LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30846-2020 proposto da:
G.A., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’Avvocato FILIPPO PUCINO;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE – SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI DE’ CALBOLI 5, presso lo studio dell’Avvocato DARIO BUZZELLI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
M.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2663/2020 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata l’08/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
RITENUTO IN FATTO
– che G.A. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2663/20, dell’8 aprile 2020, del Tribunale di Napoli, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 2414/15, del 16 ottobre 2015, del Giudice di pace di Napoli – ha confermato il rigetto la domanda risarcitoria proposta dal G. contro M.G. e la società Fata Assicurazioni S.p.a., poi divenuta Cattolica Assicurazione Società Cooperativa (d’ora in poi, “Cattolica”), in relazione ai danni subiti dalla propria autovettura all’esito di incidente stradale occorso in Napoli, in data *****;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce che – radicato il giudizio nei confronti del conducente del veicolo antagonista e del suo assicuratore per la “RCA” – il giudice di prime cure dichiarava la sua domanda improponibile, sul presupposto della non coincidenza della targa del veicolo incidentato come indicata, rispettivamente, nella richiesta stragiudiziale alla compagnia di assicurazione e nell’atto di citazione;
– che esperito gravame dall’attore soccombente, il giudice di appello lo rigettava, sebbene la conferma dell’improponibilità della domanda risarcitoria fosse motivata sul diverso presupposto – oggetto di eccezione della società assicuratrice, sin dal giudizio di primo grado – della mancata messa a disposizione del veicolo, per la perizia dei danni;
– che avverso la sentenza del Tribunale partenopeo ricorre per cassazione il G., sulla base di tre motivi;
– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 145 e 148, violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, oltre a “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla asserita violazione dei suindicati articoli”;
– che, secondo il ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte -anche sulla scorta di quanto affermato dal giudice delle leggi (Corte Cost., sent. 3 maggio 2012, n. 111) – ha circoscritto l’ipotesi dell’improponibilità della domanda risarcitoria da sinistro stradale al solo caso previsto dall’art. 145 cod. assicurazioni, e non pure dall’art. 148, al quale ha riconosciuto funzione meramente “ancillare”, affermando, pertanto, che la domanda non può essere proposta dal danneggiato che, in violazione dei principi di correttezza (art. 1175 c.c.), e buona fede (art. 1375 c.c.), con la propria condotta abbia impedito all’assicuratore di compiere le attività volte alla formulazione di una congrua offerta (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 25 gennaio 2018, n. 1829, Rv. 647588-01);
– che, inoltre, il Tribunale di Napoli ha ritenuto legittima la doglianza della società assicuratrice, attinente alla mancata messa a disposizione del veicolo, senza però verificare che agli atti vi fosse documentazione attestante l’effettivo invito della stessa a sottoporre l’autovettura a perizia presso un proprio fiduciario, fermo restando, in ogni caso, che l’assicuratore non può comunque eccepire l’improcedibilità della domanda qualora – pur a fronte del comportamento renitente del danneggiato – sia comunque in possesso di tutte le informazioni rilevanti per la formulazione dell’offerta (e’ citata Cass. Sez. 6-3, ord. 30 settembre 2016, n. 19354), e ciò anche in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che impone obblighi reciproci di salvaguardia dell’altrui interesse;
– che, infine, nel caso di specie, dal momento che il presunto responsabile civile ha disconosciuto l’evento dannoso (come confermerebbe l’atto di denuncia/querela presentato dallo stesso, rimasto senza alcun seguito), la compagnia assicurativa non avrebbe avuto alcuna intenzione di formulare la proposta transattiva, evenienza che – al pari di quella costituita dal disinteresse dell’assicuratore per tale soluzione – costituisce comportamento contrario a buona fede che giustifica la condanna dello stesso oltre il massimale di polizza;
– che, infine, sebbene l’orientamento giurisprudenziale suddetto risulti essersi formato dopo la pronuncia del giudice di appello, la sentenza impugnata avrebbe errato nel porre a carico dell’allora appellante le spese del secondo grado e nel disporne – a norma della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, – la condanna a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione;
– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 145 e 148, nonché degli artt. 163,167 e 345 c.p.c., oltre che violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 2697 c.c., “per l’erronea attribuzione dell’onere della prova a carico di parte attrice relativo all’eventuale rifiuto degli accertamenti necessari ai fini della valutazione del danno subito dal veicolo” di esso G., “in totale assenza di prova di un eventuale invito da parte della compagnia assicurativa”;
– che il ricorrente si duole del fatto che, quantunque non risulti prodotto agli atti del giudizio il documento attestante l’invito rivolto dall’assicuratore, al danneggiato, a far visionare la vettura, la sentenza impugnata ha egualmente ritenuto provata tale circostanza, ma ciò in violazione dell’art. 2697 c.c., che pone a carico del convenuto la prova di un fatto impeditivo della pretesa attorea;
– che, d’altra parte, venendo in rilievo nella specie un’eccezione, il fatto costitutivo della stessa – e ciò finanche quando l’eccezione sia rilevabile d’ufficio – avrebbe dovuto essere allegato tempestivamente dalla convenuta, nel rispetto del termine di cui all’art. 183 c.p.c., mentre dalle pagine da 2 a 4 della sentenza (ove pure sono riportate tutte le richieste e relative eccezioni di parte appellata) “non vi è alcun riferimento alla prova, necessariamente documentale, dell’eventuale invito della società assicurativa a sottoporre a perizia il veicolo”;
– che il terzo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, censurando la sentenza impugnata perché “dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione” emerge “la totale obliterazione degli elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione” rispetto a quella adottata;
– che la società Cattolica ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata;
– che il M. è rimasto solo intimato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 12 ottobre 2021;
– che il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va rigettato, ritenendo questo collegio che la proposta formulata dal consigliere relatore non sia superata dai rilievi espressi dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2;
– che il primo motivo è manifestamente infondato;
– che, secondo questa Corte, l’art. 145 cod. assicurazioni, – come anche affermato dal Giudice delle leggi (Corte Cost., sent. 3 maggio 2012, n. 111) – “ha un chiaro intento deflattivo”, essendone evidente la finalità “di razionalizzazione del contenzioso giudiziario, notoriamente inflazionato, nella materia dei sinistri stradali, anche da liti bagatellari”, intento il cui raggiungimento, tuttavia, “non è affidato soltanto alla prevista dilazione temporale (invero modesta) di sessanta/novanta giorni” per la proposizione della domanda risarcitoria, “ma – soprattutto – al procedimento ex art. 148 Codice assicurazioni private, che, nel prescrivere una partecipazione attiva dell’assicuratore alla trattativa ante causam, mira a propiziare una conciliazione precontenziosa” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 25 gennaio 2018, n. 1829, Rv. 647588-01);
– che affinché “la procedura di risarcimento descritta nella norma ora citata possa operare è indispensabile, però, che la compagnia assicuratrice sia posta in condizione di adempiere al dovere impostole e, cioè, di formulare un'”offerta congrua””, ciò che richiede sia “un presupposto formale”, ovvero “la trasmissione di una richiesta contenente elementi (indicati nell’art. 148 Codice assicurazioni private), sufficienti a permettere all’assicuratore di “accertare le responsabilità, stimare il danno e formulare l’offerta””, sia “un requisito sostanziale”, e ciò in quanto “la collaborazione tra danneggiato e assicuratore della r.c.a., nella fase stragiudiziale, impone correttezza (art. 1175 c.c.), e buona fede (art. 1375 c.c.),” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 1829 del 2018, cit.);
– che viene meno, dunque, a tale dovere di collaborazione -subendone, come conseguenza, l’improponibilità della domanda risarcitoria – il danneggiato che “si è sottratto all’ispezione” del mezzo, “attività utile alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e alla formulazione di una congrua offerta risarcitoria” (cfr. ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 1829 del 2018, cit.);
