Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.5158 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10486/2016 proposto da:

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, Ministero dell’Interno, Prefettura di Caserta, Prefettura di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

V.S., V.A., V.F. e V.V., in proprio e quali eredi di B.P.; V.G. e B.M., tutti in proprio e quali soci della cessata società Hotel Ristorante Nuova Vittoria di S. e G.V. s.a.s., elettivamente domiciliati in Roma, Via G. Borsi n. 4, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Catini, rappresentati e difesi dall’avvocato Silvestro Mercone, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, Ministero dell’Interno, Prefettura di Caserta, Prefettura di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1473/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2022 dal Cons. Dott. Marco Marulli;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per il rigetto (v. conclusioni scritte);

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Generale dello Stato che ha chiesto l’accoglimento;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato Silvestro Mercone che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti e contrapposti ricorsi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione civile ed i suoi litisconsorti e i soci della cessata società Hotel Ristorante Nuova Vittoria s.a.s. ricorrono, rispettivamente in via principale ed in via incidentale, per la cassazione della sentenza 1473/2015 del 25.3.2015 con cui la Corte d’Appello di Napoli – adita da entrambe le odierne parti ricorrenti in veste rispettivamente di appellante principale e di appellante incidentale per la riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione civile a tenere indenne l’Hotel Ristorante Nuova Vittoria dai danni patiti in conseguenza della sua adibizione ad alloggio temporaneo per le famiglie sfollate a causa del bradisismo che aveva colpito l’area flegrea nel 1983 – accoglieva parzialmente l’appello principale e riduceva l’ammontare del danno liquidato in primo grado della voce corrispondente al mancato utile di impresa e rigettava invece integralmente l’appello incidentale.

Nel motivare le proprie determinazioni la Corte territoriale, quanto all’appello principale, rilevava previamente l’infondatezza del gravame in punto di prescrizione dell’azione risarcitoria e ne accoglieva invece le ragioni riguardo al ristoro in punto al mancato utile di impresa accordato dal primo giudice “senza però considerare che… il titolare dell’albergo… era remunerato per tutte le prestazioni di vitto ed alloggio rese agli sfollati”; quanto all’appello incidentale faceva proprie, nel pronunciarne il rigetto, le considerazioni del primo giudice secondo cui l’ammontare dei danni risarcibili era stato liquidato con una decurtazione del 30% sul rilievo che “nulla era stato possibile accertare sullo stato dei luoghi pregresso… avendo il CTU visionato i luoghi una volta interessati dalle opere di manutenzione straordinarie”, che “tali opere di manutenzione straodinaria… erano in ogni caso successive di circa 10 anni rispetto al rilascio dell’immobile da parte degli sfollati” e che, mentre alcuni interventi erano sicuramente riconducibili all’occupazione dell’immobile, altri non lo erano direttamente, “ritenendosi rilevante nel senso di ridurre la portata e l’incidenza del danno provocato l’ordinario utilizzo della struttura che comunque si sarebbe verificata secondo la sua naturale destinazione alberghiera”.

Il ricorso principale della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione civile, che resiste con controricorso al ricorso avversario, si vale di sei motivi di censura; il ricorso incidentale dei soci della cessata società Hotel Ristorante Nuova Vittoria s.a.s. si vale di tre motivi di censura.

Requisitorie del Procuratore Generale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia l’erroneità dell’impugnata sentenza nel capo in cui essa, rigettando l’eccezione di prescrizione della pretesa avversaria, ha ritenuto interruttivi della medesima le generiche richieste risarcitorie pervenute alla Prefettura di Caserta, malgrado scaturendo esse dalla convenzione a suo tempo stipulata con il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile fossero state perciò indirizzate ad un’amministrazione diversa da quella obbligata, l’argomento sviluppato a conforto di questo asserto secondo cui andrebbe considerata a questo fine l’unicità della personalità giuridica statuale rivelandosi invero inapplicabile alla specie ove la P.A. aveva agito iure privatorum ed in questa cornice aveva proceduto alla stipula della convenzione anzidetta.

