LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 21739/2017 R.G. proposto da:
M.V., c.f. *****, elettivamente domiciliato in Roma, al viale Maresciallo Pilsudski, n. 118, presso lo studio dell’avvocato Antonio Stanizzi, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
B.L., c.f. *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 613 del 13.6.2017 del Tribunale di Forlì;
udita la relazione nella Camera di consiglio del 4 novembre 2021 del Consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con atto in data 18.3.2014 l’avvocato M.V. citava a comparire dinanzi al Giudice di Pace di Forlì B.L..
Esponeva che aveva svolto attività professionale, consistita nella redazione di un ricorso in materia elettorale proposto dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna, su incarico e per conto dell’associazione politica denominata “*****”, di cui il convenuto era legale rappresentante.
Esponeva che il compenso a lui dovuto era rimasto insoluto.
Chiedeva che il convenuto fosse condannato a corrispondergli la somma di Euro 5.000,00 ovvero la minor somma ritenuta di giustizia, nei limiti della competenza del giudice adito.
2. Si costituiva B.L..
Instava per il rigetto dell’avversa domanda.
3. Con sentenza n. 227/2015 il giudice di pace rigettava la domanda e condannava l’attore alle spese di lite.
Reputava il primo giudice che l’attore avrebbe dovuto avvedersi che l’omessa censura della seconda ragione che aveva indotto all’esclusione dalle elezioni politiche del 2013 dell’associazione denominata “*****”, ovvero la carenza di un numero sufficiente di candidati, avrebbe comportato il mancato riscontro della questione di legittimità costituzionale dall’avvocato M. prospettata ed il rigetto del ricorso elettorale.
Reputava, su tale scorta, il primo giudice che il compenso percepito dall’attore doveva considerarsi congruo ed adeguato all’attività espletata.
4. Proponeva appello M.V..
Resisteva B.L..
5. Con sentenza n. 613 del 13.6.2017 il Tribunale di Forlì rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.
Premetteva il tribunale, con riferimento al motivo di gravame concernente il profilo del conferimento dell’incarico di contestare la legittimità costituzionale del D.P.R. n. 361 del 1957, art. 18 bis, n. 3, contemplante l’obbligo di indicazione di un numero minimo di candidati eleggibili, che, per un verso, la procura ad litem conferisce al difensore il potere – dovere di esperire tutte le iniziative necessarie nell’interesse del cliente e dunque di selezionare le modalità più opportune per il conseguimento del risultato; che, per altro verso, il difensore è obbligato ad informare il cliente delle conseguenze atte a scaturire dalle proprie scelte.
Indi evidenziava che, da un canto, non avevano alcuna rilevanza i profili di censura prospettati dall’appellante e volti a dimostrare che l’appellato gli aveva sollecitato una determinata impostazione difensiva; che, d’altro canto, l’appellante non aveva dato prova di aver assolto il proprio obbligo di informazione del cliente.
Evidenziava altresì – il tribunale – con riferimento al motivo di gravame con il quale l’appellante aveva addotto che controparte non aveva dato prova dell’effettivo versamento della porzione di compenso dovutagli, che l’appellato aveva allegato copia della matrice dell’assegno n. ***** dell’importo di Euro 1.000,00 e che, in ogni caso, dalla missiva in data 19.9.2013 a firma del difensore dell’appellante si desumeva che la somma di Euro 5.000,00, oggetto di richiesta in prime cure, era stata determinata al netto dell’importo, già percepito, di Euro 1.292,00, comprensivo di i.v.a. e c.p.a..
6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.V.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
B.L. non ha svolto difese.
7. Il ricorrente ha depositato memoria.
8. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento e della sentenza d’appello in relazione agli artt. 156,159,190 e 352 c.p.c..
Premette che innanzi al tribunale, all’udienza del 13.6.2017, così come si desume dal relativo verbale, entrambe le parti avevano chiesto la concessione dei termini per il deposito delle conclusionali; che viceversa il tribunale ha fatto luogo irritualmente alla decisione a seguito di discussione orale.
Indi deduce che siffatta irritualità, causa di nullità del procedimento e della sentenza, ha comportato menomazione e pregiudizio per il diritto di difesa.
