Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.4788 del 14/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5294-2020 proposto da:

K.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4001/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 01/10/2019 R.G.N. 2909/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 22/12/2021 dal Consigliere Dott. PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da K.A., cittadino della Guinea, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese nel 2014 a seguito di problemi di natura familiare; in particolare, unico figlio del secondo matrimonio del padre, alla morte di costui era entrato in conflitto con i dieci fratelli nati dal primo matrimonio, che non avevano inteso riconoscergli nulla a titolo successorio; impaurito soprattutto dalla condotta del fratellastro maggiore, che l’aveva minacciato ove non avesse rinunciato all’eredità (costui era influente, aveva contatti sia con la polizia – che poteva corrompere – sia con gli stregoni che potevano fare dei malefici), aveva deciso di fuggire.

3. La Corte d’appello ha negato la protezione sussidiaria rilevando che le minacce subite dal richiedente traevano origine da un conflitto familiare per motivi successori; che nella stessa ricostruzione dell’appellante il rischio era legato alla pretesa ereditaria a cui di fatto il predetto aveva già rinunciato, allontanandosi dal proprio paese; che le minacce dal medesimo riferite attenevano a malefici da parte di stregoni ed erano quindi prive di concretezza e che anche il riferimento alla corruttibilità della polizia era del tutto generico, poiché l’appellante non aveva avuto alcun contatto con le forze dell’ordine a cui non aveva chiesto protezione. Sulla situazione geopolitica della Guinea, la Corte di merito ha ritenuto che le fonti specificamente indicate documentassero un consolidamento dello Stato di diritto negli ultimi anni e che quindi non vi fosse una situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini della pro. Ha infine negato la protezione umanitaria per mancanza di prova di una condizione di effettiva vulnerabilità.

4. Avverso la sentenza il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

6. Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, dei principi generali in tema di onere della prova e dell’obbligo di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis.

7. Col secondo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari; violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento al medesimo D.Lgs., art. 32; violazione dell’art. 8 della Cedu in tema di tutela della vita privata e familiare del cittadino straniero in territorio UE.

8. I motivi di ricorso si rivelano inammissibili, in quanto formulati con assoluta genericità, senza i necessari riferimenti alla fattispecie concreta che dovrebbe essere disciplinata dalle disposizioni di cui si assume la errata interpretazione ed applicazione.

9. Col primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria senza che vi sia in atti la minima dimostrazione dell’adempimento del proprio onere di allegazione, risolvendosi l’enunciazione del motivo in una serie di affermazioni astratte e di riferimenti a massime giurisprudenziali.

10. E’ costante l’affermazione di questa Corte secondo cui, in tema di protezione internazionale, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova. Ne consegue che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere-dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (v. Cass. n. 17185 del 2020; n. 17069 del 2018).

11. Col secondo motivo si critica il rigetto della domanda di protezione umanitaria, in assenza di allegazioni specifiche e individualizzanti sulla condizione di vulnerabilità a cui il richiedente si troverebbe esposto nel paese di provenienza e sull’esistenza di significativi e concreti elementi di integrazione socio economica in Italia.

12. Questa Corte ha affermato che la situazione di vulnerabilità atta a fondare il diritto alla protezione umanitaria deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, quanto piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (v. Cass. Sez. U. n. 29459 del 2019; n. 9304 del 2019; n. 4455 del 2018; one; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304).

13. Neppure è configurabile il vizio di omesso di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio legato al transito e alla permanenza del ricorrente in Libia.

14. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5287 del 2021; n. 31676 del 2018; n. 29875 del 2018), nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese. Parimenti irrilevante è il riferimento al transito in Libia, se – come accade nella specie – viene configurato quale condizione di vulnerabilità ai fini della domanda di protezione umanitaria senza che risulti che il ricorrente nel giudizio di merito abbia specificamente dedotto violenze subite in Libia ed abbia o meno evidenziato una connessione tra il trattamento avuto in Libia e il contenuto della domanda di protezione oppure abbia evidenziato che il suddetto trattamento sia stato potenzialmente idoneo, quale evento in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, come tale accertabile dal giudice anche attraverso l’esercizio dei propri poteri officiosi, ricorrendone i presupposti (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2558).

15. I rilievi svolti conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

16. Nulla va disposto sulle spese atteso che il Ministero non ha svolto attività difensiva.

17. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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