– che, pertanto, non può dubitarsi del fatto che l’esito dell’improcedibilità della domanda – quale conseguenza del rifiuto a consentire di ispezionare (per poi periziare) il mezzo incidentato, in particolar modo quando la pretesa risarcitoria, come nel caso in esame, abbia ad oggetto i soli danni al veicolo – sia conforme a quell’interpretazione “teleologica” dell’art. 145 cod. assicurazioni, ancora di recente indicata come necessaria da questa Corte (cfr., da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 giugno 2021, n. 15445, Rv. 661671-01);
– che, in senso contrario, non può darsi rilievo alle circostanze -sulle quali, invece, insiste il ricorrente – che la società assicuratrice sarebbe stata in possesso di tutti gli elementi per formulare l’offerta transattiva, ovvero che il soggetto assicurato avrebbe contestato la propria responsabilità, contegno dal quale si pretende di desumere la volontà dell’assicuratore di non addivenire ad alcuna transazione;
– che in relazione, infatti, alla prima di tali circostanze deve rilevarsi che essa risulta sfornita di qualsiasi riscontro documentale (neppure indicato dalla ricorrente, come invece necessario ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ciò che impedisce a questa Corte di apprezzarla nell’ambito di quell’accertamento, pure demandatole, che potrebbe condurla ad escludere che la richiesta stragiudiziale di risarcimento sia realmente “idonea al raggiungimento dello scopo”, allorché risulti la carenza di taluno di quegli “elementi che, pur espressamente richiesti dalla legge”, – nella prospettiva di assicurare la “partecipazione attiva dell’assicuratore alla trattativa ante causam”, e dunque “a propiziare una conciliazione precontenziosa” (Cass. Sez. 3, cent. n. 1829 del 2018, cit.) – si rivelino “nel caso concreto superflui al fine di accertare le responsabilità e stimare il danno” (così Cass. Sez. 63, ord. n. 15445 del 2021, cit.);
– che, d’altra parte, neppure la seconda circostanza assume rilievo, atteso che il contegno stragiudiziale tenuto dall’assicurato – peraltro, poi rimasto contumace in ambo le fasi di merito del giudizio risarcitorio – non potrebbe essere valorizzato nell’ambito di una verifica, qual è quella richiesta a questa Corte, dell’osservanza dei precetti di cui agli artt. 1173 e 1375 c.c., con riferimento a quell’autonomo rapporto obbligatorio “ex lede” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 30 settembre 1016, n. 19354, non massimata) che intercorre, in via diretta, tra danneggiato ed assicuratore per la “RCA” del danneggiante;
– che da rigettare è anche la censura – sempre oggetto del primo motivo di ricorso – con cui si pretenderebbe di far discendere la necessità della compensazione delle spese del grado di appello (e dell’esclusione del raddoppio del contributo unificato, disposto dal giudice di appello) dalla “novità” del principio enunciato da questa Corte in ordine all’interpretazione “finalistica” dell’art. 145 cod. assicurazioni, che lo “raccorda” al successivo art. 148;
– che, infatti, in relazione al primo profilo, va qui ribadito il principio secondo cui, in materia di compensazione delle spese, “il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 17 aprile 2019, n. 10685, Rv. 653541-01), “per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 645187-01), giusti motivi “la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare” (Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26912, Rv. 659925-01);
– che quanto al secondo profilo, invece, va dato seguito al principio relativo alla inammissibilità delle censure di legittimità “avverso le statuizioni della sentenza di appello che abbiano dato atto della sussistenza o insussistenza dei presupposti per l’erogazione, da parte del soccombente, di un importo pari a quello corrisposto per il contributo unificato, in quanto tale rilevamento, essendo un atto dovuto collegato al fatto oggettivo delle definizione del giudizio in senso sfavorevole all’impugnante, non ha un contenuto decisorio suscettibile di impugnazione, sicché l’eventuale erroneità dell’indicazione sul punto potrà essere solo segnalata in sede di riscossione” (così già Cass. Sez. 6-3, ord. 9 novembre 2016, n. 22867, Rv. 643000-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-1, ord. 11 giugno 2018, n. 15166, Rv. 649329-01; Cass. Sez. 6-Lav., ord. 13 novembre 2019, n. 29424, Rv. 655711-01; Cass. Sez. 5, ord. 27 novembre 2020, n. 27131, Rv. 659719-01);
– che il secondo motivo – con il quale il ricorrente lamenta, per un verso, che “i fatti costitutivi dell’eccezione” sollevata dalla convenuta/appellata, circa il rifiuto del danneggiato di far ispezionare il veicolo incidentato (perché ne fossero periziati i danni), non sarebbero stati “debitamente allegati e provati” né nella comparsa di risposta in primo grado, né in quella di appello, nonché, per altro verso, la violazione del principio “in excipiendo reus fit acto12', per avere la sentenza ritenuto la “non contestazione” di esso ricorrente quale prova idonea della fondatezza dell’eccezione – è in parte inammissibile e in parte non fondato;
