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Reiterazione abusiva dei contratti a termine, come si calcola il danno eurounitario?

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.36659 del 14/12/2022

Come si calcola il danno da illecito eurounitario per reiterazione abusiva di contratti a termine nel pubblico impiego?

È il quesito a cui risponde la Cassazione con l'ordinanza n. 36659 depositata il 14 dicembre 2022.

La retribuzione globale di fatto da tenere presente, ai sensi dell'art. 32, co. 5, legge n. 183/2010 (ora art. 28, co. 2, d. lgs. n. 81/2015), come parametro liquidatorio per il danno euronitario è quella del livello formale di inquadramento cui il lavoratore aveva diritto al momento della maturazione della predetta fattispecie di illecito.

Tuttavia - aggiunge la Corte - in ragione della necessità di pieno apprezzamento dell'illecito nella sua interezza, vanno considerati anche:

  • eventuali livelli di inquadramento superiore maturati nei successivi rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione dedotta in causa;
  • eventuali aumenti della retribuzione propria del livello di inquadramento esistente al momento del perfezionarsi dell'illecito, maturati in epoca successiva ma in pendenza di rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione.

Ferma restando, in tutti i casi, la necessità che il ristoro sia determinato, muovendo da tali basi, in modo da prescegliere, nell'ambito del margine stabilito dalle norme (da 2,5 a 12 mensilità) la misura più coerente rispetto al caso concreto, tenuti presenti tutti i parametri di cui all'art. 8 legge n. 604/1966, in quanto richiamati dall'art. 32, co. 5 legge n. 183 (ora art. 28, co. 2, d. lgs n. 81/2015).

Il caso di specie riguardava la domanda di risarcimento del danno proposta dai alcuni lavoratori, in ragione dell'illegittimità dei contratti di lavoro somministrato a termine e poi dei contratti a tempo determinato, nel complesso intercorsi con il Ministero dell'Interno.

Pubblico impiego, reiterazione abusiva di contratti a termine, danno da c.d. illecito Eurounitario, retribuzione globale di fatto, calcolo

La retribuzione globale di fatto da tenere presente, ai sensi del L. n. 183 del 2010 art. 32, comma 5, (ora D. Lgs. n. 81 del 2015 art. 28, comma 2) quale parametro liquidatorio del danno da c.d. illecito Eurounitario per reiterazione abusiva di contratti a termine è quella del livello formale di inquadramento cui il lavoratore aveva diritto al momento della maturazione della predetta fattispecie di illecito; tuttavia, in ragione della necessità di pieno apprezzamento dell'illecito nella sua interezza, vanno considerati eventuali livelli di inquadramento superiore maturati nei successivi rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione dedotta in causa, come anche, con la medesima finalità, eventuali aumenti della retribuzione propria del livello di inquadramento esistente al momento del perfezionarsi dell'illecito, maturati in epoca successiva ma in pendenza di rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione, ferma restando, in tutti i casi, la necessità che il ristoro sia determinato, muovendo da tali basi, in modo da prescegliere, nell'ambito del margine stabilito dalle norme (da 2,5 a 12 mensilità) la misura più coerente rispetto al caso concreto, tenuti presenti tutti i parametri di cui al L. n. 604 del 1966, art. 8 in quanto richiamati dall'art. 32, comma 5 L. n. 183 (ora D.Lgs. n. 81 del 2015 art. 28, comma 2).

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Corte di Cassazione, sez. Lavoro Civile, Ordinanza n. 36659 del 14/12/2022

RILEVATO CHE

1. La Corte d'Appello di Firenze ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città con cui era stata accolta, per quanto qui ancora interessa, la domanda di risarcimento del danno proposta dai lavoratori meglio indicati in epigrafe, in ragione dell'illegittimità dei contratti di lavoro somministrato a termine e poi dei contratti a tempo determinato, nel complesso intercorsi con il Ministero dell'Interno dall'anno 2004 o 2005 in poi;

in particolare, la Corte, mentre ha confermato la pronuncia risarcitoria resa in prime cure, ha ridotto, in applicazione del L. n. 183 del 2010, art. 32 da 15 a 12 le mensilità di retribuzione globale di fatto attribuite a titolo risarcitorio, queste ultime ritenute da calcolare sul livello superiore cui corrispondevano le mansioni in concreto svolte nel tempo dai lavoratori, pur dopo il loro sopravvenuto inquadramento ad un livello inferiore;

la Corte territoriale riteneva la nullità dei contratti in somministrazione sia perché muniti (i primi due) di causale generica e del tutto priva di richiami ad esigenze temporanee, sia perché (l'ultimo) formato con il richiamo ad ordinanze emergenziali reputate inidonee a fondare la validità delle clausole di durata;

analogamente, la Corte riteneva che la causale apposta al successivo contratto a termine stipulato nel 2008 direttamente con i lavoratori fosse del tutto generica e priva di richiami ad esigenze temporanee;

