Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5743 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30025-2020 proposto da:

C.G., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO ZIBELLINI;

– ricorrente –

contro

T.A.M., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati RICCARDO MICCI, SEVERINO FALLUCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 898/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

che:

Con sentenza del 22 ottobre 2019, la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da T.A.M. ed in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato le domande proposte da C.G. aventi ad oggetto differenze retributive per l’attività svolta quale collaboratrice domestica;

in particolare, la Corte ha ritenuto non univoche e concordanti le prove sull’espletamento di una prestazione lavorativa di circa 45 ore settimanali per nove anni escludendo che la domanda avanzata al riguardo potesse essere accolta;

per la cassazione della sentenza propone ricorso C.G., affidandolo a due motivi;

resiste, con controricorso, T.A.M.;

e’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., relativamente agli elementi di prova offerti a sostegno della domanda ed alla valutazione effettuatane dalla Corte territoriale; con il secondo motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; i due motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili;

relativamente alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (explurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;

nessuna violazione può infatti ipotizzarsi dei canoni che presiedono all’onere della prova avendo la Corte correttamente posto a carico del lavoratore che intenda dimostrare il proprio diritto alle differenze retributive il relativo onere probatorio;

quanto alla denunziata violazione dell’art. 360, comma 1 n. 5, va rilevato che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

in particolare, parte ricorrente deduce essere emersi dall’istruttoria orale elementi che non consentono di qualificarla come colf a ore, elementi che sarebbero stati totalmente trascurati dal giudice di secondo grado;

premesso che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, non sussiste alcun obbligo di pattuizione scritta relativamente al rapporto contrattuale in questione, nel dedurre la ricorrenza di elementi che non consentano di qualificare C. come collaboratrice a ore, la parte mira ad ottenere una rivisitazione del fatto e deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (S.U. n. 14476 del 2021);

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1-bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi giuro 3500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15/0 e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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