LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9503-2016 proposto da:
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– ricorrente –
contro
G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato DANIELA JOUVENAL, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO DRAGONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 714/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/02/2016 R.G.N. 373/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2021 dal Consigliere Dott.ssa CALAFIORE DANIELA.
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA’ visto il D.L. n. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTO DI CAUSA Con ricorso depositato in data 14.3.2011. G.E. adì il Tribunale del lavoro di Venezia per ottenere la condanna del Ministero della Salute e della Regione Veneto alla erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, a seguito di contagio da epatite cronica HCV correiata di origine trastusionaie, con menomazioni ascrivibili alla VIII categoria della l abelia A D.P.R. n. 834 del 1981, riportata a causa di trasfusione ematica subita durante un ricovero ospedaliero presso l’Ospedale civile di Catania nel periodo compreso tra il 21 ottobre 2006 ed il 14 dicembre 2007.
Il Ministero e la Regione si costituivano contestando ciascuno la propria legittimazione passiva ed il Ministero deduceva l’infondatezza della domanda attrice. Il Tribunale, ritenuto legittimato il solo Ministero ed istruita la causa mediante acquisizione di documenti e consulenza tecnica di ufficio, rigettava la domanda attrice rilevando l’inesistenza del nesso causale tra patologia e trasfusioni, posto che il c.t.u. aveva accertato che il contagio era derivato dal trattamento emodialitico intenso subito dalla parte a suo tempo a causa dell’insufficienza renale patita, non equiparabile alla trasfusione.
La Corte di Appello, su impugnazione della G., considerati gli apporti alla disciplina derivanti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 2009 e dalla sentenza n. 9148 del 2013 della Corte di cassazione, ha riformato la sentenza di primo grado riconoscendo il diritto dell’appellante a percepire l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 per infermità ascrivibile alla ottava categoria di cui alla tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981 ed ha condannato il Ministero a corrispondere l’indennizzo dalla data di presentazione della domanda amministrativa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della salute deducendo un motivo, illustrato da successiva memoria.
Resiste con controricorso e successiva memoria G.E..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo del ricorso, il Ministero ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 210 del 1992, art. 1.
In particolare, il ricorrente osserva che la fattispecie concreta si caratterizza in modo incontestato per la circostanza che il contagio non fu cagionato da trattamento trasfusionale ma, presumibilmente, dalla insufficiente pulizia degli strumenti utilizzati per effettuare il trattamento emodialitico. A fronte di tale peculiarità, il Ministero della Salute critica l’approccio interpretativo sposato dalla Corte territoriale, fondato sulla interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 210 del 1992 che ha indotto la sentenza impugnata ad equiparare alla trasfusione il trattamento emodialitico subito dalla G. (autotrasfusione). A diversa conclusione, rispetto al precedente della Terza Sezione di questa Corte di cassazione, Cass. n. 9148 del 2013, citato dalla sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, deve invece giungersi in conformità con la sentenza di questa Sezione Lavoro, n. 17975 del 01/07/2008. Secondo tale pronuncia, infatti, la L. n. 210 del 1992, art. 1, che prevede l’erogazione di un indennizzo da parte dello Stato a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue, mira a tutelare il rischio che il donatore sia affetto da una infezione che venga trasmessa al donatario attraverso una trasfusione, nozione che, pertanto, non ricomprende la cosiddetta autotrasfusione ovvero la circolazione extracorporea del sangue, dovendosi escludere che il soggetto a cui venga iniettato il proprio sangue rischi di contrarre infezioni nuove rispetto a quelle di cui è portatore.
Allo stesso modo, il ricorrente contesta che l’interpretazione seguita dalla sentenza impugnata possa trovare sostegno nella sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 2009, che ha esteso ai soggetti contagiati da epatite, indicati nella L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, la medesima previsione del comma 2 riguardante i soggetti contagiati da HIV in ragione della irragionevole disparità di trattamento tra le due categorie in presenza della identica ratio di tutela dei soggetti danneggiati dalla insufficienza degli strumenti tecnici di prevenzione del rischio sanitario. Nel caso dell’autotrasfusione, infatti, il contagio deriverebbe esclusivamente dal fatto colposo della struttura sanitaria che è differente dall’ipotesi su cui si fonda la previsione dell’indennizzo.
Il motivo è infondato.
Va infatti data continuità al precedente più recente, costituito da Cass. n. 9148 del 16/04/2013, indicato dalla Corte territoriale.
Tale precedente, in relazione alla questione dedotta in causa relativa all’estensione della tutela indennitaria prevista dalla L. n. 210 del 1992 anche alle patologie contratte in dipendenza causale da autotrasfusione, ha svolto un percorso argomentativo che ha sintetizzato nel principio di diritto pienamente condiviso secondo il quale: “La L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 28 del 2009, dev’essere interpretato, alla luce del complessivo significato che la norma ha assunto, anche per effetto della combinazione della nuova additiva con la precedente di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, ed alla stregua del criterio di esegesi che impone di intendere le norme in modo conforme a Costituzione, nel senso che il rischio per cui prevede l’indennizzo comprende anche l’ipotesi in cui il contagio sia derivato dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante un’operazione di emodialisi, a causa di una insufficiente pulizia della macchina per emodialisi dalle sostanze ematiche lasciate da altro paziente, con la conseguenza che al contagiato compete l’indennizzo di cui alla norma”.
Si è pure aggiunto che induce allo stessa conclusione l’ulteriore intervento, sull’art. 1, comma 1, di Corte costituzionale n. 107 del 2012, che nel dichiarare “l’illegittimità costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subito le conseguenze previste dallo stesso art. 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia”, ha ulteriormente evidenziato che l’impianto generale della L. n. 210 del 1992, dev’essere letto alla luce dei principi costituzionali e, dunque, in modo da assegnare alle fattispecie astratte il massimo significato possibile.
