Pubblicato il

Assegno di divorzio, rilevano le aspettative professionali sacrificate

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27948 del 23/09/2022

L'assegno divorzile deve compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali al fine di contribuire ai bisogni della famiglia.

Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n n. 27948 del 23 settembre 2022.

La Suprema Corte, richiamando le Sezioni Unite (sent. 18827/2018), ha ricordato che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

In particolare, sotto il profilo compensativo e perequativo, il giudice di merito deve accertare "l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi".

Vedi anche:

Assegno divorzile, natura assistenziale e perequativo-compensativa, contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, aspettative professionali sacrificate

All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. 

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n. 27948 del 23/09/2022

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 602/2017 del 13/17 giugno 2017, nel giudizio di divorzio dei coniugi C.M.T. e M.A. ha dichiarato inammissibile la domanda di pagamento degli oneri relativi alla casa familiare assegnata alla C. e di proprietà del M.. Ha determinato in Euro 5.000 mensili e nel pagamento delle spese straordinarie il contributo a carico del M. al mantenimento dei figli L. nato il ***** e G. (nato il *****). Ha infine respinto la domanda di assegno divorzile richiesto da C.M.T..

La Corte di appello di Milano in parziale accoglimento dell'impugnazione della C. ha posto a carico del M. un assegno divorzile di Euro 6.000 mensili e l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli con il pagamento delle spese di riscaldamento e di manutenzione del parco di pertinenza della casa familiare assegnata alla sig.ra C. che vi risiede insieme ai figli. Ha compensato integralmente le spese del giudizio.

Ricorre per cassazione C.M.T. affidandosi a quattro motivi di ricorso così rubricati: a) violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e successive modificazioni; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,445 c.c., artt. 447 e 189 disp. att. c.p.c.; c) violazione e falsa applicazione dell'art. 337 ter c.p.c., in combinato disposto con la L. n. 898 del 1970, art. 6; d) omesso esame di un fatto decisivo.

Si difende con controricorso e propone ricorso incidentale M.A. affidandosi a un unico motivo di ricorso con il quale deduce la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

C.M.T. propone controricorso al ricorso incidentale e deposita memoria difensiva.

La causa è stata discussa e decisa il 1 luglio 2022 nella Camera di consiglio fissata ex art. 380 bis c.p.c..

Considerato che:

Con il primo motivo di ricorso C.M.T. lamenta che la Corte di appello di Milano, nel riconoscere l'assegno divorzile in misura (6.000 Euro) pari al 30% di quello di mantenimento (17.200 Euro ad oggi rivalutato in Euro 18.920) offerto spontaneamente dall'ex coniuge nell'accordo separativo e rimasto inalterato nei 10 anni (e nei 4 procedimenti giudiziali) successivi, è incorsa in una interpretazione miope e distorta dei criteri individuati dal legislatore (e interpretati dalla più recente giurisprudenza di legittimità) per la determinazione del quantum.

Con il secondo motivo di ricorso C.M.T. lamenta che la Corte di appello di Milano, facendo decorrere dal mese successivo alla pubblicazione della sentenza di primo grado l'obbligo di M.A. di corrispondere all'ex moglie l'assegno mensile nel minor importo mensile di 6.000 Euro - anziché di 18.920 Euro da questa percepito sino a quel momento, in forza della sospensione della pronuncia di primo grado - ha trascurato l'ultrattività dei provvedimenti provvisori e il consolidato principio della irripetibilità delle somme percepite a titolo di mantenimento, la cui natura ontologicamente alimentare esonera il beneficiario da qualsivoglia pretesa restitutoria.

Con il terzo motivo di ricorso C.M.T. lamenta che la Corte di appello di Milano, obbligando il padre a corrispondere per il mantenimento dei due figli un importo complessivo (fra assegno perequativo e spese abitative) inferiore a quello che al medesimo titolo (e alle medesime condizioni reddituali e patrimoniali) egli si era offerto di corrispondere 11 anni fa ha erroneamente applicato i criteri determinanti il quantum dell'assegno di mantenimento per la prole.

Con il quarto motivo di ricorso C.M.T. lamenta che la Corte di appello di Milano, ignorando le motivate istanze istruttorie formulate dalla sua difesa, sia nel ricorso in appello che all'udienza del 27.6.2018, ha omesso l'esame di un fatto decisivo per il giudizio (cioè l'effettiva consistenza del patrimonio del M. e la manifesta inattendibilità delle sue dichiarazioni fiscali).

