LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 1980/2017 R.G. proposto da:
F.A., c.f. *****, elettivamente domiciliata, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Ragusa, alla via Archimede, n. 17/L, presso lo studio dell’avvocato Gaetano Barone, e dell’avvocato Guglielmo Barone, che disgiuntamente e congiuntamente la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
F.C., c.f. *****, rappresentato e difeso in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso dall’avvocato Giuseppe Augello, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Orazio, n. 31, presso lo studio dell’avvocato Marco Mattei.
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e SERVIZIO ITALIA s.p.a., c.f. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore.
– intimata –
e LANIFICIO di RAGUSA CONIUGI F. s.r.l., c.f. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore.
– intimata –
e LANIFICIO di RAGUSA s.r.l., c.f. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore.
– intimata –
e L.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1816 – 16.11/2.12.2015 della Corte d’Appello di Catania;
udita la relazione nella Camera di consiglio del 9 novembre 2021 del Consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con atto notificato il 7/13.4.2005 F.A. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Ragusa il fratello, F.C., nonché la “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., la “Lanificio di Ragusa” s.r.l. e la “Servizio Italia” s.p.a..
Esponeva che con scrittura privata del 16.12.1999 il fratello, titolare del 45% del capitale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., si era obbligato a trasferirle la metà della sua quota per un prezzo pari al valore nominale.
Esponeva che si era altresì pattuito che alla cessione definitiva si sarebbe fatto luogo entro il 30.5.2000 e che, qualora, medio tempore, la partecipazione al capitale del fratello fosse aumentata, questi gli avrebbe in ogni caso ceduto il 50% della sua quota.
Esponeva inoltre che la cessione era stata procrastinata; che il fratello le aveva proposto, in alternativa, il pagamento del controvalore della quota da trasferire e nondimeno a tale pagamento non si era addivenuti in dipendenza dell’indisponibilità del convenuto a far accertare il valore reale della sua partecipazione alla stregua della situazione patrimoniale della società.
Chiedeva pronunciarsi sentenza che la dichiarasse titolare ovvero, in subordine, che le trasferisse, ai sensi dell’art. 2932 c.c., la titolarità delle quote e della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. e della “Lanificio di Ragusa” s.r.l., società, quest’ultima, beneficiaria del patrimonio immobiliare della prima a seguito della scissione operata con atto del 23.12.2004.
2. Si costituiva F.C..
Instava per il rigetto dell’avversa domanda.
3. Si costituiva la “Servizio Italia” s.p.a., detentrice delle quote della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. per conto di F.C..
Deduceva che il capitale sociale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. era stato azzerato e che aveva provveduto a sottoscrivere il capitale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. all’uopo ricostituito, sicché la scrittura privata del 16.12.1999 non le era opponibile.
Instava per il rigetto della domanda nei suoi confronti proposta.
4. Non si costituivano la “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. e la “Lanificio di Ragusa” s.r.l..
5. Con memoria in data 25.7.2005 F.A. domandava, in subordine, in ipotesi di mancato accoglimento delle domande esperite in citazione, la condanna di F.C. al risarcimento del danno cagionatole, commisurato al valore della quota del capitale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. oggetto della pattuizione in data 16.12.1999.
6. Si costituiva L.M..
Instava per la declaratoria di inammissibilità e comunque per il rigetto della domanda spiegata – con la memoria del 25.7.2005 – nei suoi confronti.
7. F.C. e la “Servizio Italia” s.p.a. eccepivano l’inammissibilità, siccome nuova, della domanda risarcitoria di cui alla memoria del 25.7.2005.
8. Con sentenza n. 37/2007 il tribunale, qualificata la scrittura del 16.12.1999 in guisa di preliminare con effetti obbligatori, tra l’altro, rigettava la domanda ex art. 2932 c.c., formulata in citazione, dichiarava inammissibile, giacché nuova, la domanda risarcitoria formulata con la memoria in data 25.7.2005, compensava nella misura di 1/2 le spese di lite e condannava l’attrice al pagamento della residua metà.
9. Proponeva appello F.A..
Resisteva F.C..
Resisteva la “Servizio Italia” s.p.a..
Non si costituivano la “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., la “Lanificio di Ragusa” s.r.l. e L.M..