Tali argomentazioni vanno arricchite con l’ulteriore considerazione che sulla materia degli obblighi di stretta sorveglianza dello Stato, derivanti dall’esercizio dell’attività di trasfusione e somministrazione di emoderivati, incide anche il diritto sovranazionale ed in particolare la direttiva 2002/98 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE (GU 2003, L 33, pag. 30 e rettifica, GU 2004, L 371, p. 52), il cui allegato IV, dal titolo “Requisiti fondamentali relativi ai test praticati sulle donazioni di sangue intero e di plasma”, prevede: “I seguenti test devono essere effettuati per le donazioni di sangue intero e d’aferesi, comprese le unità di predeposito per autotrasfusione: (…) – Test per determinare le seguenti infezioni nel donatore: – Epatite B (HBs-Ag), Epatite C (Anti-l-ICV), – HIV 1/2 (Ant–HIV 1/2). Possono essere richiesti test supplementari per componenti o donatori specifici o per situazioni epidemiologiche specifiche”.
Se è vero che relativamente all’ambito della qualità e della sicurezza del sangue e degli emoderivati l’Unione Europea esercita una competenza idonea, in via generale, ad una mera armonizzazione delle leggi nazionali che regolano il settore, va tuttavia segnalato che in quanto richiamato dall’art. 4 TFUE, comma 2, lett. k), l’art. 168, paragrafo 4, del TFUE (nella versione in vigore dal 1 dicembre 2009) affida all’Unione una competenza concorrente nel “settore” dei “problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato”.
La direttiva 2002/98 è stata recepita nell’ordinamento italiano per effetto del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 191, revisionato dal D.Lgs. 20 dicembre 2007, n. 261.
Anche in virtù di tale esplicita previsione, dunque, la fattispecie in esame non può che ritenersi compresa nell’ambito di protezione tracciato dalla L. n. 210 del 1992.
Si tratta di un testo normativo che si caratterizza indubbiamente per il suo fondamento costituzionale. Tale fondamento, secondo certa dottrina, non discenderebbe dalla natura assistenziale (ai sensi dell’art. 38 Cost.) posto che, ricorrendone i presupposti, all’indennizzo si può accedere indipendentemente dalle condizioni economiche ed è ammesso il cumulo di esso con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito. Piuttosto il fondamento costituzionale dell’istituto andrebbe ravvisato negli artt. 2 e 32 Cost. e ciò, in sostanza, ha affermato anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 27 del 26 febbraio 1998, chiarendo che l’indennizzo “assume il significato di misura di solidarietà sociale fondata negli artt. 2 e 32 Cost., cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell’art. 38 Cost., comma 1, essendo esso dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell’avente diritto e non mirando di per sé agli scopi per i quali l’art. 38 stesso è stato dettato…”.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 342 del 2006 ha però successivamente precisato che ” (…) La menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari può determinare, oltre al risarcimento del danno secondo la previsione dell’art. 2043 c.c., il diritto ad un equo indennizzo, in forza dell’art. 32 in collegamento con l’art. 2 Cost., ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale; nonché il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 38 e 2 Cost., a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996).
La situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione, siano affetti da epatite è riconducibile, come quella dei soggetti contagiati da HIV, all’ultima delle ipotesi appena enunciate: l’indennizzo consiste in una misura di sostegno economico fondata, non già (…) sul dovere dello Stato di evitare gli effetti teratogeni degli interventi terapeutici, ma sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno”.
L’intento della L. n. 210 del 1992 è quello di apprestare tutela indennitaria, a prescindere dall’accertamento della colpa, per i danni alla salute insorti a seguito di trattamenti di vaccinazione obbligatoria o di trasfusioni, e corrisponde all’invito formulato al legislatore dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 307/1990.
Tale funzione centrale nel sistema della protezione sociale, conseguente ad attività pubblica di tipo sanitario, giustifica l’ampliamento delle categorie di soggetti protetti, fin dall’inizio molteplici ed integrate da ripetuti interventi della Corte costituzionale determinati dall’esigenza di supplire ad una tecnica legislativa lacunosa, che escludeva numerose categorie di soggetti in situazioni fortemente accostabili a quelle che fruivano dell’indennizzo, tanto da rendere ingiustificata la disparità di trattamento (Corte Cost. n. 118 del 1996; Corte Cost. n. 423 del 16 ottobre 2000; Corte Cost. n. 476 del 26 novembre 2002).
La fattispecie oggetto della presente controversia, caratterizzata dal fatto che l’attività sanitaria di trasfusione sanguigna è autologa e non eterologa, non è esclusa dalla lettera della legge ma solo da una interpretazione restrittiva del testo che, seppure possibile, non può essere seguita in quanto vistosamente non conforme al fondamento costituzionale della L. n. 210 del 1992, che appresta la risposta della Carta costituzionale alla lesione del diritto alla salute subita dai soggetti affidati comunque al servizio sanitario preposto al trattamento del sangue, in adempimento degli obblighi di solidarietà sociale; inoltre, l’interpretazione restrittiva risulta contraddetta dalle ulteriori fonti Euro unitarie sopra ricordate che concorrono a costruire il quadro normativo di riferimento.
Va, infine, ricordato che, come precisato da Corte Costituzionale n. 118 del 2020, ” l’univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (così, in particolare, sentenza n. 232 del 2013 e, più di recente, sentenze n. 221 del 2019, n. 83 e n. 82 del 2017)”.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Stante la non debenza da parte delle amministrazioni pubbliche, come la parte ricorrente, del versamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 201, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (v., ex multis, Cass., SU, 9938/2014; Cass. nn. 5955 e 23514 del 2014).
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 1 5 % ed accessori di legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022