LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34127-2019 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO D’ADAMO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA PUBBLICA DI SERVIZI ALLA PERSONA “MARCHESE FILIPPO DE PICCOLELLIS”, in persona del Commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN GOTTARDO 21, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CARINI, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE CASO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2224/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 05/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. L’Azienda pubblica di servizi alla persona “Marchese Filippo de Piccolellis” (d’ora in poi APS) convenne in giudizio R.A., con ricorso al Tribunale di Foggia, Sezione specializzata agraria, e – sulla premessa di aver stipulato un contratto agrario con R.P., R.N. e R.A. con inizio nell’annata agraria 1985-1986, per il quale aveva intimato una prima disdetta nel 1996 e una seconda nel 2009 – chiese che fosse ordinato ad R.A. il rilascio della parte di fondo da lui detenuta, pari a circa 16 ettari.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda, contestando la validità sia della prima che della seconda disdetta e proponendo domanda riconvenzionale per il riconoscimento del suo diritto alle migliorie apportate al fondo.
Il Tribunale rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale e compensò le spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dall’APS e in via incidentale dal R. e la Corte d’appello di Bari, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 5 novembre 2019, ha accolto l’appello principale, ha rigettato quello incidentale e, in riforma della decisione del Tribunale, ha dichiarato che il contratto concluso tra le parti il ***** era cessato già alla data del *****, contestualmente condannando il R. al rilascio del fondo al termine dell’annata agraria in corso ed al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che il contratto stipulato nel 1986 tra l’ASP e il defunto R.P. con i due figli R.N. e R.A. era un contratto unitario, sussistendo la comune gestione del rapporto e la indivisibilità delle obbligazioni. Pertanto, aveva errato il Tribunale nel ritenere non valida la disdetta intimata nel 1996 in quanto rivolta ad uno solo dei conduttori. Quella disdetta, al contrario, era valida, con la conseguenza che il contratto, stipulato fin dall’origine per la durata di dodici anni, era cessato già alla data del *****. Il successivo comportamento dell’APS, che aveva consentito di fatto ad R.A. di permanere nella detenzione del fondo, non poteva in alcun modo essere considerato indice di una diversa volontà del concedente frattanto determinatasi. La stessa APS, infatti, aveva intimato l’ulteriore disdetta nel 2009; nel 2015, poi, era stato concluso un atto ricognitivo dal quale risultava che il R. riconosceva la sua disponibilità di mero fatto sul fondo in oggetto. Per cui nessun elemento consentiva di affermare che la volontà di rientrare in possesso del fondo fosse venuta meno; tanto più che l’Ente concedente aveva stipulato nel 2010 un ulteriore contratto con il solo R.N..
Quanto all’appello incidentale del R., la Corte barese l’ha rigettato rilevando che l’indennizzo per i miglioramenti spetta all’affittuario a condizione che questi siano stati espressamente autorizzati dal concedente o richiesti dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura. Nel caso di specie mancavano sia l’una che l’altra e l’APS aveva anche contestato l’effettiva realizzazione di quelle migliorie.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari propone ricorso R.A. con atto affidato a due motivi.
Resiste l’Azienda pubblica di servizi alla persona “Marchese Filippo de Piccolellis” con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., in relazione al cit. cod., art. 132, n. 4), nonché violazione degli artt. 1597 e 2697 c.c., in relazione alla fissazione della data di scadenza del contratto e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Osserva il ricorrente che sarebbe errata la sentenza là dove ha ritenuto che il contratto fosse cessato già alla fine dell’anno 1997. La Corte di merito non avrebbe considerato altri documenti esistenti in atti, fra i quali la certificazione del 19 gennaio 2006 ed altre analoghe degli anni 2010, 2011, 2012 e 2015, dalle quali risultava che l’APS dava atto che il contratto stipulato nel 1986 si era rinnovato per invalidità della disdetta sino all’annata agraria 2008-2009. Data quindi l’invalidità riconosciuta della prima disdetta e la tardività di quella del 2009, la domanda di rilascio avrebbe dovuto essere rigettata.
1.1. Il motivo, quando non inammissibile, è privo di fondamento.
Osserva la Corte, innanzitutto, che il ricorso non contiene alcuna esposizione sommaria dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), per cui non è dato sapere se i documenti che il ricorrente ritiene non esaminati dalla Corte d’appello siano stati o meno effettivamente prodotti in quella sede e messi a disposizione del collegio giudicante di merito.
Ciò premesso e anche trascurando questo rilievo di inammissibilità, la Corte rileva in primo luogo che i documenti in questione non potrebbero avere in alcun modo una valenza confessoria, perché l’attitudine o meno di un atto di disdetta a manifestare in modo idoneo la volontà del concedente può essere valutata solo dal giudice; e nel caso specifico la Corte barese ha riconosciuto validità alla prima disdetta proveniente dell’APS ed ha ritenuto che anche la disdetta successiva e l’atto ricognitivo fossero indici non equivoci della volontà del concedente di non proseguire nell’affitto. Appare evidente, perciò, che la censura non potrebbe comunque essere tale da determinare l’accoglimento del ricorso.
2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La censura ha ad oggetto il rigetto dell’appello incidentale in ordine al diritto al compenso per le migliorie. La Corte d’appello, in particolare, non avrebbe tenuto conto dell’atto notarile del 18 agosto 1982 secondo cui la parte concedente autorizzava R.P. ad ampliare la casa colonica e asserviva l’intera superficie del fondo al fabbricato rurale che si sarebbe realizzato. La costruzione venne realmente portata a termine, per cui la sentenza avrebbe erroneamente omesso di considerare tale fatto.
2.1. Il motivo, per certi aspetti inammissibile, è comunque privo di fondamento.
Osserva la Corte, infatti, che anche per il documento indicato valgono le stesse considerazioni fatte a proposito del primo motivo. Oltre a ciò, il motivo in esame non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, perché dimostra di non comprendere che quest’ultima ha indicato le condizioni di legge per il riconoscimento del diritto alle migliorie, costituite dalla sussistenza del consenso del concedente o dalla richiesta dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura.
Il documento asseritamente non considerato, inoltre, risale al 1982, cioè sarebbe addirittura precedente rispetto al contratto del 1985 della cui cessazione si discute, per cui è evidente che l’omissione dell’esame, ove pure ci fosse stata, non potrebbe avere comunque valenza decisiva.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Pur sussistendo, in astratto, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, tale obbligo è escluso, trattandosi di causa esente per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022
Codice Civile > Articolo 1597 - Rinnovazione tacita del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 113 - Pronuncia secondo diritto | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile