LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI P. – rel. Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6289/2013 R.G. proposto da:
D.G.S. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso anche disgiuntamente dall’Avv. Giovanni Porzio e dall’Avv. Renato Mariani, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo difensore in Roma, Via Dei Banchi Nuovi n. 39;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
– resistente –
nonché
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, n. 7/26/2012 depositata il 12 gennaio 2012, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 novembre 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte veniva parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 85/1/2009 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Novara di accoglimento del ricorso della società DGS S.r.l. avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo ad II.DD. e IVA 2003 derivante da operazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di “frodi carosello” finalizzate alla deduzione e alla detrazione dell’imposta.
2. In particolare, le contestazioni riguardavano cessioni di autovetture di provenienza da Paese comunitario tramite una società di comodo, la Sport Auto 2002 S.r.l.. Il giudice di primo grado considerava infondate le eccezioni di nullità dell’avviso di accertamento, ma accoglieva nel merito il ricorso della contribuente.
3. Il giudice d’appello, a differenza di quello di prime cure, ai fini IVA riteneva esistente la prova della conoscenza della frode e, in ogni caso, che non fosse stata adoperata la diligenza necessaria richiesta all’imprenditore del settore. Quanto alle imposte dirette, considerava dimostrata l’inerenza dei costi derivanti dalle fatture per le operazioni contestate come soggettivamente inesistenti e, per l’effetto, condivideva la difesa della società confermando la sentenza appellata in parte qua.
4. Avverso la decisione la contribuente propone ricorso, affidato a sei motivi, mentre l’Agenzia delle Entrate ha depositato mera comparsa di costituzione per l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione; il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese. Considerato che:
5. Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 48,50,51,52,53,54,55,56,57,58,59,60 e 61 per aver il giudice d’appello, come già quello di primo grado, mancato di ritenere rilevante il difetto di allegazione all’avviso di accertamento del p.v.c. alla base delle riprese.
Con il secondo motivo la società – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, sempre con riferimento alla mancata allegazione del p.v.c. all’atto impositivo.
6. I motivi, connessi, sono inammissibili. Come riporta lo stesso ricorso, il giudice d’appello ha accertato che l’avviso di accertamento riproduce il contenuto essenziale del p.v.c.. Ciò è confermato anche dalle circostanze riportate alle pagg.38-9 del ricorso, le quali sono irrilevanti (es. il fatto che l’importatore degli autoveicoli si avvalesse di una società di autotrasporti, il fatto che l’importatore disponesse di capitale regolarmente versato e di un ufficio in locazione avvalendosi di una segretaria ecc..) sia ai fini della dimostrazione della fittizietà della società dante causa della contribuente, non essendo idonei a dimostrare che la cartiera avesse una effettiva struttura di impresa, sia dell’assenza di conoscibilità della frode in capo alla contribuente, tenuto anche conto del fatto che tutte le cessioni erano pacificamente avvenute ad un prezzo inferiore a quello di acquisto. Le censure in disamina sono macroscopicamente dirette ad ottenere una rivalutazione delle prove, delibate dalla CTR, in termini preclusi in sede di legittimità (cfr. Cass. 28 novembre 2014 n. 25332). La parte infatti non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
7. Con il terzo motivo la ricorrente – agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione alla ritenuta assoluta erroneità nella valutazione degli elementi presuntivi e probatori, in particolare alla luce del principio di neutralità dell’IVA, non potendo ritenersi nel caso di specie che l’operatrice sapesse o avrebbe dovuto sapere che le compravendite si iscrivevano in una frode di imposta, alla luce della diligenza esigibile.
8. Il motivo è inammissibile. La censura investe il preciso accertamento della CTR circa la conoscibilità, con la diligenza richiesta all’imprenditore del settore, della frode e anche della conoscenza in concreto. Tale apprezzamento è compiuto sulla base di precisi riferimenti al quadro istruttorio, tra cui il prezzo di vendita inferiore a quello di acquisto, la consegna delle autovetture direttamente all’acquirente come emerso dalle lettere di vettura internazionali, elementi tutti che il giudice d’appello ha motivatamente ritenuto dovessero far riconoscere con la richiesta diligenza che la società fatturante Sport Auto 2002 S.r.l. era una mera cartiera.
