Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.3813 del 07/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6572-2019 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato CIRO CAFIERO, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE MASCOLO;

– ricorrente –

contro

AUTOSTRADE MERIDIONALI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, GIOSAFAT RIGANO’, ANTONELLO DI ROSA che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7461/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/12/2018 R.G.N. 1540/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 01/12/2021 dal Consigliere Dott. PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. G.A. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, Autostrade Meridionali s.p.a., chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 10.11.2016 per avere “il 30 agosto 2016, durante lo svolgimento della prestazione lavorativa presso la stazione di Torre Annunziata Sud, con l’artificio consistente nel porre della carta sulla barriera ottica della sbarra di cadenzamento dei veicoli…fatto sì che la sbarra rimanesse alzata rendendo inefficiente il sistema di rilevamento dei veicoli in transito… al fine di poter trattenere a suo vantaggio ed in danno della società l’importo dei pedaggi pagati dai clienti”, e posto in essere la medesima condotta anche negli altri casi elencati nell’allegato B).

2. Il Tribunale, nella fase sommaria di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, ha respinto il ricorso che, invece, è stato accolto nella fase di opposizione, con declaratoria di illegittimità del licenziamento e condanna di Autostrade Meridionali s.p.a. a reintegrare il lavoratore e a risarcirgli i danni.

3. La Corte d’appello di Napoli ha accolto il reclamo proposto dalla società e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’originaria domanda del lavoratore di impugnativa del licenziamento.

4. La Corte territoriale ha esaminato le deposizioni testimoniali, rese dagli investigatori incaricati dalla società, unitamente alla relazione investigativa e alla documentazione prodotta dalle parti ed ha ritenuto raggiunta la prova dell’addebito contestato al dipendente e risalente al 30.8.2016. Ha ritenuto, conformemente al Tribunale, che mancasse la prova in ordine agli altri addebiti contestati al G., relativi alla medesima attività posta in essere nel periodo dall’1.1.2016 al 31.7.2016. Ha valutato il licenziamento intimato come misura disciplinare proporzionata alla condotta tenuta dal dipendente il 30.8.2016, in ragione del particolare grado di fiducia richiesto dalla specifica posizione lavorativa del G., non suscettibile di controllo continuo, del fatto che il predetto avesse rapporti con l’utenza, nei cui confronti rappresentava l’azienda, e maneggiasse denaro; risultando irrilevante rispetto a tali elementi il dato della esiguità della somma sottratta e dell’episodio isolato in cui ciò si sarebbe verificato, in quanto la circostanza che il dipendente avesse posto in essere artifici e raggiri per appropriarsi di denaro in danno del datore di lavoro rivestiva un elevato disvalore giuridico e sociale tale da ledere in modo irrimediabile il vincolo fiduciario e rendere proporzionata la sanzione espulsiva.

5. Avverso tale sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Autostrade Meridionali s.p.a., ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, e dell’art. 2697 c.c., nonché omessa o erronea valutazione di fatto decisivo e motivazione incongrua o contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. Si censura la sentenza per avere ritenuto integrata la giusta causa di recesso e quindi assolto l’onere di prova della società datoriale, nonostante le numerose contraddizioni rilevate tra le deposizioni rese dai testimoni (investigatori privati) e la relazione investigativa e per aver errato nel considerare superabili tali contraddizioni e discrasie; ciò, peraltro, con motivazione apparente e senza neanche chiarire perché la valutazione eseguita dal Tribunale non fosse condivisibile.

8. Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per motivazione contraddittoria o inesistente, mancata valutazione di fatti oggetto del giudizio ed error in procedendo.

9. Si assume che la Corte di merito non abbia reso una motivazione idonea, logica e coerente rispetto alla vicenda in esame; che la sentenza stessa dà conto della scarsa intellegibilità di alcune dichiarazioni testimoniali e delle discrasie tra le stesse e poi reputa superabili tali divergenze in ragione della conferma da parte dei testimoni della relazione investigativa; in tal modo rendendo una motivazione apparente, basata sulla relazione investigativa certamente priva di efficacia probatoria piena. Si rileva poi l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti, relativo al punto di osservazione da cui gli agenti investigatori hanno visionato e ripreso la condotta del lavoratore. Si afferma che tale punto di osservazione non potesse essere collocato a distanza di 100 metri dopo il superamento della sbarra del casello, perché a tale distanza la macchina degli agenti si sarebbe trovata sulle corsie autostradali e quindi in condizione di non potersi fermare per l’esecuzione dei rilievi fotografici.

10. Con il terzo motivo si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 5, 6 e 8, e della L. n. 300 del 1970, la violazione del principio di proporzione tra condotta addebitata e sanzione e della L. n. 183 del 2010, art. 30, nonché l’assenza di motivazione.

11. Si contestano le valutazioni su cui i giudici di appello hanno fondato il giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta posta in essere dal lavoratore. In particolare, si contesta che lo svolgimento della prestazione avvenisse senza continuo controllo datoriale poiché, invece, “tutti i passaggi degli autoveicoli sono registrati dalle BOE”, così come è direttamente controllato dall’azienda il maneggio di denaro. Si contesta l’affermazione secondo cui il lavoratore rappresenta l’azienda nei confronti degli utenti. Si assume che la sentenza non abbia esplicitato le ragioni per cui la condotta fosse sanzionabile con il licenziamento e non abbia spiegato perché la misura espulsiva non risultasse sproporzionata alla luce dei seguenti elementi: unicità dell’episodio, esiguità del pregiudizio economico per l’azienda, assenza di precedenti disciplinari e rapporto di lavoro pluridecennale.

12. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto logicamente connessi, e non possono trovare accoglimento poiché, sotto l’apparente censura della violazione di norme di legge, prospettano una differente selezione del materiale probatorio rilevante ai fini della decisione, nonché una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, quindi, in sostanza, la completa revisione del ragionamento decisorio seguito in sede di merito, che è estranea al perimetro segnato dal citato art. 360 c.p.c., n. 5, e non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

13. Neppure ricorre il dedotto vizio di motivazione, configurabile nei ristretti limiti delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014 cit.), nel caso di specie ampiamente rispettati, anche quanto alla valutazione integrata delle dichiarazioni rese dai testimoni investigatori privati nelle varie fasi del procedimento di primo grado, rispetto al contenuto della relazione investigativa e alla documentazione prodotta.

14. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

15. Questa Corte ha più volte ribadito che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito si sostanzia nella valutazione di gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007).

16. La sentenza impugnata si è attenuta ai principi sopra richiamati ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione, in particolare sottolineando la irrimediabile lesione della buona fede connessa all’impiego, da parte del dipendente, di artifici e raggiri allo scopo di sottrarre denaro in danno della società datoriale.

17. Le critiche mosse dal ricorrente non investono i parametri normativi su cui deve fondarsi il giudizio di proporzionalità, bensì il peso in concreto attribuito dai giudici di appello ai singoli elementi probatori e la valutazione comparativa degli stessi. Esse si risolvono nella proposta di un diverso apprezzamento dei dati fattuali e di una valutazione alternativa degli stessi, che mostri un livello di gravità della condotta inferiore a quello ravvisato dai giudici di appello, e rimangono quindi confinate nell’ambito della valutazione merito e della deduzione di un generico vizio motivazionale, inammissibili in questa sede di legittimità.

18. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.

19. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza, e liquidate come in dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

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