LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26672/2015 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nomentana n. 293, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente –
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3806/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/07/2021 dal Cons. Dott. MELONI MARINA;
lette le conclusioni scritte, del D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23 comma 8 bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, che si riporta alle conclusioni del 3.12.2020 del Dott. GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA che chiede il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di Pace di Roma C.A. propose ricorso per decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento di Euro 4.028,19 a titolo di indennità mensile fissa di servizio dovuta ai sensi del D.L. n. 341 del 2000, art. 24 bis, nella sua qualità di Giudice di Pace per rimborso spese di formazione, aggiornamento e servizi generali nel periodo dal 27/2/2002 e 30/11/2007.
Il Tribunale accolse il ricorso ed emise il decreto ingiuntivo di pagamento di Euro 4.028,19 oltre interessi e spese avverso il quale propose opposizione il Ministero della Giustizia.
All’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il Tribunale di Roma revocò il decreto ingiuntivo opposto compensando le spese di giudizio.
La Corte di Appello di Roma con sentenza 3806/2015 in data 19/6/2015, pronunciando in grado di appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma sulla domanda di pagamento avanzata nei confronti del Ministero della Giustizia da C.A., confermò la sentenza di primo grado e respinse la domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 4.028,19 avanzata a titolo di indennità fissa per prestazioni di giudice di pace.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione C.A. affidato a tre motivi e memoria. Il Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso.
Il P.G. presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta. Il ricorso proviene dall’udienza del 18/12/2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre precisare che la notifica ad un indirizzo sbagliato è sanata dal controricorso proposto dall’Avvocatura. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 374 del 1991, art. 11, comma 3, sostituito dal D.L. 20 novembre 2000, n. 341, art. 24 bis, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale di Roma ha escluso il diritto al pagamento di Euro 258,00 al mese a titolo di indennità fissa per prestazioni di giudice di pace in servizio perché relativi al periodo di ferie in cui non teneva udienze.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.artt. 112,115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., perché la C.A. di Roma ha escluso il diritto al pagamento di Euro 258,00 a titolo di indennità per prestazioni di giudice di pace sul presupposto che tale somma era dovuta solo in caso di effettivo servizio.
Occorre premettere che Sez. L -, Ordinanza n. 10774 del 05/06/2020: “E manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che disciplinano la posizione del giudice di pace, in relazione agli artt. 3,36 e 97 Cost., non essendo quest’ultimo equiparabile ad un pubblico dipendente, né ad un lavoratore parasubordinato, in quanto la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte, presuppone un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi caratterizzanti l’impiego pubblico, come l’accesso alla carica mediante concorso, l’inserimento nell’apparato amministrativo della P.A., lo svolgimento del rapporto secondo lo statuto apposito per tale impiego, il carattere retributivo del compenso e la durata potenzialmente indeterminata del rapporto. Ne consegue l’impossibilità di parificare le indennità percepite dai giudici onorari (nella specie, per reggenza su due sedi), alla retribuzione e la legittimità della fissazione di un limite massimo annuo all’emolumento, di misura tale da non potersi considerare inadeguato o irrisorio, ai sensi della L. n. 374 del 1991, art. 11, comma 4 ter.
Ciò posto il ricorso è infondato e deve essere respinto in ordine ad entrambi i motivi.
Infatti il D.L. 20 novembre 2000, n. 341, art. 24 bis, limita la corresponsione delle indennità fissa spettante ai sensi del D.L. n. 341 del 2000, art. 24 bis, nella sua qualità di Giudice di Pace per rimborso spese di formazione, aggiornamento e servizi generali a ciascun mese di effettivo servizio.
L’erogazione dell’indennità di cui all’oggetto è quindi riconosciuta solo quando il magistrato onorario è in servizio effettivo il che deve essere inteso che risulta compreso il periodo feriale solo se tiene udienza.
Le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione non consente di interpretare estensivamente la norma e pertanto, nello stabilire l’indennità secondo determinate modalità, implicitamente esclude che possa essere legittimamente erogato un compenso per attività non autorizzate dalla legge.
Pacifico deve infatti ritenersi che la determinazione del compenso ai magistrati onorari possa disporsi solo con legge.
La sentenza impugnata non può che essere confermata nel suo dispositivo con rigetto del ricorso mentre le spese del giudizio di legittimità meritano di essere compensate stante la peculiarità della lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 1.400,00 oltre spese prenotate a debito a favore del Ministero controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022
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