, le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519 del 2019) che, con motivazione giuridicamente corretta e congrua, è giunta alla conclusione delle effettive ore di lavoro svolte dalle due lavoratrici.
4. Inammissibile è pure la asserita violazione dell’art. 2697 c.c. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 17313 del 2020).
5. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
6. Inoltre, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici, come detto nel caso in esame, sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881 del 2014; Cass. n. 27415 del 2018) avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente sul fatto che la contestazione dei verbalizzanti fosse fondata su due elementi di prova, che non risultavano superati da elementi contrari: le dichiarazioni rese dalle lavoratrici interessate e le annotazioni sul registro delle presenze.
7. Quanto, infine, alla doglianza che tale documento (registro delle presenze) non sarebbe stato processualmente acquisito, deve rilevarsi che il verbale di accertamento (riprodotto integralmente nel ricorso introduttivo del presente giudizio) dava atto che, dal controllo effettuato appunto sul registro delle presenze, le lavoratrici F. e V. risultavano avere svolto, in realtà, un orario di 25 ore settimanali.
8. Si tratta di risultato dell’attività di percezione sensoriale dei verbalizzanti, priva di ogni elaborazione e valutazione critica, dotata di efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c., la quale correttamente, a prescindere dalla acquisizione dell’intero documento, è stato posto a base della decisione (Cass. n. 339 del 2012; Cass. n. 3705 del 2013).
9. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
10. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Istituto intimato svolto attività difensiva.
11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022
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