10. Con sentenza non definitiva dei 4/26.11.2013 la Corte d’Appello di Catania, tra l’altro, dichiarava ammissibile la domanda subordinata di risarcimento del danno e disponeva, come da separata ordinanza, per la nomina di un c.t.u. ai fini della determinazione del valore della quota del 22,5% del capitale sociale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. alla conclusione dell’esercizio 1999 sulla base della relativa situazione patrimoniale.
11. Espletata la c.t.u., acquisita l’integrazione alla relazione di c.t.u., la Corte d’Appello di Catania, con sentenza definitiva n. 1816/2015, rigettava la domanda risarcitoria spiegata dall’appellante, compensava nella misura di 1/2 le spese del grado e condannava l’appellante, con distrazione, al pagamento della residua metà nonché al pagamento degli oneri di c.t.u..
Dava atto, dapprima, la corte che l’esito finale della c.t.u. era nel senso dell’impossibilità di far luogo alla determinazione del valore della quota del 22,5% del capitale sociale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. in assenza, alla stregua dei documenti ritualmente allegati in primo grado, della documentazione contabile e dei bilanci della medesima s.r.l..
Indi evidenziava, per un verso, che erano da disattendere i rilievi dell’appellante, gravata dall’onere della prova, circa la possibilità che il consulente tecnico, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., accedesse alla documentazione depositata presso pubblici registri; per altro verso, che doveva “escludersi l’ammissibilità della documentazione irritualmente acquisita dal consulente tecnico e da questi utilizzata a sostegno delle valutazioni e delle conclusioni di cui alla prima relazione” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Evidenziava infine che la parziale riforma della statuizione di primo grado operata con la statuizione non definitiva e le ragioni poste a fondamento di tal ultima pronuncia giustificavano, in considerazione dunque della soccombenza solo parziale dell’appellante, la compensazione nella misura della metà delle spese del grado con onere a carico dell’appellante della residua meta.
12. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso F.A.; ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
F.C. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale condizionato articolato in due motivi, il primo avverso la sentenza non definitiva, il secondo avverso la sentenza definitiva; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento del ricorso incidentale condizionato, cassarsi la sentenza non definitiva n. 1950/2013 e la sentenza definitiva n. 1816/2015, entrambe della Corte d’Appello di Catania; in ogni caso, con il favore – con distrazione – delle spese.
La “Servizio Italia” s.p.a. non ha svolto difese.
Del pari non hanno svolto difese la “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., la “Lanificio di Ragusa” s.r.l. e L.M..
13. La ricorrente ha depositato memoria. Del pari ha depositato memoria il controricorrente.
14. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 2697 c.c..
Deduce che il giudice, in dipendenza del principio dell'”acquisizione della prova”, è tenuto, ai fini della formazione del suo convincimento, ad utilizzare tutte le prove acquisite al processo indipendentemente dalla loro provenienza.
Deduce che, nella specie, il c.t.u., alla luce della documentazione rinvenuta presso il registro delle imprese, ha acclarato sia la situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. sia il valore delle quote oggetto della scrittura del 16.12.1999.
15. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 163 c.p.c., n. 5 e art. 185 c.p.c., n. 2; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.
Deduce che la Corte di Catania, con la sentenza definitiva, non ha tenuto conto che con la sentenza non definitiva era stata operata una ben precisa scelta ai fini della quantificazione del pregiudizio da risarcire, scelta ancorata alla nomina di un c.t.u. ed implicante, in quanto basata sulla situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., la necessaria acquisizione da parte dell’ausiliario della documentazione societaria.
16. Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 24 Cost.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.
Deduce che la Corte catanese, con la sentenza definitiva, non ha tenuto conto che ella ricorrente non era in alcun modo in grado di individuare quale documentazione, tra quella rinvenibile presso pubblici registri, sarebbe stata necessaria ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. al termine dell’esercizio 1999.
17. Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.
Deduce che la Corte di Catania, con la sentenza definitiva, non ha tenuto conto che ella ricorrente aveva prodotto in giudizio l’atto di scissione del 12.12.2004, da cui risultava la situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., nonché la perizia giurata di stima del patrimonio immobiliare della medesima s.r.l. utilizzata in sede di scissione.
18. Con il quinto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c..
Deduce che i dati acquisiti dal c.t.u., alla stregua della documentazione contabile rinvenuta presso i pubblici uffici, riguardano non già gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria bensì il profilo accessorio della quantificazione del danno.
