Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5766 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33919-2019 proposto da:

S.F., C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LATTANZIO, 5, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE TOMMASO, rappresentati e difesi unitamente dagli avvocati CARLO CARTURAN e FRANCESCO AUTIERI;

– ricorrenti –

contro

B2 KAPITAL SRL, in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO GARGANI;

– controricorrente –

contro

A.M., P.B., L.G., R.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6263/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Latina ingiunse a S.F., C.M. e Su.Au. di pagare la somma di Euro 40.495,01 alla Banca di credito cooperativo di Roma, in qualità di fideiussori della s.r.l. Cooperativa tra produttori di latte.

Avverso il decreto proposero opposizione i suindicati debitori, mentre analoga opposizione fu proposta da altri fideiussori, sostenendo l’illegittimo frazionamento del credito.

Dopo aver riunito i giudizi, il Tribunale rigettò l’opposizione, rilevando che non sussisteva alcuna violazione dell’art. 1956 c.c., e che non vi erano valide ragioni per sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in relazione ad altro giudizio pendente davanti ad un diverso Magistrato dello stesso Tribunale.

2. Avverso la sentenza del Tribunale hanno proposto appello soltanto S.F. e C.M. e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4 ottobre 2018, ha rigettato il gravame ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte di merito che non sussisteva la prospettata violazione dell’art. 1956 c.c., norma non applicabile nella specie per la ragione che quando fu concesso il mutuo alla Cooperativa e fu contestualmente rilasciata la fideiussione, il C. era presidente della società cooperativa, mentre il S. ne era il vicepresidente; entrambi, quindi, erano a conoscenza della situazione economica della società, avendo autorizzato la concessione del credito. La tutela prevista dal citato art. 1956, non poteva quindi operare, tanto più che nel momento in cui fu concesso il mutuo, con contestuale rilascio della fideiussione, “da società già versava in condizioni precarie”; mentre la citata norma “postula che l’aggravamento delle condizioni economiche del debitore si verifichi successivamente all’assunzione dell’obbligo della garanzia fideiussoria”.

Quanto al motivo di appello relativo alla presunta violazione dell’art. 295 c.p.c., la Corte romana ha affermato che, quando pendono cause connesse davanti a magistrati del medesimo ufficio giudiziario, il rimedio non è quello della sospensione, ma quello della rimessione al presidente del tribunale ai sensi dell’art. 274 c.p.c., affinché egli valuti l’opportunità della riunione. Nella specie, la riunione era stata disposta solo per le cause aventi ad oggetto il medesimo decreto ingiuntivo e gli appellanti non avevano prodotto alcuna certificazione della cancelleria che attestasse la pendenza della causa c.d. pregiudicante.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso S.F. e C.M. con unico atto affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la B2 Kapital s.r.l. in qualità di cessionaria del credito.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 1956 c.c., rilevando che le considerazioni della Corte d’appello non potrebbero essere condivise sul punto.

Sostengono i ricorrenti che il presupposto della norma consiste nella conoscenza delle precarie condizioni del terzo garantito, che non devono essere sopravvenute. La sentenza impugnata avrebbe confermato un errore contenuto nella pronuncia di primo grado perché, pur riportando esattamente la data di concessione del mutuo e della fideiussione (25 febbraio 2004), avrebbe errato nell’individuare alla data del 5 aprile 2004 l’accordo di ristrutturazione sottoscritto dalla Cooperativa con tutte le banche. Quell’accordo fu sottoscritto, in effetti, solo il 5 aprile 2007, dopo due anni di trattative presso il Ministero dello sviluppo economico; il che dimostra, secondo i ricorrenti, che le condizioni economiche del debitore principale “si erano notevolmente e ulteriormente aggravate”.

1.1. Il motivo, quando non inammissibile, è privo di fondamento.

La Corte d’appello ha correttamente richiamato, a sostegno della propria decisione, l’orientamento di questa Corte secondo cui nella fideiussione per obbligazione futura, l’onere del creditore, previsto dall’art. 1956 c.c., di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa; tale onere non sussiste allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale, giacché, in tale ipotesi, la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito (sentenza 5 giugno 2001, n. 7587, e ordinanza 23 marzo 2017, n. 7444).

Il motivo in esame non si confronta, in effetti, con tale decisiva argomentazione e insiste su di un profilo che non assume alcuna valenza, e cioè che l’accordo di ristrutturazione del debito della società Cooperativa si sarebbe perfezionato in un momento successivo; senza negare, tra l’altro, che la concessione del mutuo e la garanzia fideiussoria portano la stessa data (v. p. 5 del ricorso), circostanza che è di per sé dirimente.

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., ribadendo la necessità della sospensione.

Osservano i ricorrenti che risultava dagli atti, già nel giudizio di primo grado, che gli odierni ricorrenti avevano promosso un giudizio per ottenere la declaratoria di inefficacia delle garanzie prestate in favore di tutte le banche intervenute all’accordo del 5 aprile 2007. Di tale causa erano stati forniti gli elementi di identificazione, per cui, non essendo la medesima ancora definita con passata in giudicato, la sospensione avrebbe dovuto essere disposta, allo scopo di evitare il conflitto tra giudicati.

2.1. Il motivo, quando non inammissibile, è privo di fondamento.

La doglianza, infatti, si richiama ad un giudizio che, asseritamente, aveva ad oggetto la declaratoria di inefficacia delle garanzie prestate in favore di tutte le banche intervenute all’accordo del 5 aprile 2007; ma non si confronta con la ratio decidendi della Corte d’appello, la quale ha rilevato che la sospensione era stata disposta parzialmente e che in quella sede non risultava la pendenza della causa pregiudicante. La censura odierna, oltre ad essere vaga e generica, non specifica quale sia stato l’esito del giudizio pregiudicante (limitandosi a dire che la causa è stata definita in primo grado) e neppure dimostra che l’attestazione della pendenza sia stata effettivamente prodotta davanti alla Corte d’appello, per cui la prospettata violazione di legge non sussiste.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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