2. Il Ministero dell'Interno ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, mentre i lavoratori hanno notificato controricorso, contenente anche un motivo di ricorso incidentale;

3. Entrambe le parti hanno infine depositato memoria.

CONSIDERATO CHE

1. Il primo motivo di censura denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 115, comma 2, c.p.c., nonché del L. n. 225 del 1992, art. 5 del D.L. n. 225 del 2010 art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 276 del 2003 artt. 20 e 21, del D.Lgs. n. 368 del 2001art. 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 36, nonché della Direttiva Europea 1999/70 e dell'art. 20 CCNL Ministeri 2002-2005, imputando alla Corte territoriale di non avere considerato la piena legittimità dei contratti a termine in ragione delle deroghe alla legislazione vigente introdotte dalle ordinanze emergenziali emanate dalla Protezione Civile per fare fronte al fenomeno dell'immigrazione clandestina di massa nel nostro paese ed evidenziando altresì come la Corte di merito non avesse considerato le recenti posizioni assunte dalla S.C. in ragione della sopravvenuta o programmata stabilizzazione dei lavoratori precari, quale mezzo idoneo a "cancellare" l'illecito eventualmente prodottosi;

2. Il motivo va disatteso, dovendosi dare continuità all'orientamento che questa S.C. ha già espresso con plurime pronunce su censure ed in casi analoghi a quello qui in esame (tra le molte, in ordine di tempo, Cass. 29 maggio 2018, n. 13482; Cass. 28 settembre 2021, n. 24697; Cass. 6 luglio 2022, n. 21355);

si è in proposito precisato che l'eccezionalità dello strumento - tale per cui ad atti di provenienza governativa è consentito, al di fuori delle ipotesi costituzionalmente tipiche e di rango primario del decreto legge (art. 77 Cost., comma 2) e del decreto delegato (art. 76 Cost.), di derogare a norme di legge per ragioni di emergenza impone che le deroghe siano consentite in modo espresso, come del resto sancito dal L. n. 225 del 1992 art. 5, comma 5, ora art. 25 del Codice della Protezione Civile, di cui al D.Lgs. n. 1 del 2018 (cfr. Cass. n. 24490/2019, Cass. n. 13482/2018 cit., Cass. n. 26372/2017) e che, ove nel caso concreto residuino dubbi, prevale l'opzione interpretativa di ritenere l'ordinanza come non derogatoria della disciplina di legge (v., ancora, Cass. 13482/2018);

pertanto, per derogare alle norme in tema di somministrazione di lavoro o di contratti a termine non basta che le O.P.C.M. prevedessero, com'e' nel caso di specie, il ricorso per ragioni di urgenza alla fornitura di lavoro in somministrazione o a termine, nulla essendo esplicitato rispetto alla deroga alle norme (D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21; D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1,4 e 5) che disciplinavano ratione temporis tali istituti lavoristici e che prevedevano che le causali dei contratti fossero in essi esplicitate e corrispondessero ad effettive esigenze temporanee del datore di lavoro rispetto all'ufficio di destinazione;

costituisce poi dato acquisito alla giurisprudenza di questa S.C. (in ordine di tempo, Cass. 16 gennaio 2019, n. 992; Cass. 13 gennaio 2021, n. 446; Cass. 15 febbraio 2021, n. 3815) quello per cui in materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di illegittima o abusiva successione anche di contratti di somministrazione di lavoro a termine, pur essendo esclusa, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 36, comma 5, e dell'art. 86, comma 9, del D.Lgs. n. 276 del 2003, la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato, si verifica in ogni caso la sostituzione della pubblica amministrazione-utilizzatrice nel rapporto di lavoro a termine e il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto;

nel caso di specie l'illegittima reiterazione si era già avuta, secondo l'accertamento della Corte territoriale che resiste al motivo di ricorso, ai tempi delle somministrazioni a termine e dunque la parimenti accertata illegittimità del termine apposto al successivo contratto (o contratti) stipulato direttamente con i lavoratori nulla aggiunge, se non sotto il profilo della gravità della precarizzazione indebitamente cagionata;

3. nel motivo si fa riferimento, peraltro, all'assunto - già sostenuto in appello dal Ministero - per cui anche solo la probabilità di stabilizzazione costituirebbe sanatoria dell'illecito e nella memoria finale il Ministero ha evidenziato come i lavoratori fossero stati tutti stabilizzati successivamente alla pronuncia della sentenza di secondo grado;