9. Il primo motivo è privo di fondamento e va respinto.
10. Innegabilmente, così come si desume dal verbale dell’udienza del 13.6.2017 innanzi al Tribunale di Forlì, i procuratori delle parti ebbero a chiedere la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., evidentemente, nel quadro della previsione dell’art. 352 c.p.c., comma 5, ai fini della decisione secondo lo schema della trattazione “mista”.
E tuttavia dal medesimo verbale non risulta che i procuratori presenti, a fronte dell’invito del giudice monocratico a procedere alla discussione orale, ebbero, nel corso della stessa discussione, ad eccepire nullità.
11. Soccorre quindi l’insegnamento di questa Corte – seppur formulato con riferimento al caso inverso – alla cui stregua la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., la cui pronuncia – sebbene avvenuta all’esito di udienza all’uopo appositamente fissata – non sia stata preceduta dalla discussione orale delle parti bensì dallo scambio di comparse conclusionali (senza, peraltro, che il giudice neppure abbia esplicitato che tale adempimento dovesse intendersi, quantunque irritualmente, sostitutivo della discussione), è affetta da nullità, destinata tuttavia a sanarsi se non tempestivamente eccepita nel corso dell’udienza in cui la sentenza sia stata pronunciata, donde la necessità del rigetto dell’impugnazione al riguardo proposta (cfr. Cass. 9.4.2015, n. 7104. Riferimento alla sanatoria destinata a prodursi se la violazione del diritto di difesa non è tempestivamente eccepita nel corso dell’udienza in cui la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c, sia stata pronunciata, si rinviene anche in Cass. (ord.) 9.7.2018, n. 18025).
12. In pari tempo va debitamente rimarcato che nella specie discussione orale – seppur breve – vi è stata. Ulteriormente, che anche l’appellato non ha depositato comparsa conclusionale, sicché non si prefigurava la necessità di replica alla conclusionale avversa. Altresì, che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il suo difensore ha senz’altro avuto nel corso della discussione orale la materiale possibilità di “replicare alle allegazioni e deduzioni, contenute nella comparsa di costituzione in appello per B.L.” (così ricorso, pag. 4); né rileva che sono stati invitati “alla discussione orale due semplici e ignari sostituti processuali” (così ricorso, pag. 4) Ebbene, alla luce dei teste’ riferiti rilievi, non esplica valenza nella specie il recentissimo insegnamento delle sezioni unite n. 36596 del 25.11.2021 (a tenor del quale la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello, deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria, non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; ed a tenor del quale, inoltre, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo).
13. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame e pronuncia circa un fatto fondamentale e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che con l’atto di appello aveva addotto, a censura del primo dictum, che, così come era dato desumere dall’ammissione contenuta nella comparsa di costituzione in prime cure di B.L., costui era perfettamente al corrente della circostanza per cui l’esiguo numero candidati eleggibili avrebbe comportato ai sensi del D.P.R. n. 361 del 1957, art. 18 bis, n. 3, l’esclusione del “*****” dalla lista elettorale.
Deduce quindi che con l’atto di appello aveva addotto che non si prefigurava in concreto alcun obbligo di preventiva informazione del proprio assistito.
Deduce che il giudice d’appello non ha per nulla preso in considerazione tale circostanza ed ha omesso al riguardo qualsivoglia pronuncia.
14. Il secondo motivo del pari è privo di fondamento e va respinto.
15. Il giudizio di appello ha avuto inizio nel corso del 2015. La statuizione d’appello ha integralmente confermato la prima statuizione.
A fronte della qualificazione che lo stesso ricorrente ha operato del mezzo di impugnazione in disamina, si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860). Si tenga conto che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).
16. Ovviamente al riguardo non vi è stata omessa pronuncia.
Pur a prescindere dall’irritualità della denuncia di omessa pronuncia (cfr. Cass. sez. un. 24.7.2013, n. 17931; Cass. 29.11.2016, n. 24247), si è anticipato che il tribunale ha puntualizzato che l’appellante non aveva “dato prova di avere compiutamente assolto al proprio obbligo di informazione nei confronti del cliente” (così sentenza d’appello, pag. 6).
17. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione dell’art. 1711 c.c. in relazione all’art. 125 c.p.c..
