Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.5705 del 22/02/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1852/2020 R.G. proposto da:

I.D., rappresentato e difeso per procura speciale dal Prof. Avv. Manlio Ingrosso e dall’Avv. Marcella Ferrante, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Daniela Ciardo in Roma, Via degli Scipioni n. 247;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 9475/25/18, depositata il 5 novembre 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 gennaio 2022 dal Consigliere Michele Cataldi.

RILEVATO

che:

1. I.D., che svolge l’attività di assistenza e consulenza nel mercato delle imprese esecutrici di lavori pubblici, propose ricorso contro l’avviso d’accertamento, in materia di Irpef, Irap ed Iva, di cui all’anno d’imposta 2006, con il quale l’Agenzia delle entrate, all’esito di verifica con accesso presso la sede della contribuente e relativo processo verbale di constatazione, aveva disconosciuto la deducibilità e la detraibilità di alcuni costi, con conseguenti maggiori imponibili ed imposte.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Caserta accolse parzialmente il ricorso, riconoscendo l’inerenza di alcuni dei costi contestati, rigettandolo per il resto.

Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria regionale della Campania lo dichiarò inammissibile, per difetto di specificità dei motivi d’impugnazione.

L’Ufficio introdusse allora ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello e questa Corte, con l’ordinanza n. 13486 del 30 giugno 2016, accolse il ricorso erariale, cassando la sentenza impugnata con rinvio, rilevando in motivazione che ” Nel caso di specie, come risulta dall’atto di impugnazione interamente riportato nel corpo del ricorso, esso contiene una censura sufficientemente precisa e determinata della pronuncia di primo grado, censurando in modo specifico la ratio decidendi della sentenza impugnata e, nel ribadire la sussistenza dei presupposti per dar luogo ad accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, sulla base di irregolarità contabili reiterate e di evidente gravità, costituiva idonea contrapposizione alle argomentazioni con le quali quella sentenza aveva ritenuto di accogliere il ricorso introduttivo della contribuente e ritenere infondata la pretesa tributaria.”.

Il contribuente riassunse il giudizio d’appello e la Commissione tributaria regionale della Campania, giudice del rinvio, con la sentenza qui impugnata, accolse l’appello erariale. Avverso quest’ ultima decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandolo a tre motivi. Si è costituito l’Ufficio, al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63, e dell’art. 112 c.p.c..

Assume infatti il ricorrente che la CTR avrebbe errato nel rilevare d’ufficio l’inutilizzabilità, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, della documentazione prodotta dal contribuente in giudizio, ma non anche nella fase amministrativa precedente alla stessa emissione dell’atto impositivo, non essendo stata evasa, secondo quanto riportato dalla CTR, la relativa richiesta erariale, formulata in uno dei due questionari (quello notificato il 15 novembre 2011) inviati al contribuente dall’Amministrazione.

Secondo il ricorrente, il rilievo d’ufficio dell’inutilizzabilità sarebbe stato precluso sia dalla precedente ordinanza di cassazione con rinvio emessa da questa Corte, che avrebbe delimitato l’oggetto ammissibile dell’appello alla contestazione della sussistenza dei presupposti per dar luogo all’accertamento D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39; sia dal contenuto dell’appello erariale, che non deduceva l’inutilizzabilità della documentazione in questione, non rilevabile d’ufficio.

Il motivo è infondato.

Infatti E’ vero che “Nel giudizio di rinvio è precluso qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in ordine agli “errores in iudicando”, relativi al diritto sostanziale, e per le violazioni di norme processuali tutte le volte in cui il principio sia stato enunciato rispetto a un fatto, con valenza processuale, accertato e qualificato giuridicamente agli effetti della cassazione della sentenza. (…)” (Cass. 29/09/2014, n. 20474) Tuttavia, nel caso di specie, il decisum dell’ordinanza di cassazione con rinvio, nel rilevare la specificità sufficiente e l’ammissibilità dei motivi d’appello, non attingeva anche la questione dell’ammissibilità e dell’utilizzabilità degli atti istruttori, che era destinata ad emergere solo successivamente, in sede di valutazione (in fatto ed in diritto) del materiale istruttorio, e che non era oggetto, neppure necessariamente presupposto. Pertanto, poiché “Nel giudizio di rinvio, l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione si estende solo alle questioni che costituiscono il necessario, presupposto della decisione, anche se non espressamente esaminate” (Cass. 01/12/2017, n. 28889; sulla necessaria interpretazione, in concreto, del decisum della cassazione con rinvio, ai fini della verifica dei poteri del giudice del rinvio, cfr. Cass. 30/09/2005, n. 19212), nel caso di specie non era ravvisabile il vincolo in questione a carico della CTR adita in riassunzione.

