Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5659 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1078-2020 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAFILE 4, presso lo studio dell’avvocato SIMONA MARTINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato PELLEGRINO CAVUOTO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 71, presso lo studio dell’avvocato A.A., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di BENEVENTO depositata il 30/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del controricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso al Tribunale di Benevento l’avvocato A.E. esponeva che aveva maturato, quale corrispettivo per l’attività giudiziale di rappresentanza ed assistenza prestata in favore di M.V., in un giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, il complessivo credito di Euro 6.361,80, come da notula vistata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Benevento.

Con decreto n. 48/2019, notificato il 19/1/2019, il Tribunale pronunciava l’ingiunzione avverso la quale proponeva opposizione l’ingiunto con citazione notificata il 27 febbraio 2019. Il Giudice istruttore disponeva il mutamento del rito, ritenendo applicabile la previsione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 ed il Collegio con ordinanza del 30 ottobre 2019 dichiarava l’opposizione inammissibile, rilevando che la stessa andava proposta nelle forme del ricorso, ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 702 bis c.p.c.. Tuttavia, nel caso in cui l’opposizione sia avanzata con citazione, è necessario per la sua tempestività non solo la notificazione ma anche il deposito nel rispetto del termine di cui all’art. 641 c.p.c..

Nella fattispecie la notifica era risultata tempestiva ma il deposito era avvenuto oltre il quarantesimo giorno dalla notifica del decreto opposto, il che determinava l’inammissibilità dell’opposizione.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso M.V. sulla base di un motivo.

A.E. resiste con controricorso ed ha depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 4 e 14.

Deduce che è vero senza dubbio che è erronea l’affermazione secondo cui l’opposizione, qualora proposta con citazione, è da reputare tardiva, se depositata in cancelleria oltre il termine di cui all’art. 641 c.p.c., atteso che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, collega all’eventuale errore nella scelta del rito la sola conseguenza della pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito, ma non il prodursi di eventuali decadenze, “giacché gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Preliminarmente deve rilevarsi la correttezza nella scelta del ricorrente di proporre ricorso per cassazione e non anche appello atteso che secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato in materia civile, l’ordinanza conclusiva del procedimento ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, non è appellabile, ma impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, sia che la controversia riguardi solamente il “quantum debeatur”, sia che la stessa sia estesa all'”an” della pretesa, trovando anche in tale ultimo caso applicazione il rito di cui al cit. art. 14 (cfr. Cass. S.U. n. 4485/2018).

Va poi ribadito che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, come sostituito dal D.Lgs. cit., può essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dal menzionato D.Lgs., artt. 3, 4 e 14; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702 bis e ss. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648,649,653 e 654 c.p.c., e quindi nella forma del ricorso.

Posta tale premessa il motivo è fondato, occorrendo dare continuità al principio affermato da questa Corte, che rimeditando la precedente giurisprudenza, ha ritenuto di dover valorizzare la portata del cit. D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, affermando per l’effetto che l’opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso l’ingiunzione ottenuta dall’avvocato nei confronti del proprio cliente ai fini del pagamento degli onorari e delle spese dovute, ai sensi della L. n. 794 del 1942, combinato disposto art. 28, dell’art. 633 c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, proposta con atto di citazione, anziché con ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, è da reputare utilmente esperita qualora la citazione sia stata comunque notificata entro il termine di quaranta giorni – di cui all’art. 641 c.p.c. – dal di della notificazione dell’ingiunzione di pagamento. In tale evenienza, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, gli effetti sostanziali e processuali correlati alla proposizione dell’opposizione si producono alla stregua del rito tempestivamente attivato, ancorché erroneamente prescelto, per cui il giudice adito deve disporre con ordinanza il mutamento del rito, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 1, (Cass. n. 24069/2019).

Nel caso di specie, lo stesso Tribunale nel provvedimento impugnato ha dato atto che solo il deposito della citazione in opposizione è stato tardivamente effettuato rispetto al termine previsto per l’opposizione, che invece risultava essere stato rispettato in relazione al diverso momento della notifica.