19. Con il sesto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.
Deduce che nelle conclusioni dell’atto di appello aveva espressamente richiamato le istanze istruttorie tutte formulate con la memoria del 25.7.2005.
Deduce che, innanzi alla Corte catanese, sia all’udienza del 15.5.2013 sia all’udienza 17.6.2015, ha concluso riportandosi alle conclusioni dell’atto d’appello e dunque pur all’istanza di esibizione della documentazione contabile nella memoria in data 25.7.2005 esplicitamente formulata.
Deduce quindi che ha errato la Corte etnea a ritenere che l’istanza di esibizione non fosse stata riproposta, siccome dovevano reputarsi ribadite le conclusioni in precedenza formulate.
20. I rilievi, che la delibazione del primo, del secondo, del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli anzidetti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.
21. Vanno in premessa reiterati gli insegnamenti di questa Corte.
Ovvero l’insegnamento a tenor del quale il diritto al ristoro del danno ed alla reintegrazione patrimoniale nasce, in tema di responsabilità civile da inadempimento contrattuale, soltanto con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale per vedere accolta la sua pretesa di risarcimento deve fornire la prova e del pregiudizio e dell’entità dello stesso nel suo concreto ammontare (cfr. Cass. 13.5.1969, n. 1632; Cass. 5.3.1973, n. 608; Cass. 25.5.2006, n. 12382, secondo cui, in tema di azione di danni, il diritto al risarcimento nasce con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale che incida nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale deve provare la perdita economica subita).
Ovvero l’insegnamento a tenor del quale, in tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – né indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte, né procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova (cfr. Cass. 6.12.2019, n. 31886, ove si soggiunge che alle riferite regole può derogarsi soltanto per la prova di fatti tecnici “accessori” o “secondari” oppure di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti ovvero quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali; Cass. 13.9.2021, n. 24641).
Ovvero l’insegnamento a tenor del quale il consulente tecnico d’ufficio può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, ovvero quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio, ma non può ricercare “aliunde” ciò che costituisce materia rimessa all’onere di allegazione e prova delle parti stesse (cfr. Cass. 14.11.2017, n. 26893).
Ovvero l’insegnamento a tenor del quale il consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti “accessori”, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (cfr. Cass. 21.8.2012, n. 14577; Cass. (ord.) 30.7.2021, n. 21926).
22. Ebbene, nel quadro della surriferita elaborazione – quadro in cui l’insegnamento di questa Corte richiamato in memoria dalla ricorrente, secondo cui il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato (cfr. Cass. (ord.) 10.11.2020, n. 25162), non esplica nella specie valenza, giacché il medesimo insegnamento postula la necessità che gli esiti “eccedenti” della c.t.u. non siano smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, risultanze ulteriori che, viceversa, nel caso de quo non sono state acquisite (cfr. sentenza d’appello definitiva, pag. 7, ove si dà atto dell'”assenza di ulteriori elementi di valutazione atti a dimostrare sia l’esistenza che (l’eventuale) entità economica del danno”) – non possono che formularsi i rilievi che seguono.
23. Innanzitutto – con precipuo riferimento al primo motivo – è di sicuro fuor di luogo il riferimento al cosiddetto principio dell'”acquisizione della prova” (in forza del quale ogni elemento istruttorio, una volta raccolto, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza).
Invero, questa Corte spiega non solo che il consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 1 (può assumere – sì – anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice informazioni da terzi e verificare fatti “accessori” necessari per rispondere ai quesiti, ma) non può accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti (cfr. Cass. 10.3.2015, n. 4729).
Ma aggiunge, al contempo, che gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio e, perciò, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario (cfr. Cass. 10.3.2015, n. 4729).
In tal guisa è del tutto ingiustificata la deduzione della ricorrente principale secondo cui, all’esito dell’accertamenti compiuti dall’ausiliario d’ufficio, giammai la corte d’appello avrebbe potuto reputare la domanda risarcitoria sfornita di prova in ordine al “quantum” “sol perché quei libri e quelle scritture, dalle quali era stata desunta la situazione patrimoniale, non erano stati prodotti dalla concludente” (così ricorso principale, pag. 7).