Quanto poi alla rilevabilità d’Ufficio dell’inutilizzabilità in questione, questa Corte ha già ritenuto che” In tema di accertamento tributarlo, l’inottemperanza del contribuente a seguito dell’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziarla, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, comporta l’inutilizzabilità in sede amministrativa e processuale dei documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, salvo che il contribuente, all’atto di produrre la documentazione unitamente al ricorso, non dichiari di non avere potuto adempiere alla richiesta; detta inutilizzabilità opera anche in assenza di eccezione dell’Amministrazione resistente, trattandosi di preclusione processuale rilevabile d’ufficio.” (Cass. 11/02/2021, n. 3442).

2. Con il secondo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, e dell’art. 2697 c.c..

Assume infatti il ricorrente che la CTR avrebbe errato nel dichiarare l’inutilizzabilità della documentazione in questione per la mera circostanza che il contribuente non l’avesse già prodotta nella fase amministrativa, in risposta ad uno dei questionari che gli era stato inviato, in quanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, riconduce l’inutilizzabilità al rifiuto di produzione, che sia stato preceduto da una specifica richiesta dell’Amministrazione, corredata dell’avvertimento della sanzione processuale che dalla mancata ottemperanza può derivare. Il giudice a quo avrebbe dunque erroneamente omesso di valutare se ricorressero tali presupposti di fatto, che l’Agenzia era onerata di provare.

Il motivo è fondato Appare opportuno, preliminarmente, dare atto che nessuno dei motivi di ricorso censura puntualmente, univocamente e specificamente, l’accertamento in fatto (come tale censurabile in questa sede di legittimità solo nei ristretti limiti in cui lo consenta il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso di specie non proposto), esplicitato dalla CTR nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il questionario notificato al contribuente il 15 novembre 2011 è “rimasto totalmente disatteso (sul punto non v’e’ contraddittorio)” (pag. 4 ss. della sentenza d’appello) e non sia stata quindi consegnata dal ricorrente all’Ufficio alcuna documentazione a seguito dello stesso atto infra-procedimentale.

Tanto premesso, come questa Corte ha già chiarito, “In tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 5, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, essendo necessario che l’Ufficio fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare – ai sensi degli artt. 6 e 10 st.contr. – l’azione dell’ufficio.” (Cass. 24/11/2020, n. 266461).

Nello stesso senso, si è precisato che “In tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in materia di imposte dirette, ovvero del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in materia di IVA, da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica citato D.P.R. n. 600, ex art. 33, quanto all’imposizione reddituale ed citato D.P.R. n. 633, ex art. 52, quanto all’IVA, poiché – ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova e’, comunque, onerato; nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 16757 del 14/06/2021).

Nel caso di specie, che dalla sentenza impugnata è inquadrato nella fattispecie della richiesta al contribuente di documenti mediante questionario, in ordine ai predetti presupposti di fatto (richiesta specifica ed avvertimento delle conseguenze dell’inottemperanza), la CTR non ha dato atto di aver compiuto accertamenti, limitandosi ad un’astratta enunciazione del principio dell’inutilizzabilità, che neppure specificamente contempla i requisiti a monte della relativa sanzione processuale.

All’accoglimento del motivo segue pertanto la cassazione della sentenza ‘impugnata, con rinvio al giudice del merito per i relativi accertamenti. 3. Con il terzo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per la mera apparenza della sua motivazione.

Il motivo è infondato.

Infatti “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; conforme, ex multis, Cass. 12/10/2017, n. 23940). Nel caso di specie non ricorre alcuna delle predette fattispecie patologiche, essendo la motivazione solo errata in diritto, per le ragioni di cui al secondo motivo, e di conseguenza mancante nell’accertamento dei predetti presupposti in fatto dell’inutilizzabilità.

PQM

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta i restanti e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Commissione tributaria della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472