3.1. sul primo punto va ribadito che, al di là di quanto accaduto in ambito scolastico nelle particolari contingenze della immissione in ruolo ad opera della c.d. disciplina sulla buona scuola, questa S.C., pur ritenendo che anche negli altri settori la stabilizzazione sia misura idonea ad impedire l'applicazione delle regole delineate da Cass., S.U., 5072/2016 sul c.d. danno Eurounitario (Cass. 3 luglio 2017 n. 16336), ha tuttavia fatto riferimento alla necessità di una reale assunzione a tempo determinato, causalmente riconducibile con nesso di causa-effetto dalla reiterazione dei contratti a termine (Cass. 17 luglio 2020 n. 15353) e non caratterizzantesi come una mera chance (Cass. 27 maggio 2021 n. 14815);

va quindi escluso che abbia rilievo la sola possibilità o probabilità di stabilizzazione, anche a perché, a ben vedere, il prospettarsi di una mera chance di stabilizzazione medio tempore protrae e non elimina la condizione di precarietà che è ragione del danno di cui si riconosce il risarcimento, sicché non può attribuirsi a tale situazione meramente possibilistica o probabilistica, in linea generale, un qualche effetto sanante;

3.2. quanto al tema delle stabilizzazioni, poi effettivamente sopravvenute al giudizio di appello, va invece richiamato, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c. il recente orientamento di questa S.C., espresso in una pluralità di pronunce e rispetto al quale le difese svolte dal Ministero in memoria non giustificano un diverso avviso, secondo cui "in tema di contratti a termine e di somministrazione nel pubblico impiego con trattualizzato, è inammissibile l'eccezione - contenuta nelle memorie ex artt. 378 o 380-bis.1, c.p.c. - di avvenuta stabilizzazione del dipendente in epoca successiva alla notifica del ricorso per cassazione, perché nel giudizio di legittimità le predette memorie hanno solo la funzione di illustrare e chiarire le ragioni svolte in ricorso o in controricorso e di confutare le tesi avversarie, non di dedurre nuove eccezioni implicanti necessariamente accertamenti di fatto -, o sollevare nuove questioni di dibattito, le quali non possono riferirsi neppure a fatti sopravvenuti, insuscettibili di essere provati mediante produzioni documentali, consentite soltanto nei differenti casi di cui all'art. 372, comma 1, c.p.c." (Cass. 6 luglio 2022, n. 21335 e successive conformi);

a tale esaustiva enunciazione basti aggiungere intanto che non è neppure da richiamare un'ipotesi "prospettive overruling" che giustifichi la riapertura di termini a difesa, in quanto l'eccezionale istituto riguarda solo eventuali mutamenti giurisprudenziali di ambito processuale e non sostanziale (tra le molte, Cass. 14 gennaio 2021, n. 552; Cass. 2 dicembre 2020, n. 27555; Cass. 11 marzo 2013, n. 5962; Cass. 27 dicembre 2011, n. 28967);

inoltre, il caso va distinto (sul punto v. Cass. 4 agosto 2022, n. 24286) da quanto accaduto in ambito scolastico, perché in quella sede, a giustificare la pronuncia in sede di legittimita dui fatti verificatisi dopo la sentenza di appello stava il ricorrere di uno ius superveniens (cui si assimilano le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale) cui il giudice di legittimità, direttamente o con rinvio al giudice di appello, è tenuto a dare attuazione (v. Cass. 3 giugno 2020, n. 10538; v. anche Cass. 3 dicembre 2021, n. 38205);

4. il secondo motivo deduce invece la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 52, affermando che la Corte territoriale avrebbe errato nel prendere a riferimento la retribuzione corrispondente al livello proprio delle ultime mansioni svolte di fatto, mentre il parametro avrebbe dovuto essere quello proprio delle mansioni di inquadramento formale;