24. Altresì – con precipuo riferimento al secondo ed al quinto motivo – è del pari in toto ingiustificata la prospettazione della ricorrente principale secondo cui la corte di merito ha illegittimamente reputato di prescindere dalla scelta dapprima operata – con la sentenza non definitiva – di demandare all’ausiliario il compito di acquisire la documentazione contabile necessaria ai fini della quantificazione del pregiudizio.
Nella specie, la dimostrazione del quantum del pregiudizio e l’allegazione degli elementi documentali necessari a tal fine – più esattamente, dei bilanci, completi dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa, della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. relativi agli esercizi economico-finanziari degli anni 1999 e successivi, depositati ai sensi degli artt. 2435 e 2478 bis c.c., presso l’ufficio del registro delle imprese – ricadevano senza dubbio nell’onere probatorio dell’originaria attrice, qui principale ricorrente.
Nella specie, del resto si esula senz’altro dall’alveo della c.t.u. cosiddetta “percipiente”, siccome, al più, era demandabile all’ausiliario d’ufficio, sulla scorta ben vero dei bilanci da allegarsi dall’iniziale attrice, la mera valutazione/quantificazione del pregiudizio (e’ “percipiente” la c.t.u., allorquando il giudice affida all’ausiliario non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente “deducente”), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente “percipiente”); in tal ultimo caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche: cfr. Cass. 13.3.2009, n. 6155).
Nella specie, la corte di merito di certo non avrebbe potuto – con la statuizione non definitiva – portar deroga al principio per cui il consulente può acquisire di sua iniziativa documenti non prodotti dalle parti a condizione che si tratti di fatti “accessori”, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati.
Nella specie, senza dubbio alcuno il profilo della quantificazione del danno sofferto da F.A. non era e non è qualificabile come fatto “accessorio”, cosicché l’acquisizione dei documenti necessari a tale specifico scopo indiscutibilmente fuoriusciva dalle prerogative del consulente d’ufficio.
25. Ancora – con precipuo riferimento al terzo ed al quarto motivo – è appieno ingiustificata la deduzione della ricorrente principale secondo cui non era in grado di individuare la documentazione, tra quella rinvenibile presso pubblici registri, necessaria ai fini della ricostruzione, al termine dell’esercizio 1999, della situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l..
Evidentemente F.A. avrebbe potuto – agevolmente (“si trattava (…) di documentazione elementare facilmente estraibile, per come era stata agevolmente estratta dal c.t.u., dal Registro Imprese”: così memoria del controricorrente, pag. 2) – e dovuto attendere all’acquisizione di copia dei bilanci, a decorrere dall’esercizio 1999, della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. e “lasciare” che il consulente tecnico d’ufficio li vagliasse ai fini della determinazione del valore del patrimonio “netto” della medesima società e quindi del valore delle quote ad alle promesse in vendita e del quantum del pregiudizio sofferto.
Ben vero, la summenzionata deduzione è viepiù ingiustificata se si tiene conto che la stessa principale ricorrente ha riferito di aver curato la produzione in giudizio dell’atto di scissione del 12.12.2004 – da cui risultava la situazione patrimoniale della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. – nonché della perizia giurata di stima del patrimonio immobiliare della medesima s.r.l., a firma dell’ingegner A.G. ed utilizzata per la delibera di scissione.
Evidentemente, a nulla vale che la ricorrente principale si dolga perché la corte territoriale non ha tenuto conto della documentazione anzidetta, siccome idonea – assume – a consentire la stima delle quote sociali (cfr. ricorso principale, pag. 11).
Ben vero, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. (ord.) 29.10.2018, n. 27415; cfr., altresì, Cass. 10.6.2016, n. 11892, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante).
26. Da ultimo, una duplice notazione si impone in rapporto agli ulteriori “errores” denunciati nelle rubriche dei mezzi in disamina.
27. In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente (il che non è nel caso di specie) di non dover osservare la regola contenuta nella norma ovvero ha giudicato (il che non è nel caso di specie) sulla base di prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. sez. lav. (ord.) 27.12.2016, n. 27000; Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1229; Cass. sez. un. 20.9.2020, n. 20867 (Rv. 659037-01)).
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia (il che non è nel caso di specie) attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (cfr. Cass. 29.5.2018, n. 13395; Cass. (ord.) 23.10.2018, n. 26769; Cass. sez. lav. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 5.9.2006, n. 19064).
