Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5035 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29150/2015 r.g. proposto da:

HIPHAR LTD, società di diritto inglese con sede legale in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, S.F., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Francesco Pappalardo, presso il cui studio è

elettivamente domiciliata in Roma, Via Eleonora Duse n. 35.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** s.r.l., in persona del curatore fallimentare Dott. Z.B., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati Stefano Demuro, e Giorgio Altieri, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via Principessa Clodilde n. 7, presso lo studio dell’Avvocato Altieri.

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Cagliari, depositato in data 11.11.2015n N. Cron. 14647/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/1/2022 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Cagliari – decidendo sulla domanda di opposizione allo stato passivo presentata ex art. 98 L. Fall. da HIPHAR LTD nei confronti del FALLIMENTO ***** s.r.l., avverso il provvedimento del 24.11.2014, con il quale il g.d. aveva rigettato la domanda di restituzione e rivendica di beni mobili – ha confermato il provvedimento reiettivo, rigettando pertanto l’impugnazione così proposta.

Il Tribunale ha, in primo luogo, ricordato che: i) la società oggi ricorrente aveva presentato domanda di rivendica delle opere d’arte di D.C. e di alcuni mobili di antiquariato, dei quali aveva dichiarato la sua proprietà sulla base dei relativi contratti di acquisto, e,con particolare riferimento alle opere d’arte, sulla base della scrittura privata del 19.10.2006 con la quale aveva commissionato a M.C. la realizzazione della *****; ii) la società ricorrente aveva altresì esibito una successiva scrittura privata del 9.1.2009 con la quale avrebbe voluto dimostrare il comodato d’uso concesso alla società poi fallita delle predette opere d’arte; iii) il giudice delegato, accogliendo le eccezioni di mancanza di data certa delle scritture private allegate, aveva respinto la domanda di rivendicazione L. Fall., ex art. 103. Il Tribunale ha dunque osservato che: a) la prova testimoniale e l’ordine di esibizione formulate dall’opponente non erano ammissibili perché la prova testimoniale verteva direttamente sulla dimostrazione della data delle scritture e perché l’ordine di esibizione attingeva documenti irrilevanti ai fini della decisione, essendo gli stessi superati dalle prove documentali già acquisite e in quanto la documentazione ulteriore di cui si richiedeva l’acquisizione in giudizio ex art. 210 c.p.c., non sarebbe stata comunque idonea a fornire la prova del cd. affidamento; b) il soggetto che propone infatti domanda di rivendicazione e di restituzione di beni mobili L. Fall., ex art. 103, analogamente al terzo opponente ex art. 619 c.p.c., deve fornire la c.d. doppia prova, e cioè, oltre alla dimostrazione del suo diritto di proprietà sui beni rivendicati, anche la prova del cd. affidamento, ovverosia che il bene rivendicato non sia di proprietà del fallito per essere lo stesso stato a lui affidato per un titolo diverso dalla proprietà ovvero di altro diritto reale; c) tale duplice prova era mancante nel caso in esame, in quanto, per quanto concerneva le opere d’arte, non era stata fornita la prova neanche del diritto di proprietà della società rivendicante, non avendo quest’ultima prodotto documenti (scrittura privata del 19.10.2006; fatture; e altri documenti) aventi data certa anteriore al fallimento; d) l’eccezione della mancanza di data certa della predetta documentazione sollevata dalla curatela fallimentare non poteva ritenersi tardiva in quanto il giudizio di opposizione allo stato passivo è un giudizio aperto ai “nova” e non suscettibile di subire le preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c. e perché la stessa rappresenta un’eccezione in senso lato, rilevabile anche d’ufficio dal giudice; e) la data certa della predetta scrittura del 19.6.2006 non era evincibile neanche dall’altra documentazione allegata in quanto anch’essa mancante dello stesso requisito e l’anteriorità del contratto non era neanche dimostrabile tramite il bonifico bancario di Euro 90.000 perché bonifico eseguito ad oltre un anno di distanza rispetto alla data contenuta nella scrittura e nelle fatture e perché indicante un importo diverso rispetto all’importo complessivo desumibile dalle tre fatture (Euro 79.200), essendo, peraltro, rimasto del tutto indimostrato che la differenza degli importi fosse riconducibile al prezzo di trasporto delle opere d’arte; f) non assumeva rilievo probatorio neanche la diversa scrittura privata datata 31.12.2007, posto che in tale scrittura è indicato come comodante S.F. e non già la società Hiphar; g) anche per i mobili di arredo, le scritture private esibite dalla società rivendicante non avevano data certa anteriore al fallimento e le fatture di acquisto avevano contenuto generico, non assumendo neanche rilievo la circostanza che i beni rivendicati non fossero stati annotati nel registro dei beni ammortizzabili della società in bonis.