4.1. secondo quanto esplicitamente accertato dalla Corte territoriale è accaduto che i lavoratori siano stati assunti reiteratamente con contratti in somministrazione e con qualifica di impiegato B3;

nell'assunzione a termine successiva a tali contratti i lavoratori sono stati invece assunti con l'inferiore livello B1;

la Corte territoriale ha attribuito le retribuzioni a titolo risarcitorio valorizzando il fatto che i lavoratori avevano anche successivamente svolto, in concreto, attività che, per ampiezza e contenuti, sicuramente corrispondeva a quella dell'impiegato B3 ed ha quindi fatto riferimento alla retribuzione propria di quest'ultima posizione;

il ragionamento va qui soltanto chiarito, ma la decisione finale assunta è comunque conforme a diritto;

l'attribuzione di mansioni diverse da quelle di inquadramento è invalida (D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 52) e dunque non può giustificare altro se non l'attribuzione delle retribuzioni corrispondenti al lavoro quale di fatto svolto, ma non è questo il punto, perché comunque la regola di cui al L. n. 183 del 2010 art. 32, comma 5, (ora D.Lgs. n. 81 del 2015 art.28, co. 2) viene qui in evidenza come mero parametro risarcitorio;

va invece considerato, intanto, che l'adozione di un dato fattuale estemporaneo per l'applicazione di quel parametro, come l'esercizio di fatto di certe mansioni, appare inadeguata, ponendosi altrimenti l'ulteriore problema di stabilire quale sarebbe la durata sufficiente di tale esercizio di quelle mansioni idoneo a giustificare la valorizzazione di una tale dinamica concreta, ma oggettivamente non vi sono riferimenti per stabilire ciò con sufficiente fondatezza;

4.2. il riferimento non può dunque che andare ai dati non controvertibili dell'inquadramento quale formalmente esistente di tempo in tempo;

su tale premessa, il parametro di base è certamente quello della retribuzione del livello di inquadramento formale proprio del momento in cui l'illecito si è determinato, ovverosia di quando, secondo le varie possibili evenienze del succedersi di rapporti a termine, sono maturati i requisiti che consentono di individuare nell'accaduto un illecito suscettibile di risarcimento;

peraltro, qualora il fenomeno illecito dedotto in causa e al quale il risarcimento ha riguardo prosegua anche oltre quel momento storico, si deve valutare quale rilievo abbia quanto accada successivamente alla data di base come sopra individuata;

va intanto escluso che abbiano rilievo, al fine di assumere come parametro retribuzioni inferiori, i livelli deteriori di inquadramento formale che caratterizzino (come è nel caso di specie) i successivi rapporti a termine che vengano in evidenza nel medesimo contesto di reiterazione dedotto quale oggetto del giudizio, ovverosia che possa avere rilievo un inquadramento a livello inferiore che si verifichi successivamente al maturare dell'illecito, al fine di assumere come base la corrispondente inferiore retribuzione;

si determinerebbe altrimenti una contraddittoria riduzione dei parametri risarcitori per eventi successivi al maturare dell'illecito e che semmai ne aggravano le conseguenze, ma di certo non le riducono,

al contrario, una completa considerazione della gravità dell'illecito stesso imporrà, qualora i successivi inquadramenti o trattamenti propri dei rapporti dedotti in giudizio siano migliori, di considerare essi come base del calcolo risarcitorio, salvo calibrare adeguatamente l'accaduto, considerando tutte le particolarità concrete, nel fissare tra il minimo ed il massimo "edittali" l'importo dovuto;

4.3. tutto ciò significa che, rispetto a quanto oggetto del presente giudizio, è inutile verificare se l'illecito sia maturato prima o dopo il 1.1.2006, momento in cui il livello economico B3 (area B) della precedente contrattazione collettiva (CCNL 1998/2001) si è evoluto in livello F3 interno al nuovo sistema delle Aree (Area II), ottenendo anche un riassetto retributivo;

infatti, muovendo dal presupposto che l'illecito è stato accertato come esistente dalla Corte d'Appello fin dall'epoca dei contratti in somministrazione e che questi ultimi, pur essendosi protratti al massimo fino al 31.12.2007, hanno avuto attuazione per tutti i lavoratori anche nell'anno 2006, con gli inquadramenti migliori spettanti da quell'anno per gli ex livelli B3 del CCNL 1999/2001 in forza del sopravvenuto CCNL 2006/2009, va da sé che la decisione impugnata, calcolando il risarcimento sulla base del sopravvenuto diritto ad un inquadramento a livello ex B3 area II (e quindi F3), è conforme a diritto, sicché il ricorso per cassazione va rigettato;