– che, quanto alla prima delle censure in cui il motivo si articola, premesso che – a dispetto della sovrapposizione tra le due nozioni di allegazione e prova, che il ricorso sembra invece accreditare – “l’onere di allegazione gravante sulle parti concerne unicamente i fatti, non le prove o il loro significato” (così, da ultimo, in motivazione Cass. Sez. Lav., ord. 4 agosto 2021, n. 22254, Rv. 662118-01), deve rilevarsi come non rispetti la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la doglianza relativa alla supposta intempestività dell’allegazione, da parte della convenuta, del fatto costituito dal rifiuto del G. a far ispezionare la propria autovettura;
– che il ricorrente, infatti, avrebbe dovuto riprodurre gli scritti defensionali della società assicuratrice, almeno nella misura necessaria a far emergere l’intempestività dell’allegazione della circostanza relativa al rifiuto di acconsentire all’ispezione, essendo “inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01);
– che tale deficit nella articolazione del motivo impedisce a questa Corte di esaminare la censura, pur in astratto rilevante;
– quanto, invece, alla censura relativa all’assenza della “prova” del rifiuto, il ricorrente – nell’affermare che lo stesso non sarebbe stato documentato – non tiene conto che l’effetto della “non contestazione” consiste proprio nella cd. “relevatio ab onere probandi”, e che, inoltre “spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte” (da ultimo, Cass. Sez. 6-1, ord. 7 febbraio 2019, n. 3680, Rv. 653130-01), apprezzamento censurabile “solo per vizio di motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 28 ottobre 2019, n. 27490, Rv. 655681-01), e precisamente “per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 11 giugno 2014, n. 13217, Rv. 63180601; Cass. sez. 3, sent. 6 novembre 2001, n. 13686, Rv. 550025-01);
– che, nel caso che occupa, nessun profilo di incongruenza o illogicità inficia il passaggio motivazionale della sentenza impugnata secondo cui, “a fronte dell’eccezione della compagnia che aveva rilevato che “non è stata mai consentita l’ispezione diretta del veicolo danneggiato da parte del fiduciario all’uopo designato”, l’appellante nulla ha dedotto né contestato”, soggiungendo, poi, che “né risulta contestato che vi sia stata la richiesta di visionare il veicolo da parte del fiduciario pochi giorni dopo l’invio della missiva di messa in mora”;
– che, infine, il terzo motivo è inammissibile;
– che esso prospetta, infatti, un vizio di omessa e insufficienza motivazione sulla base della “obliterazione di elementi che potrebbero giustificare una diversa soluzione” rispetto all’improponibilità della domanda (elementi che, poi, sarebbero quelli esposti nei due motivi che precedono);
– che nel formulare siffatta censura il ricorrente non considera che il vizio di motivazione apparente – alla luce dell’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sul vizio motivazionale (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 62983001, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 63778101; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01), quale conseguenza della “novellazione” del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “catione temporis” al presente giudizio) – costituisce evenienza, ormai, ipotizzabile in limitati casi;
– che vi e’, invero, motivazione apparente quando la sentenza rechi “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), ovvero risulti affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), o connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 65001801), ferma in ogni caso restando, poi, la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata);
– che, nella specie, essendo il vizio motivazionale dedotto sulla base della “obliterazione di elementi che potrebbero giustificare una diversa soluzione”, è proprio dal “confronto con le risultanze processuali” che l’odierno ricorrente vorrebbe far emergere il carattere “apparente” della motivazione, e non, come viceversa necessario, attraverso l’evidenziazione di profili di intrinseca contraddittorietà o illogicità della stessa;
– che il ricorso, in conclusione, va rigettato;
– che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando G.A. a rifondere, alla società Cattolica Assicurazioni Società Cooperativa, le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 9.00,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022
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