LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8277/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
R.M., E G.E., elettivamente domiciliati in Roma, viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’Avv. Francesco D’Ayala Valva, dal quale sono rappresentati e difesi, unitamente all’Avv. Michele Tiengo, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
G.G.;
– intimato –
Avverso la sentenza n. 1441/2014 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 22 settembre 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio tenuta il giorno 11 novembre 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.
RILEVATO
che:
1. All’esito di un’attività ispettiva svolta nei confronti della società Bar gelateria Sonia s.n.c. di R.M. & C., esercente attività di somministrazione gai pubblico di cibi e bevande, l’Agenzia delle Entrate determinava, con metodo analitico – induttivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 il maggior reddito d’impresa imponibile ai fini IRES, il valore della produzione rilevante a fini IRAP nonché l’IVA non corrisposta per gli anni d’imposta 2005 e 2006 e recuperava a tassazione le imposte non versate, in uno a sanzioni ed accessori.
2. In conseguenza della rettifica operata in danno della società, venivano emessi nei riguardi dei soci R.M., G.G. e G.E. avvisi di accertamento aventi ad oggetto il maggior reddito a fini IRPEF, imputato “per trasparenza” D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5 per gli anni 2005, 2006 e 2007.
3. Le impugnative dei contribuenti, separatamente spiegate dalla società e dai singoli soci e riunite nel giudizio di prime cure, venivano rigettate in primo grado.
4. Interposto appello da tutti i soccombenti, il giudizio veniva interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento della società.
5. La controversia, riassunta su istanza dei soci, veniva decisa con la sentenza in epigrafe indicata, di annullamento degli atti impositivi.
6. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a sei motivi, cui resistono, con controricorso, R.M. ed G.E., mentre è rimasto intimato G.G..
7. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte nel termine fissato dall’art. 380-bis.1 del codice di rito con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
8. Preliminarmente, non osta alla definizione della controversia la mancata evocazione nel presente grado della società Bar gelateria Sonia s.n.c. di R.M. & C, litisconsorte necessario nel giudizio (si versa infatti in tema di accertamento in rettifica dei redditi di società di persone e conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio di essa: sul punto, Cass., Sez. U, 04/06/2008, n. 14815; Cass. 14/12/2012, n. 23096; Cass. 22/01/2018, n. 1472; Cass. 25/06/2018, n. 16730; Cass. 29/08/2018, n. 21296).
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile (come nella specie, per quanto in appresso chiarito), appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti (come nel caso, non risultando effettuata la notificazione del ricorso alla società), la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio nei riguardi del litisconsorte pretermesso, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (così, sulla scia di Cass., Sez. U, 22/03/2010, n. 6826, cfr., tra le tantissime, Cass. 13/10/2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106; Cass. 10/05/2018, n. 11287; Cass. 21/05/2018, n. 15106).
9. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la difesa erariale assume che la C.T.R. ha erroneamente accolto l’appello proposto da G.E., benché fosse pacifica ex actis l’adesione di quest’ultima alla definizione condonistica della vertenza.
La doglianza è infondata.
L’unità strutturale della sentenza impone di individuare la portata precettiva di essa e il contenuto della statuizione giudiziale sulla base del provvedimento nel suo complesso, cioè a dire in forza di una lettura congiunta di dispositivo e motivazione.
Orbene, la pronuncia, in parte narrativa, contiene un chiaro ed univoco accertamento circa l’avvenuta definizione condonistica della lite ad opera di G.E. e circa le inferenze derivanti da tale accadimento (si legge, infatti, a pag. 3: “nelle more del giudizio la socia G.E. ha definito la controversia instaurata avverso gli avvisi di accertamento IRPEF notificati (…). A tale definizione corrisponde la cessazione della materia del contendere”): e tanto consente, senza incertezze, di riferire esclusivamente alle altre parti impugnanti l’accoglimento dell’appello statuito nel dispositivo.
10. Il secondo mezzo di gravame denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 43 L. Fall. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
L’istanza di riassunzione del giudizio, interrotto in grado di appello per il dichiarato fallimento della società, è stata formulata dai soci R.M. e G.G., anch’essi falliti: ad avviso del ricorrente, la C.T.R. non ha verificato il presupposto legittimante la proposizione di detta istanza, ovvero l’inerzia del curatore, intesa come inazione dovuta a consapevole disinteresse della curatela per i rapporti tributari controversi.