2.2. Il motivo – alla cui cognizione non si oppone la pregiudiziale opposta dai controricorrenti non ravvisandosi alla luce degli argomenti che lo corroborano anche l’ulteriore condizione prescritta dall’art. 360-bis c.p.c., n. 1 – è tuttavia parimenti inammissibile per difetto di interesse dell’impugnante.

Poiché nella specie è indubbio, tanto che è lo stesso impugnante a farne il presupposto della propria tesi, che la convenzione sia stata stipulata dalla Prefettura di Caserta in nome e per conto del Ministero per il coordinamento della Protezione Civile e che le generiche richieste risarcitorie – di cui non è sindacata l’idoneità a fungere da atti interruttivi della prescrizione – siano state indirizzate appunto alla Prefettura di Caserta, trova qui applicazione il principio secondo cui nel caso di attività negoziale conclusa a mezzo di rappresentanti la prescrizione si considera interrotta anche se l’atto idoneo in tal senso sia indirizzato al rappresentante (Cass., Sez. II, 17/03/2015, n. 5208; Cass., Sez. III, 5/12/2011, n. 25984; Cass., Sez. III, 28/08/2003, n. 12617), onde gli atti a tal fine inoltrati alla Prefettura di Caserta, quale articolazione periferica, cui l’allora Ministero per il coordinamento della Protezione Civile aveva delegato la stipula delle convenzioni per fronteggiare l’emergenza abitativa derivante dal bradisismo, devono ritenersi idonei ad interrompere la prescrizione anche nei confronti dell’odierno ricorrente. E di conseguenza viene meno anche l’interesse processuale del ricorrente a dolersi del ragionamento sviluppato in questa direzione dal decidente, giacché quand’anche il convincimento a tal fine enunciato da quest’ultimo si rivelasse errato, nondimeno il concreto dipanarsi della vicenda svuota la tesi posto che la prescrizione sarebbe stata in ogni caso idoneamente interrotta.

3.1. Con il secondo ed il quarto motivo di ricorso principale si denuncia, deducendone la contrarietà agli artt. 1588 e 1223 c.c., ed insieme l’omesso esame di un fatto decisivo, l’erroneità dell’impugnata sentenza per aver ritenuto risarcibile, sia pure se in misura più contenuta di quella accordata dal primo giudice, il danno patito dall’istante in conseguenza degli eventi rapportati sul presupposto del mero fatto costituito dall’aver ravvisato nella specie la sussistenza di un rapporto di albergo tra le parti, quando, al contrario, la corretta applicazione delle disposizioni in tema di contratto di locazione e in tema di risarcimento del danno derivante da obbligazioni contrattuali avrebbe imposto di valutare l’esistenza di un preciso nesso di causalità tra la condotta ed il danno.

3.2. Entrambi i motivi – che si sottraggono ancora alla pregiudiziale opposta ex adverso poiché priva di conferenza – esaminabili congiuntamente, stante l’unitarietà della doglianza che vi è raccolta, si prestano ad un pregiudiziale rilievo di inammissibilità che ne preclude la chiesta disamina.

Vale in principio considerare che trattasi di questione nuova, non constando – ed in tal senso incorrendo la relativa prospettazione anche in un difetto di autosufficienza – che essa abbia formato oggetto di sindacato da parte del primo giudice e, vieppiù, che ne sia stata devoluta la cognizione al giudice d’appello avanti al quale – con il riflesso effetto che ogni altra questione deve ritenersi coperta da giudicato per omessa impugnazione ex art. 329 c.p.c. – le uniche doglianze rassegnate dall’appellante principale investivano, oltre al già visto nodo della prescrizione, le questioni afferenti alla qualificazione giuridica della fattispecie in giudizio e alla prova dei danni. Donde perciò la rilevata ragione di inammissibilità posto, come si è detto più volte, che poiché il giudizio cassazione ha ad oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass., Sez. I, 26/03/2012, n. 4787; Cass., Sez. III, 30/03/2000, n. 3881; Cass., Sez. III, 19/05/1999, n. 4852).

3.3. E poi appena il caso di rimarcare, come si è affermato con particolare riferimento all’illecito aquiliano, che l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso rappresenta un’indagine di fatto devoluta al giudice del merito (Cass., Sez. III, 23/07/2004, n. 13832; Cass., Sez. III, 16/05/2003, n. 7637; Cass., Sez. III, 12/06/2001, n. 7935), sindacabile per cassazione, nel solo caso in cui essa abbia, ben s’intende, costituito oggetto di contesa, nei limiti in cui è tuttora consentito il controllo di legittimità sulla motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1. Con il terzo motivo del ricorso principale si denuncia l’erroneità dell’impugnata sentenza per aver confermato l’obbligo risarcitorio, pur se in termini più contenuti, sancito in primo grado, quantunque fosse mancato qualsiasi accertamento in ordine allo stato preesistente dei luoghi e che le valutazioni operate dal CTU, addotte anche in sede di appello a base della liquidazione ivi operata, fossero state operate a distanza di circa venti anni dal rilascio dell’immobile e sulla scorta delle risultanze trasfuse in un pregresso accertamento peritale ad istanza di parte eseguito comunque a distanza di tempo dal rilascio.

4.2. Con il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale si denunciano nell’ordine la nullità ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ed il vizio di motivazione apparente che inficerebbero l’impugnata sentenza nella parte in cui, con motivazione del tutto carente, insufficiente ed illogica nonché manchevole della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la Corte d’Appello, accogliendo solo in parte l’appello, ha per il resto disatteso le doglianze articolate dall’impugnante in ordine al fatto che la liquidazione del danno fosse stata operata in primo grado ed avesse trovato conferma in appello, quantunque non fosse stato predisposto un verbale di consistenza dello stato dei luoghi né al momento dell’occupazione della struttura né al momento del suo rilascio.

4.3. I motivi si prestano ad un esame congiunto in quanto tutti salvo quanto si dirà più avanti riguardo al primo di essi – onde motivare l’uno il difetto di prova in ordine ai danni l’altro un esiziale vizio motivazionale, ruotano attorno al nodo costituito dal fatto che nella specie non si sarebbe proceduto alla redazione di un verbale di consistenza dello stato dei luoghi all’inizio dell’occupazione e al termine di essa.

Ora, riguardo alle censure declinate con il quinto ed il sesto motivo di ricorso, ricordato previamente che il vizio di omessa o apparente motivazione ricorre solo allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, la chiara enunciazione operata dalla sentenza in gravame, dell’avviso che il rilievo “e’ privo di pregio, perché non risulta previsto nelle citate convenzioni (né dalla legge) l’obbligo di redazione di un verbale di consistenza degli eventuali danni quale condizione del relativo risarcimento da parte dell’amministrazione al termine del rapporto con il privato”, rende del tutto perspicuo – e lo pone perciò al riparo da questo nucleo di censure – il ragionamento decisorio sviluppato dal giudice d’appello ovvero che non poteva essere disconosciuto il reclamato ristoro per il fatto che non fosse predisposto il verbale di consistenza dei luoghi non sussistendo alcun obbligo in proposito. Conclusione, questa, che appare giustificata anche laddove le perplessità degli impugnanti principali dovessero annidarsi nel divisare che l’affermazione operata dalla Corte d’Appello non terrebbe conto dell’allegazione afferente alla mancata predisposizione del verbale anche all’atto dell’occupazione della struttura, essendo evidente che l’affermazione si estende anche a questo atto dato che secondo l’id quod plerumque accidit l’un atto presuppone necessariamente l’altro, non essendo logico che, se non era prevista la redazione di un verbale al momento del rilascio, possa ritenersi prevista la redazione di un verbale al momento dell’occupazione.