Con il ricorso incidentale M.A. lamenta che la Corte di appello di Milano, nel riconoscere l'assegno divorzile, ha dato rilevanza a criteri attributivi e determinativi del tutto estranei alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

Ritenuto che:

Sia il primo motivo del ricorso principale che il ricorso incidentale lamentano che la Corte di appello di Milano nel riconoscere e quantificare l'assegno divorzile sia incorsa in una errata interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 dell'11 luglio 2018. Entrambi i motivi - sia pure da diverse angolazioni convergenti nel rivendicare l'applicazione nel caso in esame della giurisprudenza più recente - sono fondati in quanto incentrano le loro censure su una distorta e incoerente applicazione, da parte della Corte milanese, sia della precedente giurisprudenza (Cass. civ. sez. I n. 11504/2017) che della nuova. Sebbene vada chiarito che è manifestamente infondato l'argomento difensivo di parte ricorrente principale secondo cui la violazione dell'art. 5, comma 6 L. Divorzio deriverebbe dalla radicale discrasia fra la quantificazione dell'assegno di separazione (voluto in tale misura dal M.) e quella dell'assegno di divorzio. Infatti, i due assegni, per come chiarito ampiamente dalla giurisprudenza di legittimità, anche di recente, non condividono né i presupposti, né il contenuto, né la finalità sicché la loro sovrapposizione deve considerarsi del tutto arbitraria (cfr. Cass. civ. sez. 1 n. 5605 del 28 febbraio 2020 e n. 17098 del 26 giugno 2019 secondo cui l'assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi).

Vi è da rilevare che la decisione impugnata è stata adottata nella Camera di consiglio del 27 giugno 2018, e quindi prima della pubblicazione in data 11 luglio 2018 della sentenza delle Sezioni Unite, mentre il deposito della sentenza da parte della Corte distrettuale è avvenuto successivamente in data 17 settembre 2018.

Questa sequenza temporale ha impedito alla Corte milanese una coerente applicazione della nuova giurisprudenza e nello stesso tempo ha provocato una evidente discrasia rispetto alla sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione che aveva sovvertito il trentennale orientamento giurisprudenziale sino ad allora vigente - che poneva al centro della valutazione, sulla esistenza e quantificazione del diritto all'assegno divorzile, la finalità di una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dal coniuge beneficiario dell'assegno che non fosse nelle condizioni di potersi garantire un corrispondente tenore di vita facendo ricorso alle proprie risorse lavorative e patrimoniali - configurando invece il diritto all'assegno come espressione della solidarietà post-coniugale limitata alla garanzia di una condizione di autosufficienza economica da parte del coniuge beneficiario.

Si legge infatti nella motivazione che la Corte di appello di Milano "condivide l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 1504/2017" e che in applicazione del principio di autoresponsabilità dei coniugi" rileva, per un verso, che "fu scelta condivisa anche dal M. la cessazione dell'attività lavorativa extra familiare da parte della moglie durante la convivenza coniugale" e che, per altro verso, "la C., pur dotata di professionalità notevole come insegnante di ruolo nella scuola, nonostante un matrimonio durato neppure nove anni, nonostante la sua ancor giovane età al momento della separazione (43 anni), che le avrebbe consentito di ritornare a lavorare e rendersi almeno parzialmente autonoma, a livello reddituale, non risulta aver mai neppure tentato di riprendere una attività lavorativa, nonostante i lauti proventi elargiti dal marito per lei e per i figli con la separazione, che le avrebbero consentito di farsi aiutare ampiamente sia nell'accudimento dei figli sia nella gestione della casa. La Corte milanese conclude nel successivo paragrafo della motivazione che non vi fu "nessun sacrificio da parte della ex moglie delle proprie aspettative professionali", e quest'ultima "anche durante la convivenza coniugale, in forza della ricchezza del marito, ha avuto ogni possibilità di coltivare il proprio lavoro e di essere completamente aiutata nelle incombenze familiari e nell'accudimento dei figli" ma "ha scelto, autoresponsabilmente, di non procurarsi autonomamente le risorse economiche per poter provvedere almeno in parte alle proprie esigenze di vita, anche dopo la separazione, nonostante il matrimonio ormai fosse finito e destinato allo scioglimento; ella ha avuto a disposizione notevoli risorse con i contributi posti a sua disposizione dal marito anche dopo la separazione, che le hanno consentito non solo di vivere e mantenersi nel lusso, ma anche di accumulare e risparmiare significative somme di denaro, pari nel 2015 a Euro 280.000 circa, di cui ella evidentemente ancora dispone, posto che non ne ha in questo giudizio lamentato la perdita". Per quanto riguarda poi l'apporto al patrimonio familiare la Corte di appello rileva che non risulta che la C. vi abbia "in qualche modo contribuito se non occupandosi a tempo pieno dei figli, peraltro disponendo di risorse messe a disposizione esclusivamente dal marito per essere aiutata nel loro accudimento".