La doglianza è inammissibile, per un duplice ordine di ragioni, ciascuna ex se sufficiente a giustificare la decisione.
In primo luogo, per novità della censura: il ricorrente ha omesso di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ed altresì di indicare in quale atto del grado precedente lo abbia eventualmente fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di vagliarne la fondatezza nel merito (Cass. 21/11/2017, n. 27568; Cass., Sez. U, 06/05/2016, n. 9138; Cass. 19/04/2012, n. 6118; Cass. 27/05/2010, n. 12992).
In secondo luogo, l’esistenza di una inerzia qualificata dell’organo fallimentare costituisce oggetto di un accertamento di mero fatto, tipicamente riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se non per le gravi anomalie motivazionali contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie nemmeno invocate dall’impugnante.
11. Con il terzo mezzo, per inosservanza dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si rileva il vizio di ultra petizione in cui sarebbe incorsa la C.T.R. con il ritenere le doglianze di omessa o insufficiente motivazione mosse dagli appellanti come riferite agli avvisi di accertamento, anziché alla sentenza di primo grado.
12. Il quarto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: il giudice di merito, ad avviso del patrono erariale, avrebbe erroneamente reputato inficiati da vizi motivazionali gli avvisi di accertamento.
13. Con il quinto motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si assume che il giudice di merito ha argomentato l’illegittimità dell’accertamento operato unicamente su una perizia estimativa di parte asseverata, documento tuttavia inidoneo a fare prova in difetto di riscontri fattuali estrinseci.
14. Il sesto mezzo rileva nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Previa illustrazione delle circostanze considerate indici sintomatici dell’inattendibilità della contabilità societaria e dei criteri adoperati nell’avviso di accertamento per la ricostruzione induttiva dei redditi, la censura individua numerose “mende” asseritamente vizianti la motivazione della sentenza: una carente descrizione delle difese svolte dalle parti, affermazioni “generiche, apodittiche, incongrue” circa la valenza decisiva dell’elaborato peritale di parte e circa la infondatezza degli elementi presuntivi di maggiori ricavi.
15. I motivi dal terzo al sesto, teste’ sinteticamente riassunti, vanno dichiarati inammissibili.
Il disposto annullamento degli atti impositivi è giustificato da una serie di argomentazioni, idonee, se isolatamente considerate, a sorreggere la decisione adottata.
Più specificamente, il giudice di prossimità ha ritenuto:
(a) la ricostruzione induttiva dei ricavi compiuta dall’Ufficio priva di riscontri empirici, per mancanza di alcun “elemento confermativo degli ipotizzati maggiori ricavi, quali flussi finanziari e/o depositi di capitali presso qualsiasi ente creditizio, conti bancari personali non contabilizzati”, con conseguente insussistenza di presunzioni gravi, precisi e concordanti legittimanti l’accertamento induttivo;
(b) la “erroneità ed irragionevolezza della procedura di accertamento” per “mancata considerazione del negativo andamento aziendale negli anni 2005/2006” emergente da “una visione globale della gestione della società” interessata nel suddetto arco temporale da “una drastica battuta d’arresto, con la chiusura di un’unità locale per mancanza di ricavi” ed in seguito da uno stato di insolvenza culminato nella dichiarazione di fallimento.
Ciò posto, le contestazioni del ricorrente si appuntano unicamente sulla valutazione concernente l’inoperatività dei presupposti D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39 per la determinazione in via induttiva dei maggiori ricavi societari, valutazione censurata per profili di natura processuale e sostanziale; alcuna considerazione critica, nemmeno generica, risulta indirizzata a contrastare l’apprezzamento sub (b), integrante, nell’ordito motivazionale contrassegnante la pronuncia, ragione autosufficiente di illegittimità dell’avviso di accertamento.
Ed è noto che qualora la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (principio di diritto affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c. da Cass. 03/11/2011, n. 22753, ribadito, ex plurimis, da Cass. 27/07/2017, n. 18641; Cass. 21/06/2017, n. 15350; Cass. 29/05/2015, n. 11169; Cass. 29/03/2013, n. 7931; Cass. 23/01/2013, n. 1610).
16. Il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza.
17. Non trova applicazione il disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): il provvedimento che dichiara la parte impugnante tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può infatti essere pronunciato nei confronti di quelle parti della fase del giudizio di impugnazione, come le amministrazioni pubbliche difese dall’Avvocatura dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 20/02/2020, n. 4315; Cass. 29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento in favore dei controricorrenti R.M. ed G.E. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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