E che non trova smentita neppure nel contrario assunto enunciato dal Procuratore Generale, secondo cui la liquidazione del danno sarebbe stata operata dal decidente immotivatamente. Va infatti osservato, da un lato, che la Corte d’Appello, reiterando il giudizio di primo grado, ha fatto a questo fine richiamo agli elementi emergenti dalle perizie versate in atti, di cui si può contestare l’attendibilità – peraltro enunciando un dubbio che non può trovare chiaramente alcun seguito in questa sede, poiché solo al giudice del merito compete valutare la concludenza delle risultanze istruttorie -, ma non certo l’idoneità a suffragare il processo decisionale sul punto; dall’altro, che solo forzando l’interpretazione del motivo, ovvero in spregio ad ogni regola di specificità che si impone riguardo ad esso, sarebbe possibile far dire al motivo più di quanto esso dichiaratamente non dica, la mancata redazione del verbale di consistenza non essendo invero all’evidenza determinante nel giudizio sul danno, quando questo possa argomentarsi in base ad altri elementi.

4.4. Questo svuota conseguentemente di ogni pregnanza anche le rimostranze che sempre con riferimento al medesimo tema i ricorrenti principali svolgono con il terzo motivo di ricorso che, limitandosi a reiterare l’argomento disatteso dalla Corte d’Appello con motivazione più che idonea a dare contezza delle ragioni del suo rigetto, risulta privo di specificità, astenendosi dallo svolgere qualsiasi accento critico in grado di scalfirne la fondatezza, sicché, a cagione di ciò, la doglianza, come è stato detto altrove, incarna propriamente un “non motivo” (Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22478).

4.5. Quanto alle residue doglianze che trovano corpo sempre nel terzo motivo di ricorso, anche riguardo ad esse non può che evidenziarsi il medesimo vulnus, dovendo invero rimarcarsi che già il giudice di prime cure prendendo atto delle circostanze denunciate – e segnatamente del fatto che la perizia dal medesimo commissionata si era svolta nel 2007, quando ormai erano passati quasi venti anni dal rilascio dell’immobile, e si era basata sui riscontri operati dal consulente di parte in occasione della ristrutturazione dei locali avvenuta nel 2001 – aveva non a caso ritenuto di operare una decurtazione rispetto al tantundem liquidato considerando, tra l’altro, che non era stato possibile accertare il pregresso stato dei luoghi, onde la circostanza oggetto di odierna denuncia non è stata affatto negletta dalla Corte d’Appello che, come detto, ha fatto proprie sul punto le considerazioni del primo decidente, va detto che né in appello, né per quanto occorrer possa in primo grado, la questione di che trattasi aveva formato oggetto di dibattito processuale, di modo che ne risulta la novità per egli effetti preclusivi di cui si è detto più sopra.

5. Venendo con ciò ai motivi del ricorso incidentale – giusta i quali si censura il ragionamento decisorio messo in campo dalla Corte d’Appello riguardo alla mancata liquidazione, nella determinazione del danno, dell’utile di impresa discendente dalla forzata inattività dell’esercizio alberghiero, essendo esso declinato in violazione dell’art. 1223 c.c., per non aver preso atto delle convergenti risultanze di prova in tal senso emerse nel corso del giudizio (primo motivo), a mezzo di una motivazione apparente, insufficiente e contraddittorio per non aver indicato le ragioni dei convincimenti così esternati (secondo motivo) e, da ultimo, per non avere esaminato il fatto decisivo risultante dalle tavole processuali (terzo motivo) – va detto che, una volta rammentato che la sentenza impugnata ha escluso la debenza di qualsiasi ristoro reclamato a tale titolo perché nelle more dell’attività sospesa era corrisposta la remunerazione convenzionalmente prevista per l’ospitalità degli sfollati, tutti i sopradetti motivi si espongono ad un comune rilievo di inammissibilità, insistendo essi su aspetti fattuali e su valutazione di merito sottese alla vicenda in esame che non possono intuitivamente costituire oggetto del sindacato qui richiesto.

6. Entrambi i ricorsi vanno dunque giudicati inammissibili.

7. La reciprocità della soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

8. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico dei soli ricorrenti incidentali, non operando l’obbligo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara entrambi ricorsi inammissibili e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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