2. Il decreto, pubblicato l’11.11.2015, è stato impugnato da HIPHAR LTD con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui il FALLIMENTO ***** s.r.l. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4, vizio di omesso esame di fatto decisivo e nullità del decreto e del procedimento per omessa pronuncia. Si osserva che il tribunale avrebbe omesso di considerare e valutare i molteplici elementi probatori offerti in produzione documentale per dimostrare la fondatezza della domanda di rivendica, quali i contratti riguardanti l’incarico di realizzazione delle opere d’arte all’artista M.C., la certificazione di autenticità delle opere rilasciata dall’artista nel *****, la mancata iscrizione nei registri della società poi fallita della proprietà di tali beni, il contratto avente ad oggetto il comodato di mobili d’arredo, le fatture e i bonifici bancari, nonché la mancata contestazione delle predette circostanze da parte della curatela fallimentare.

1.2 Il motivo – per come articolato – è inammissibile.

Sul punto è necessario ricordare che,secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). E’ stato altresì precisato, sempre nel medesimo contesto decisorio, che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cfr. sempre Cass. ss.uu. n. 8053/2014; v. anche: Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017; Sez. 2 -, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).

1.3 Ciò posto e chiarito, risulta di esemplare evidenza come la società ricorrente non abbia enucleato un “fatto storico” allegato e discusso nel corso del giudizio di merito nella cui omessa valutazione sarebbe incorso il tribunale, pur nella decisività della questione prospettata ai fini del decidere, ma, al contrario, si è doluta del diverso apprezzamento degli elementi di prova dedotti in giudizio fornito dai giudici del merito rispetto a quello sperato da essa ricorrente per la dimostrazione del suo diritto di proprietà sui beni oggi controversi con il fallimento. Senza contare che – tramite l’allegato vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è neanche possibile lagnarsi, secondo quanto già sopra osservato, dell’omesso esame ed apprezzamento di tutti gli elementi istruttori dedotti in giudizio, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, rientrando la scelta degli elementi di prova apprezzabili per la decisione del merito della causa nella tipica discrezionalità di giudizio rimessa ai giudici del merito, come tale non sindacabile nel diverso giudizio di legittimità.

Ne’ è rintracciabile, nel provvedimento impugnato, un vizio di motivazione apprezzabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, posto che il tribunale ha spiegato diffusamente e con adeguate argomentazioni le ragioni poste a sostegno del diniego della richiesta di rivendicazione dei beni mobili sopra menzionati, evidenziando come la società ricorrente non avesse fornito la cd. doppia prova rilevante ai sensi della L. Fall., art. 103, per fondare legittimamente una richiesta di rivendica e restituzione, e ciò in ragione, da un lato, della mancanza di data certa delle scritture private esibite dalla rivendicante e, dall’altro, dall’inidoneità probatoria della restante documentazione (fatture e scritture attestanti la realizzazione delle opere d’arte).

Ne consegue l’inammissibilità della censura.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. Fall., art. 99 e dell’art. 115 c.p.c.. Si evidenzia da parte della ricorrente la violazione del regime delle preclusioni sancito dalla L. Fall., art. 99 e del principio di non contestazione.