Premette che B.L. aveva apposto la sua sottoscrizione in calce al ricorso in materia elettorale alla Corte d’Appello di Bologna, il che è indicativo della circostanza che la procura ad litem fosse esplicitamente limitata alla censura di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 361 del 1957, art. 18 bis, n. 2, onde ottenere la concessione di una proroga del termine per la presentazione delle firme a supporto della lista elettorale ovvero l’esonero da tale adempimento.
Indi deduce che il giudice d’appello ha errato a disconoscere che B.L. avesse inteso circoscrivere la finalità del mandato professionale che aveva provveduto a conferirgli ed ha ulteriormente errato a reputare che il mandato riguardasse in generale la possibilità che il “*****” partecipasse alle elezioni politiche del 2013.
18. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione dell’art. 100 c.p.c..
Premette che con l’atto d’appello era stato debitamente precisato che il proposito degli iscritti al “*****” era quello di mettere in discussione sul piano costituzionale il contenuto precettivo del D.P.R. n. 316 del 1957, art. 18 bis, n. 2.
Premette segnatamente che nel ricorso del D.P.R. n. 361 del 1957, ex art. 23, comma 2, era stata formulata istanza di concessione di una congrua proroga del termine per la presentazione delle firme di adesione al partito e, per giunta, era stato domandato l’esonero da tale adempimento.
Indi deduce che ha errato il Tribunale di Forlì a ritenere che il mandato a lui conferito riguardasse in generale la possibilità per il “*****” di partecipare alle elezioni.
19. Il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina contestuale; ambedue i motivi comunque sono privi di fondamento e vanno respinti.
20. Si è già premesso che il Tribunale di Forlì ha puntualizzato che “gli aspetti che attengono al merito delle censure prospettate dal cliente e volti a sollecitare un’impostazione difensiva da parte dell’avv. M. non hanno rilevanza, atteso che era compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale” (così sentenza d’appello, pag. 6).
Evidentemente, in questi termini, i motivi in esame non si correlano alla “ratio decidendi” cui, in parte qua, è ancorato il secondo dictum (cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia impugnata; Cass. 17.7.2007, n. 15952).
Propriamente, non ineriscono alla “ratio” le deduzioni del ricorrente.
In particolare, la deduzione secondo cui “la sentenza di appello ha errato, in primo luogo, nel ritenere circostanza inattendibile che il cliente abbia inteso limitare il mandato professionale nel modo indicato” (così ricorso, pag. 6).
In particolare, la deduzione secondo cui la statuizione di seconde cure è inficiata dall’erroneo inquadramento dell’impostazione data all’incarico conferitogli (cfr. ricorso, pag. 7).
21. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione dell’art. 2697 c.c..
Deduce che il riscontro probatorio del preteso pagamento, correlato alla matrice dell’assegno n. ***** dell’asserito importo di Euro 1.000,00, è del tutto inadeguato.
Deduce che la matrice dell’assegno non dà conto della persona del traente, della persona del prenditore, della data e della causale dell’emissione.
22. Il quinto motivo di ricorso è analogamente destituito di fondamento e va respinto.
23. In verità il ricorrente, al di là dell’asserita inversione dell’onere della prova, sollecita propriamente questa Corte al riesame delle risultanze probatorie (“la prova dell’avvenuto pagamento della somma (…) avrebbe potuto essere fornita esclusivamente tramite la produzione in giudizio della copia dell’assegno”: così memoria, pag. 2).
E, tuttavia, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
24. D’altra parte, la valutazione delle risultanze probatorie è congrua ed ineccepibile.
Invero, il riscontro della matrice dell’assegno – lo si è premesso – si è inserito nell’ambito di una disamina di più ampio spettro.
Più esattamente, il tribunale ha tenuto conto anche delle risultanze della missiva in data 19.9.2013 a firma del difensore dell’appellante.
25. In ogni caso, in parte qua, il ricorrente censura il giudizio “di fatto” cui ha atteso il tribunale (“nessun atto solutorio risulta essere stato posto in essere da B.L. a favore dell’Avv. M.”: così memoria, pag. 2).
Cosicché si ripropone a pieno titolo la preclusione di cui dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5.
26. Infine, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia (il che non è nel caso di specie) attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr. Cass. 29.5.2018, n. 13395; Cass. (ord.) 23.10.2018, n. 26769; Cass. sez. lav. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 5.9.2006, n. 19064).
27. B.L. non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del giudizio va pertanto assunta.
28. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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