Nel riconoscere il diritto della C. a un assegno divorzile la Corte di appello di Milano rileva che "oggi la C., all'età di 53 anni, è una persona che non dispone di un'abitazione propria, di altri immobili, di un lavoro e assai difficilmente, per le notorie precarie condizioni del mercato del lavoro in Italia, soprattutto di quello femminile, riuscirà a trovare un'occupazione che le consenta autonomamente, anche con i risparmi accumulati di cui si è scritto sopra, di avere la disponibilità di una abitazione in cui poter ospitare con agio i propri due figli e mantenersi adeguatamente, posto che non potrà godere neppure di una pensione, avendo lavorato solo dieci anni, come da lei stessa ribadito in udienza". Rileva poi che "fu scelta autoresponsabile anche del M. che la moglie cessasse durante la convivenza coniugale ogni attività lavorativa extra domestica, perdesse quindi ogni reddito autonomo e possibilità di consolidamento della sua professionalità e di carriera". La Corte di appello considera infine che il M. "e' tuttora titolare di un ingentissimo patrimonio" e che "la C. non dispone di mezzi adeguati per acquistare un'abitazione, per potersi mantenere autonomamente e mantenere abitudini di vita di buon livello in relazione al contesto sociale, certamente benestante, in cui le è stato consentito di vivere dall'ex marito, anche dopo la separazione" e "alla luce di tali valutazioni ritiene giusto stabilire che il M., a decorrere dal deposito della sentenza di primo grado, corrisponda alla ex moglie un assegno divorzile di 6.000 Euro lordi mensili, annualmente rivalutabile in base agli indici ISTAT "costo-vita", assegno che tiene conto della falcidie fiscale cui è necessariamente sottoposto".

Ora è evidente che in base a tale motivazione non si possa ritenere applicata né la giurisprudenza di cui alla sentenza n. 11504/2017 che pure la Corte milanese dichiara di condividere. Ne' può dirsi che la Corte di appello abbia comunque statuito in ordine al diritto all'assegno e alla sua quantificazione seguendo i criteri del tutto diversi fissati nella successiva pronuncia delle Sezioni Unite del 2018.

Secondo la nota sentenza n. 11504/2017 infatti il giudice cui è richiesto il riconoscimento di un assegno divorzile deve valutare se la domanda dell'ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di "mezzi adeguati" o, comunque, impossibilità "di procurarseli per ragioni oggettive"), non con riguardo ad un "tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio", ma con esclusivo riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso. Al contrario la Corte di appello pur partendo da una valutazione di difetto di indipendenza economica da parte del coniuge richiedente ha poi determinato l'assegno sulla base di un criterio equitativo di "mantenimento delle abitudini di vita in relazione al contesto sociale in cui le è stato consentito di vivere dal marito". Inoltre pur avendo la Corte di appello sottolineato la riconducibilità della scelta di abbandonare la sua professione a una scelta "autoresponsabile" della C., nonostante le condizioni di vita familiare non richiedessero la sua costante presenza ai fini della cura e educazione dei figli e della gestione domestica, ha poi proceduto a riconoscere il diritto all'assegno disattendendo il criterio sancito dalla sentenza n. 11504/2017 e lo ha quantificato senza alcun riferimento all'incidenza di tale scelta sul reddito e patrimonio personale della C. e contraddicendo la affermazione relativa alla insussistenza di un reale contributo alla formazione del patrimonio familiare.

Per altro verso la decisione appare sotto vari aspetti dissonante rispetto al dictum delle Sezioni Unite che qui si riporta ai fini della sua applicazione da parte del giudice del rinvio.

Secondo le Sezioni Unite del 2018 (Cass. civ. S.U. n. 18287 dell'11 luglio 2018) il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Sotto quest'ultimo profilo del contenuto compensativo perequativo dell'assegno divorzile la giurisprudenza di legittimità ha recentemente chiarito (Cass. civ. sez. I, n. 38362 del 3 dicembre 2021) che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l'assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale.

L'accoglimento del primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, nella prospettiva di una corretta applicazione alla controversia della giurisprudenza delle Sezioni Unite del 2018 e delle successive statuizioni conformi di questa Corte, comporta l'assorbimento degli altri motivi del ricorso principale per le seguenti ragioni.