9. Con il quarto motivo la ricorrente – agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e artt. 112 e 115 c.p.c., artt. 2697,2727 e 2729 c.c., aver il giudice d’appello adottato una motivazione apparente ed essersi pronunciato su una questione mai addebitata alla contribuente, ossia l’acquisto delle vetture sottocosto e a prezzi inferiori rispetto a quelli medi praticati sul mercato, con conseguente statuizione su un’eccezione mai proposta.
10. Il motivo è inammissibile. Premesso che il profilo dell’apparenza della motivazione non è neppure sviluppato nel corpo della censura, né sono individuati i riferimenti normativi di diritto sostanziale e processuale pertinenti alla sussunzione della fattispecie ai fini del ricorso per Cassazione, la censura si appunta su una circostanza di fatto l’acquisto delle vetture sottocosto e a prezzi inferiori rispetto a quelli medi praticati sul mercato – che non costituisce un’autonoma domanda né eccezione giudiziale (deduzione di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa attorea) e dunque non introduce una “questione” giuridica, con conseguente incongruenza anche del riferimento al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., invocato nella censura in termini non pertinenti. Incongruo è del pari anche il riferimento all’art. 115 c.p.c., poiché non vi è alcuna “non contestazione” riguardo ai prezzi delle autovetture oggetto di ripresa, come evincibile sia dalla lettura dello “svolgimento del processo” di cui alla sentenza impugnata, sia dai contenuti del p.v.c. alla base delle riprese, elementi peraltro sintetizzati nello stesso corpo del ricorso.
11. Con il quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si prospetta l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti quanto all’assolvimento dell’onere probatorio da parte della DGS S.r.l., avendo la società dimostrato che i recuperi ad imposizione operati ai fini IVA sono indimostrati e illegittimi, perché si fonderebbero su una ipotizzata responsabilità oggettiva della ricorrente.
Con il sesto motivo la società – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e artt. 2697,2727 e 2729 c.c., art. 112 c.p.c., per aver il giudice d’appello mancato di esporre una vera motivazione, ricorrendo alla tautologia, nel passaggio argomentativo in cui ritiene rilevante il fatto che le autovetture di cui alle operazioni contestate, anziché essere prese in carico presso la Sport Auto, in assenza di un deposito, fossero consegnate direttamente all’acquirente.
12. I motivi sono destituiti di fondamento. In tema di onere della prova circa la contestazione per operazioni soggettivamente inesistenti, si rammenta innanzitutto il contenuto del riparto sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità: ove l’Amministrazione finanziaria, contesti “che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).
13. Orbene, alla luce dell’insegnamento menzionato vanno escluse con riferimento al caso di specie sia le prospettate violazioni di legge sia il denunciato vizio motivazionale e la sentenza è corretta in diritto, dal momento che non sono stati violati i criteri di riparto dell’onere della prova tra le parti. Inoltre, con riferimento allo specifico elemento soggettivo in termini di conoscibilità della frode, la decisione è rispettosa del principio diritto riportato anche in punto di dimostrazione della fittizietà del fornitore, rimessa all’Agenzia.
In presenza di questa dimostrazione, accertata dalla CTR con una motivazione congrua, la successiva prova liberatoria a carico di parte contribuente e ritenuta non assolta per non aver “fatto uso della normale diligenza richiesta all’imprenditore” (cfr. p.5 sentenza impugnata) in presenza della quale “si sarebbe certamente resa conto della natura fraudolenta dell’attività della società cedente” (ibidem) è in linea, e anzi meno esigente con riferimento al canone giurisprudenziale consolidato sopra richiamato, secondo il quale è necessario aver adoperato “la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non configura affatto una forma di responsabilità oggettiva” (Cass., n. 9851/2018, cit.).
14. Quanto poi alla censura rivolta a quella parte dell’argomentazione adottata dalla CTR in cui è stata data rilevanza al fatto che la consegna delle autovetture avvenisse direttamente presso l’acquirente, senza passare attraverso il deposito della cartiera, la Corte osserva che la motivazione sul punto non solo non è tautologica, ma neppure illogica. Infatti, è massima di esperienza il fatto che il commercio di autovetture, se effettivo, richieda un luogo di deposito dello stock in attesa della vendita finale che non sempre è su commissione.
15. In conclusione il ricorso dev’essere rigettato e nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite, considerato che l’Agenzia non ha svolto difese effettive mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze, peraltro privo di legittimazione passiva nella presente controversia, non si è neppure costituito in giudizio.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso.
Si dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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