Va poi ricordato che Cass. S.U. n. 758/2022, nel risolvere il contrasto manifestatosi presso questa Corte, in vista della corretta applicazione della previsione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 5, (e risolvendo proprio la questione per la cui risoluzione la difesa del controricorrente ha insistito nelle memorie per la rimessione alle stesse Sezioni Unite), essendosi da parte di alcuni arresti sostenuto che la sanatoria dalla stessa norma prevista presupponesse sempre l’adozione di un’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice adito, ha invece sottolineato che, come emerge dalla Relazione illustrativa dello schema del decreto legislative n. 150 del 2011, il legislatore delegato si è mosso nella direzione di “ridurre al minimo l’ambito temporale di incertezza sulle regole destinate a disciplinare il processo, al fine di scongiurare vizi procedurali che, riverberandosi a catena su tutta l’attività successiva, possano far regredire il processo, in contraddizione con i principi di economia processuale e di ragionevole durata sanciti dall’art. 111 Cost. “. Ne deriva che il potenziale consolidamento del rito erroneamente seguito (in conseguenza dell’errore nella scelta della forma dell’atto introduttivo) trova la sua disciplina nella disposizione del comma 5, la quale sancisce espressamente che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”. Ciò comporta che la domanda giudiziale avanzata in forma non corretta (citazione anziché ricorso e viceversa) produce i suoi effetti propri, da valutare secondo il modello concretamente seguito, seppur difforme da quello legale, ferme restando “le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento” (art. 4, comma 5). Se ne ricava, dunque, un principio di “fungibilità tra i riti” contrariamente a quanto previsto dalle norme codicistiche secondo cui la riconduzione al rito voluto dalla legge non incontra barriere preclusive (artt. 426 e 427 c.p.c.) ed è consentita anche in appello (art. 439 c.p.c.) – poiché, pur nella loro diversità e nonostante l’attribuzione ad ognuno di essi di un ambito applicativo preferenziale, ciascuno assicura il giusto processo.

Le Sezioni Unite hanno quindi rimarcato il carattere innovativo dell’art. 4, comma 5, che ha ammesso una sanatoria piena degli effetti processuali e sostanziali prodotti dalla domanda originariamente proposta (secondo il rito erroneo concretamente applicato) e, quindi, ha escluso che l’errore sulla forma dell’atto introduttivo possa riflettersi sulla tempestività dell’opposizione stessa, tranne quando si siano maturate decadenze e preclusioni (che “restano ferme”) secondo le norme seguite precedentemente.

La ratio dell’art. 4, comma 5, consiste, infatti, nell’esigenza “di escludere in modo univoco l’efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo”: ne consegue che le norme che disciplinano il rito seguito prima del mutamento rilevano come parametro di valutazione di legittimità dell’atto introduttivo del giudizio, nel senso che gli effetti sostanziali e processuali della domanda vanno delibati secondo il rito (erroneo) concretamente applicato sino ad allora, e non in base al diverso rito che avrebbe dovuto essere invece seguito, senza possibilità di applicare a ritroso preclusioni riconducibili al nuovo rito da seguire nel successivo corso del procedimento.

L’ordinanza di mutamento del rito, ove intervenga, ha quindi una rilevanza costitutiva, senza che le norme che regolano il nuovo rito diventino parametro di valutazione della legittimità degli atti già compiuti.

All’atto introduttivo, ancorché erroneamente individuato, va assegnata la utile e proficua produzione degli effetti processuali e sostanziali correlati al rito erroneamente prescelto, relegando l’ordinanza di mutamento del rito ad un evento successivo, valevole pro-futuro e inidoneo ad incidere ex post sulla domanda, o a convalidarne gli effetti (già realizzatisi), o ad impedire “le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Gli effetti, sostanziali e processuali, della domanda irritualmente avanzata si producono alla stregua del rito concretamente adottato, non soltanto quando il giudice di primo grado abbia adottato tempestivamente l’ordinanza di mutamento, ma anche quando tale provvedimento sia mancato, con conseguente consolidamento o stabilizzazione del rito erroneo.

E’ stato altresì sottolineato che le regole sul rito processuale non hanno copertura costituzionale quando non incidano negativamente sul contraddittorio e sull’esercizio del diritto difesa, come confermato dal fatto che dall’adozione di un rito erroneo non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di gravame, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, n. 12567 del 2021; sez. III, n. 1448 del 2015; sez. L., n. 8422 del 2018; sez. II, n. 22075 del 2014).

Per l’effetto è stato formulato il seguente principio di diritto: nei procedimenti “semplificati” disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione.

Rileva il Collegio che la decisione impugnata non risulta essersi conformata a tale principio e che pertanto la stessa debba essere cassata con rinvio per nuovo esame dell’opposizione al Tribunale di Benevento, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Benevento, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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