Il secondo motivo va esaminato insieme al terzo in relazione alla affermazione della Corte di appello non contestata dalle parti in questo giudizio e contenuta al p. 8 della motivazione. Secondo la Corte milanese infatti era intenzione dei coniugi, e in particolare del M., che i figli continuassero a vivere, sino al raggiungimento della loro autosufficienza economica, insieme alla madre, nella dimora familiare, la quale per la sua estensione e le sue pertinenze presenta dei costi di mantenimento sostenibili solo con il contributo economico (esclusivo o prevalente) del padre. La Corte di appello ha quindi riformato la decisione di primo grado collegando l'onere di sostenere le spese di riscaldamento e di manutenzione del parco di pertinenza della villa al diritto al mantenimento dei figli come riconosciuto dal padre. Tuttavia, e con riferimento specifico al terzo motivo del ricorso principale, la Corte di appello non ha dato conto con precisione della reale incidenza complessiva del costo di manutenzione della casa familiare, che la parte ricorrente indica in ben 72.000 Euro annui, laddove invece una esatta quantificazione del suo importo globale e della misura in cui il suo peso dovrà gravare sui coniugi risulta ineludibile. Infatti l'onere della manutenzione, sia per ciò che concerne la sua quantificazione che per la sua ripartizione fra i coniugi, non può che ripercuotersi sull'entità dell'assegno di mantenimento dei figli, da determinare sulla base del criterio del tendenziale mantenimento del tenore di vita acquisito e del cambiamento delle esigenze legate alla loro crescita. Come pure non potrà non ripercuotersi sulla determinazione dell'assegno divorzile nella misura che sarà accertata dal giudice del rinvio e sulla determinazione del contributo alle spese di manutenzione della casa familiare da parte del coniuge beneficiario dell'assegno divorzile o sulla eventuale esclusione di qualsiasi onere al riguardo. La questione investe anche il secondo motivo dato che la disponibilità nel corso del giudizio di somme maggiori rispetto alla misura fissata dalla Corte di appello può essere stata destinata, almeno in parte, proprio alla copertura dei costi di manutenzione della casa familiare che, in base alla decisione non controversa della Corte di appello, cui si è fatto teste' riferimento, vanno considerati come costi finalizzati al mantenimento dei figli sino al raggiungimento della loro indipendenza economica e alla conseguente cessazione della destinazione della residenza familiare alla loro abitazione. Tuttavia anche in questa prospettiva il giudice del rinvio dovrà decidere conformemente alla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. I, n. 28646 del 18 ottobre 2021) secondo cui quando sia stato disposto un assegno divorzile dal giudice di primo grado, ma questa decisione sia stata revocata dal giudice d'appello in conseguenza dell'accertamento dell'insussistenza originaria dei presupposti per la sua attribuzione, ovvero in conseguenza di una minore quantificazione della misura dell'assegno, l'ex coniuge che ne abbia beneficiato è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto, a far data da quando ha iniziato a percepire gli emolumenti, oltre agli interessi legali dai rispettivi pagamenti e fino all'effettivo soddisfo, perché in caso di somme indebitamente versate in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, non si applica la disciplina della ripetizione dell'indebito oggettivo di cui all'art. 2033 c.c., spettando all'interessato il diritto ad essere reintegrato dall'"accipiens" dell'intera diminuzione patrimoniale subita, a prescindere dal suo stato soggettivo di buona o mala fede (Cass. civ. sez. I n. 28646 del 18 ottobre 2021). Fermo restando altresì che per la parte dell'assegno divorzile cui si debba attribuire una mera funzione alimentare deve essere esclusa la ripetizione delle somme percepite in ottemperanza della decisione poi riformata in appello (Cass. civ. sez. I n. 6864 del 20 marzo 2009).

Infine il quarto motivo del ricorso attiene alla ricostruzione del patrimonio del M., elemento la cui valutazione è comunque imprescindibile ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno divorzile e dell'assegno di mantenimento in favore dei figli. Tuttavia si tratta di una valutazione che la Corte di appello ha già fatto quantificando il valore del patrimonio e del reddito del M. e ritenendolo rilevantissimo nonostante la vendita della società ***** e i gravosi impegni assunti con la separazione nei confronti della moglie e dei figli. Il motivo resta pertanto assorbito nella misura in cui la ampia revisione del giudizio di merito che verrà compiuta per effetto dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale (con assorbimento dei precedenti motivi) e del ricorso incidentale comporterà una attualizzazione di tale valutazione e una precisa determinazione del contributo che i due coniugi hanno apportato al patrimonio familiare e dell'altro coniuge alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite a cui si è fatto ampio riferimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione;

dispone che in caso di pubblicazione o diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità e i dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022.

©2022 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472