28. Il sesto motivo del ricorso principale parimenti è da rigettare.
29. In fondo, con il sesto mezzo di impugnazione la principale ricorrente si duole per il mancato accoglimento dell’istanza di esibizione, per la mancata ammissione “delle prove per interpello e per testi e della consulenza tecnica” (così ricorso principale, pag. 13).
30. Ebbene, al riguardo, e pur a prescindere dai rilievi della Corte etnea – secondo cui F.A. si era limitata, nell’atto di appello, a domandare l’ammissione delle prove oggetto in prime cure dell’istanza in data 25.7.2005 e secondo cui siffatta istanza non era stata riproposta alle udienze di precisazione delle conclusioni in seconde cure, sicché doveva reputarsi rinunziata – non può che rimarcarsi quanto segue.
31. Da un canto, il motivo difetta di specificità e di “autosufficienza”, siccome per nulla sono enunciati gli “articoli” della prova per testimoni e dell’interrogatorio formale (cfr. Cass. (ord.) 30.7.2010, n. 17915; Cass. (ord.) 3.1.2014, n. 48; Cass. 19.3.2007, n. 6440).
In pari tempo, è difficile supporre che gli esiti della prova per testimoni ovvero dell’interrogatorio formale avrebbero potuto – in luogo dei bilanci depositati – fornir puntuale riscontro della situazione patrimoniale ed economica della “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l. a decorrere dall’esercizio 1999 (il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento: cfr. Cass. (ord.) 17.6.2019, n. 16214; Cass. (ord.) 7.3.2017, n. 5654).
32. D’altro canto – ed a prescindere dal rilievo per cui la consulenza tecnica d’ufficio è stata disposta – questa Corte spiega che l’esibizione è uno strumento istruttorio residuale, sicché l’istanza di esibizione non può ricevere alcun seguito, allorquando la prova dei fatti possa essere acquisita con altri mezzi (cfr. Cass. sez. lav. 25.10.2013, n. 24188; Cass. sez. lav. 24.3.2004, n. 5908).
Ed, innegabilmente, merce’ l’istanza di esibizione l’originaria attrice ambiva ad esser sollevata dall’onere, su di ella gravante, di acquisizione della documentazione contabile, documentazione che, si è detto, agevolmente avrebbe potuto ottenere presso il competente ufficio del registro delle imprese.
Tanto, ovviamente, al di là dell’insegnamento di questa Corte a tenor del quale il provvedimento di cui all’art. 210 c.p.c., è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (cfr. Cass. 29.10.2010, n. 22196; Cass. sez. lav. 25.10.2013, n. 24188).
33. Il rigetto del ricorso principale assorbe e rende vana la disamina del ricorso incidentale.
34. F.C. ha, indubitabilmente, esperito in forma condizionata il ricorso incidentale, subordinatamente all’accoglimento dell’avverso ricorso.
Lo si desume sia dall’intestazione dell’atto difensivo del controricorrente, ove, a pagina 1, si legge tout court “controricorso e ricorso incidentale condizionato”, sia dall’intitolazione che vi figura, a pagina 20, ove analogamente sì legge “ricorso incidentale condizionato”.
Deve, perciò, reputarsi condizionato – recte, subordinato all’eventuale accoglimento del ricorso principale – non solo il primo motivo del ricorso incidentale, con cui F.C. ha censurato la sentenza non definitiva, nella parte in cui la Corte di Catania ha reputato ammissibile la domanda risarcitoria ex adverso esperita con la memoria di replica del 25.7.2005 (cfr. controricorso, segnatamente, pag. 20), ma pur il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui F.C. ha censurato la sentenza definitiva, nella parte in cui la Corte di Catania ha disposto la compensazione nella misura della metà delle spese del grado d’appello.
35. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente principale va condannata a rimborsare al difensore del controricorrente, avvocato Giuseppe Augello, il quale ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari, le spese, liquidate come da dispositivo, del presente giudizio.
La “Servizio Italia” s.p.a., la “Lanificio di Ragusa Coniugi F.” s.r.l., la “Lanificio di Ragusa” s.r.l. e L.M. non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto nei loro confronti assunta.
36. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale, F.A., a rimborsare all’avvocato Giuseppe Augello, difensore anticipatario del controricorrente, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, F.A., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022
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