LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19957-2020 proposto da:
C.A., sia in proprio, che in qualità di legale rappresentante di CIGNO D’ARGENTO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato STEFANO BRUSTIA, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIO MONTEVERDE, MICHELE FRANZOSI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1628/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 12/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 1628/2019, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Verbania con la quale erano state respinte le impugnazioni, proposte da C.A., in proprio e nella qualità di legale rapp.te della Cigno D’Argento srl, avverso il verbale unico di accertamento n. ***** del ***** (con cui erano stati riqualificati come di lavoro subordinato diversi rapporti formalizzati o con contratto di collaborazione a progetto, o di associazione in partecipazione o con “lettere di incarico”) nonché avverso l’ordinanza-ingiunzione n. ***** del ***** (con cui la DTL del Lavoro di VCO aveva ingiunto al C., quale trasgressore in solido con la società, il pagamento della somma di Euro 79.237,00 oltre spese) a titolo di sanzione amministrativa.
2. I giudici di seconde cure, in sintesi, all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie, hanno ribadito la sussistenza, in concreto, di rapporti di lavoro di natura subordinata ovvero mancanti, per quelli qualificati come di collaborazione, di uno specifico progetto.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione C.A., in proprio e nella qualità di legale rapp.te della Cigno D’Argento srl, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Territoriale del Lavoro di *****.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti e costituito dalle risultanze dell’istruttoria orale di causa di primo grado, con violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per motivazione omessa, apparente e/o manifestamente contraddittoria e con anche violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non avere la Corte territoriale valutato correttamente le prove testimoniali, peraltro con argomentazioni difformi da quelle del Tribunale, da cui si rilevava la rispondenza dei rapporti di lavoro alle forme contrattuali di associazione in partecipazione, il tutto con una motivazione apparente e contraddittoria.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con specifico riferimento all’art. 2697 c.c., e all’art. 115 c.p.c., rispetto ai rapporti di associazione in partecipazione, con conseguente violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di merito, invertendo l’onere della prova, che sul punto era a carico della amministrazione, ha ritenuto, pur in presenza di prove non univoche, che i rapporti in esame valutati non fossero di associazione in partecipazione.
4. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ancora con riferimento all’art. 2697 c.c., rispetto al quantum irrogato a titolo di sanzione, sempre integrante violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la non corretta applicazione della disciplina di cui all’art. 2697 c.c., aveva prodotto effetti distorti anche in punto della quantificazione della irrogata sanzione.
5. I tre motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili.
6. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415 del 2018; Cass. n. 8053 del 2014.
7. Nella fattispecie, il fatto storico che si trattasse di contratti di associazione in partecipazione è stato preso in esame dai giudici di seconde cure che hanno, invece, ritenuto, sulla base delle risultanze istruttorie, che si trattasse in realtà di rapporti di lavoro subordinato: tanto basta per escludere il vizio denunciato.
8. Il vizio di motivazione può essere, poi, censurato in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente ovvero manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018).
9. Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale, con adeguata ed esauriente motivazione, ha dato atto delle ragioni per cui ha ritenuto dimostrata la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato e non di altre forme contrattuali.
10. Deve, altresì, rilevarsi che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 20867 del 2020): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
11. Inammissibile è anche la asserita violazione dell’art. 2697 c.c., che si ha, tecnicamente, nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 17313 del 2020).
12. Sotto questo profilo va anche sottolineato che le censure ex art. 360 c.p.c., n. 5, su questioni di fatto, sono inammissibili ex art. 348 ter c.p.c., u.c., vertendosi in ipotesi di cd. “doppia conforme”, oltre che per gli aspetti già sopra esposti.
13. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
14. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022
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