LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
Dott. FEDELE Ileana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31614-2020 proposto da:
M.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati LEOPOLDO SPEDALIERE, ERMANNO SPEDALIERE, LUCIANO SPEDALIERE;
– ricorrente –
contro
TRENITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. JENNER, 49, presso lo studio dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4854/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’1 1/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Napoli, in accoglimento del ricorso proposto da Trenitalia s.p.a., ha riformato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed ha rigettato le domande proposte da M.G. con il ricorso introduttivo del giudizio.
2. La Corte territoriale ha infatti ritenuto che dall’istruttoria svolta non fossero emersi elementi di prova a sostegno dell’esistenza di una interposizione fittizia di manodopera del lavoratore che, dipendente della società Sogaf s.r.l., era addetto ai servizi di pulizia di stazioni e scali ferroviari. La Corte di merito ha accertato che alla Sogaf erano state affidate anche le prestazioni propedeutiche e complementari alle attività di manutenzione ciclica dei carri ferroviari presso l’officina meccanica di Marcianise e la movimentazione dei carri sui binari interni all’officina e che i tecnici di Trenitalia individuavano gli interventi necessari mentre il personale Sogaf stabiliva i compiti impartendo specifiche disposizioni. Ha accertato che il potere disciplinare era esercitato dalla Sogaf ed ha osservato che la circostanza che l’attività si svolgesse nei capannoni di Trenitalia non era decisiva nel senso dell’esistenza di una interposizione. In definitiva la Corte di merito ha ritenuto che nel caso specifico non erano emersi elementi rassicuranti nel senso dell’esistenza di uno sdoppiamento delle funzioni datoriali (gestione amministrativa alla Sogaf e direzione tecnica a Trenitalia) ed in applicazione dell’art. 2697 c.c., ha escluso che il lavoratore avesse fornito la prova della interposizione denunciata ed ha rigettato le sue domande.
3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso M.G. affidato a un motivo. Resiste con controricorso Trenitalia s.p.a..
4. Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo di ricorso si deduce, “ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., in relazione agli artt. 112,115 e 116 c.p.c., e agli artt. 2697 e 2729 c.c.”, omessa decisione della Corte di appello sulla censura, sollevata ritualmente in appello, dell’ammissione, da parte della società nella memoria difensiva depositata in primo grado, dello sdoppiamento delle normali prerogative del datore di lavoro in capo a due soggetti, l’impresa appaltatrice che esercita interamente ed esclusivamente la gestione amministrativa (Sogaf) e la società appaltante (Trenitalia) che esercita ancora interamente ed in maniera assoluta la direzione tecnica ed il relativo controllo;
2. il ricorso presenta plurimi motivi di inammissibilità;
3. il ricorso è inammissibile perché il ricorrente richiama formalmente e promiscuamente le censure contenute nell’art. 360 c.p.c., comma 1, sia nel n. 3) che nel n. 5), ma, secondo questa Corte, tale modalità di formulazione risulta non rispettosa del canone della specificità del motivo allorquando – come nella specie – nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, Cass. n. 7394 del 2010, Cass. n. 20355 del 2008, Cass. n. 9470 del 2008; v. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013);
4. è inammissibile altresì il ricorso ove si denuncia la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.: correttamente la Corte di merito, davanti alla quale era stata censurata la sentenza di primo grado per avere erroneamente valutato il materiale probatorio acquisito, ha proceduto all’esame delle emergenze istruttorie ricostruendole secondo il suo prudente apprezzamento nel contesto delle allegazioni e contestazioni delle parti; così facendo non è incorsa in alcuna delle violazioni denunciate atteso che, da un canto la censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016 e recentemente Cass. n. 1229 del 2019);
5. inoltre, come più volte precisato da questa Corte (Cass. n. 22799 del 2017; Cass. n. 7653 del 2012), il vizio di omessa pronuncia che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto, oppure su uno specifico motivo di appello (cfr. Cass. n. 11844 del 2006; Cass. n. 27387 del 2005; Cass. n. 1170 del 2004); non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c., ove si assuma che il giudice di merito non abbia considerato alcuni documenti o argomentazioni oppure fatti secondari dedotti dalla parte, potendosi in tal caso ritenere integrato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ne ricorrano i presupposti;
6. la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) rende denunciabile per cassazione solo il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, censura che non è prospettata dal ricorrente;
7. questa Corte ha già affermato che l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e ne circoscrive la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione e quelli per i quali sussiste una “relevatio” dell’avversario dall’onere probatorio (v. Cass. n. 21075 del 2016 e Cass. n. 16970 del 2018); l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi (cfr. Cass. n. 22055 del 2017), e nel caso di specie il ricorrente, in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, non ha trascritto il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio;
8. invero, la Corte di merito ha correttamente dato atto che l’onere di provare la subordinazione gravava sul lavoratore ricorrente e che il mancato raggiungimento di una prova rassicurante si rivoltava in suo danno senza perciò che si determinasse una violazione delle regole in tema di ripartizione degli oneri probatori.
9. la Corte di merito si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato come in tema di intermediazione di manodopera, al fine di ritenere operante la presunzione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, occorre verificare che l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di mezzi dell’appaltante sia significativa e non marginale, e dunque non occasionale, né temporanea, né legata all’oggetto dell’appalto (cfr. Cass. n. 4181 del 2006, Cass. n. 15292 del 2018; con riguardo alla stessa società appaltatrice Sogaf s.r.l., cfr. Cass. n. 10534 del 2020); la valutazione di questi aspetti rientra nei compiti del giudice del merito ed, pertanto, ove come nel caso in esame se ne sia dato adeguatamente conto non è censurabile davanti al giudice di legittimità;
10. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
11. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15 % e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022