2.1 Il motivo è – in parte – infondato e – per altra parte – inammissibile.

2.1.2 La prima doglianza è radicalmente infondata posto che – oltre alla evidente considerazione della possibilità per il curatore di dedurre nel giudizio oppositivo L. Fall., ex art. 98, nuove eccezioni, non proposte in precedenza (Cass. 8929/2012) – l’eccezione di mancanza di data certa è rilevabile d’ufficio.

Sul punto è stato infatti affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice (Sez. U., Sentenza n. 4213 del 20/02/2013; Sez. 5, Sentenza n. 3404 del 20/02/2015).

2.1.2 La seconda doglianza – relativa alla violazione del principio di non contestazione – è invece inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che la ricorrente non indica ove la controparte avrebbe acceduto alle sue tesi difensive, non contestando i fatti costitutivi del diritto di proprietà rivendicato L. Fall., ex art. 103 (Sez. 3, Sentenza n. 20637 del 13/10/2016; Cass. n. 15961/2007).

3. Con il terzo mezzo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c.. Si evidenzia l’erroneità della decisione impugnata laddove non avrebbe considerato come elemento indiziario rilevante ai fini della decisione la circostanza che, a differenza di altri beni indicati, la società fallita non aveva provveduto all’iscrizione nel libro cespiti dei beni rivendicati con la domanda L. Fall., ex art. 103.

3.1 Il motivo, per come articolato, è inammissibile.

Si tenta di sollecitare, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, un nuovo apprezzamento degli elementi di prova allegati, sindacato che invece è inibito al giudice di legittimità.

Sul punto non è inutile ricordare che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

Orbene, il tribunale ha evidenziato che la circostanza relativa alla mancata registrazione dei predetti beni nel libro beni ammortizzabili non era apprezzabile al fine di dimostrare la fondatezza della domanda di rivendicazione della società inglese per la semplice ragione che la stessa avrebbe potuto essere ricondotta ad una semplice scorretta tenuta della scritture contabili, involgendo tale scrutinio un apprezzamento in fatto, non censurabile come violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c..

4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Si duole la ricorrente della valutazione frazionata e non convergente dei molteplici riscontri probatori offerti per la dimostrazione della domanda di rivendicazione dei beni.

4.1 Il motivo è inammissibile in ragione della sua evidente genericità di formulazione e perché volto, al solito, a sollecitare questa Corte ad un nuovo apprezzamento diretto delle fonti di prova per accreditare un diverso scrutinio sulla ricorrenza dei fatti costitutivi della domanda di rivendicazione e restituzione, giudizio che sfugge invece al sindacato di legittimità (Cass. ssuu. n. 8053/2014, cit. supra).

Senza contare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr., Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).

5. Con il quinto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. Fall., artt. 95 e 99, in quanto sarebbero inammissibili le eccezioni sollevate per la prima volta dal curatore nel giudizio oppositivo L. Fall., ex art. 98, senza che le stesse siano state proposte nella fase di verifica dei crediti.

5.1 Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, c.p.c., perché la censura è sconfessata dalla costante giurisprudenza espressa da questa Corte nella materia qui in esame.

5.1 Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del “thema disputandum” e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 19003 del 31/07/2017; 6-1, Ordinanza n. 27902 del 04/12/2020).

6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702,2704,2711,2721 c.c. e degli artt. 115,116 e 210 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si evidenzia da parte della ricorrente che le prove testimoniali e l’ordine di esibizione della documentazione richiesta ex art. 210 c.p.c., se fossero state correttamente ammesse, sarebbero state idonee a dimostrare la fondatezza della domanda di rivendica proposta.

6.1 Il motivo di doglianza – per come articolato – è inammissibile in quanto propone censure generiche che neanche esprimono il grado di decisività della prova testimoniale di cui si era chiesta l’ammissione in giudizio, senza contare che, in relazione alla prova documentale, la ricorrente pretende, ancora una volta, una rivalutazione diretta del contenuto degli elementi probatori già correttamente scrutinati dai giudici del merito con motivazione che – per quanto già sopra osservato – è scevra da criticità argomentative. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Da ultimo deve essere dichiarata inammissibile l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 373 c.p.c., comma 1, perché la stessa avrebbe dovuto essere indirizzata al giudice a quo.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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