4.4. va anche definito il seguente principio: "la retribuzione globale di fatto da tenere presente, ai sensi del L. n. 183 del 2010 art. 32, comma 5, (ora D. Lgs. n. 81 del 2015 art. 28, comma 2) quale parametro liquidatorio del danno da c.d. illecito Eurounitario per reiterazione abusiva di contratti a termine è quella del livello formale di inquadramento cui il lavoratore aveva diritto al momento della maturazione della predetta fattispecie di illecito; tuttavia, in ragione della necessità di pieno apprezzamento dell'illecito nella sua interezza, vanno considerati eventuali livelli di inquadramento superiore maturati nei successivi rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione dedotta in causa, come anche, con la medesima finalità, eventuali aumenti della retribuzione propria del livello di inquadramento esistente al momento del perfezionarsi dell'illecito, maturati in epoca successiva ma in pendenza di rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie di abusiva reiterazione, ferma restando, in tutti i casi, la necessità che il ristoro sia determinato, muovendo da tali basi, in modo da prescegliere, nell'ambito del margine stabilito dalle norme (da 2,5 a 12 mensilità) la misura più coerente rispetto al caso concreto, tenuti presenti tutti i parametri di cui al L. n. 604 del 1966, art. 8 in quanto richiamati dall'art. 32, comma 5 L. n. 183 (ora D.Lgs. n. 81 del 2015 art. 28, comma 2)";

5. con il ricorso incidentale i lavoratori sostengono la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del L. n. 183 del 2010 art. 32, comma 5, dell'art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e della clausola 5, punto 1, dell'Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, subordinatamente prospettando questione di legittimità costituzionale, il tutto sul presupposto dell'inidoneità risarcitoria e dissuasiva della sanzione derivante dall'applicazione del citato art. 32, in asserito contrasto anche con gli obblighi di ricezione delle norme Eurounitarie e quindi con l'art. 117 Cost. ed adducendosi altresì, ai sensi dell'art. 3 Cost, la disparità di trattamento sanzionatorio esistente tra il lavoro privato e quello alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, sebbene anch'esso contrattualizzato e l'irragionevolezza intrinseca del sistema quale esistente;

5.1. è noto come, secondo le S.U. di questa S.C. "in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di "chance" di un'occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell'art. 1223 c.c.", e si è già detto come, secondo il medesimo arresto "nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista del D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito" (Cass. S.U., 15 marzo 2016, n. 5072);

tale assetto giuridico ha trovato conferma, a livello Eurounitario, con la successiva Corte di Giustizia 7 marzo 2018, Santoro, secondo cui "la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un'indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall'altro, prevede la concessione di un'indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest'ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato" e la giurisprudenza nazionale, sulla base di quanto già ritenuto dalla S.U., ha riconosciuto una siffatta capacità dissuasiva al risarcimento nella misura indicata, tra l'altro associato a possibili effetti sulla responsabilità dei dirigenti, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 comma 5, di portata parimenti dissuasiva;

tutto ciò, stante il convergere delle interpretazioni interne con quella della Corte di Giustizia UE, esclude qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale sotto il profilo dell'art. 117 Cost., ma anche sotto il profilo della assenza di irragionevolezza e pone la base di disattendere anche il sollecito alla proposizione di questione sotto il profilo della disparità di trattamento;

5.2. a quest'ultimo proposito, già Corte Costituzionale 27 marzo 2003 n. 89 ha escluso la fondatezza di tale questione, sebbene sotto il profilo particolare del divieto di conversione e della connessione di esso con la regola del pubblico concorso e tale assetto, come notano i controricorrenti, è stato richiamato anche da Cass., S.U. n. 5072 cit., la quale ha altresì fatto riferimento alla possibilità di una diversa disciplina pubblico-privato, sotto il profilo in esame, quale avallata da Corte di Giustizia 7 settembre 2006, Marrosu Sardino;

il solco così tracciato si alimenta tuttavia di ulteriori profili differenziali, quali la disciplina legale - e come tale ineludibile, trattandosi di P.A. - della responsabilità dei dirigenti conseguente alla stipula di contratti illegittimi e, poi, il fatto stesso che, nonostante la non convertibilità del rapporto, il regime probatorio del danno - consistente come precisato dalle S.U. nella indebita precarizzazione e non nella perdita di un posto rispetto all'ottenimento del quale non esiste un diritto - sia agevolato e calibrato su base presuntiva ex lege, per quanto nei noti limiti "ed itta li";

in definitiva ne resta ampiamente confermata la differente fisionomia delle due tipologie di rapporti e quindi l'assenza di qualsivoglia elemento per ritenere, come intenderebbero i controricorrenti, inadeguato il riscontro di compatibilità costituzionale già svolto dalle S.U. nella pronuncia citata ed anche solo per ipotizzare una non manifesta infondatezza della questione ancora ad essi riproposta;

6. al rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale segue, data la reciproca soccombenza, la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

7. nei confronti del ricorrente principale non sussistono le condizioni processuali di cui all'art. 13 c. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso (Cass. S.U. n. 4315/2020; Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017 e, di recente, Cass. n. 24286/2022); tali condizioni, invece, sussistono, nei confronti dei ricorrenti incidentali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2022.

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