LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14732-2016 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati SGROI ANTONINO, DE ROSE EMANUELE, SCIPLINO ESTER ADA, MARITATO LELIO, D’ALOISIO CARLA, MATANO GIUSEPPE;
– ricorrenti –
contro
SES RETI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 90, presso lo studio dell’avvocato QUATTROCCHI ANDREA, rappresentata e difesa dagli avvocati VALENTINI MAURIZIO, SPANO SALVATORE;
– controricorrente –
e contro
GRANDI S.R.L., EQUITALIA SUD S.P.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1550/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 08/06/2015 R.G.N. 26/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata l’8.6.2015, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato prescritta l’azione proposta dall’INPS per il recupero degli sgravi contributivi indebitamente fruiti da SES Reti s.p.a. in relazione alla stipula di contratti di formazione e lavoro conclusi con suoi dipendenti;
che avverso tate pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura;
che SES Reti s.p.a. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria;
che Grandi s.r.l., già chiamata in prime cure ex art. 106 c.p.c., e la società concessionaria dei servizi di riscossione sono rimaste intimate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto che, avendo l’INPS appellato la sentenza di primo grado sostenendo l’imprescrittibilità della pretesa recuperatoria ovvero un diverso dies a quo della prescrizione quinquennale rilevata dal primo giudice, non si poteva pronunciare sulla sussistenza della prescrizione decennale dei contributi medesimi, per come nel frattempo ritenuto da Cass. n. 6671 del 2012, espressamente invocata dall’Istituto nel corso della discussione orale;
che, con il secondo motivo, si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale pronunciato sul motivo di appello concernente la diversa decorrenza del termine quinquennale di prescrizione;
che, con il terzo e il quarto motivo, si deduce violazione degli artt. 87 e 88 Tr. CE, e 14, Regolamento CE n. 659/99, nonché degli artt. 2943,2945 e 2946 c.c., e L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per non avere la Corte di merito ritenuto che il termine prescrizionale fosse decennale e comunque per avere erroneamente individuato il dies a quo del termine prescrizionale quinquennale;
che, con riguardo al primo motivo, va premesso che, allorquando la parte abbia tempestivamente eccepito la prescrizione, così manifestando la propria volontà di avvalersi dell’effetto estintivo del trascorrere del tempo, al giudice è rimessa tanto l’identificazione della norma di diritto sulla durata della prescrizione, con riferimento alla fattispecie sostanziale, quanto la qualificazione giuridica di quest’ultima (così Cass. nn. 3126 del 2003, 16573 del 2004, e, più recentemente, Cass. n. 3903 del 2010), restando conseguentemente escluso che incorra in alcuna preclusione ex artt. 416 o 437 c.p.c. la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale invochi nel corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa (così, specialmente, Cass. nn. 21752 del 2010, 1064 del 2014);
che è stato parimenti chiarito che, quando la domanda è rigettata in primo grado in applicazione del termine di prescrizione correlato alla sua qualificazione giuridica, ove il giudice d’appello proceda d’ufficio ad una diversa qualificazione della stessa, alla quale è riferibile un differente termine prescrizionale, non opera il giudicato interno sul termine di prescrizione individuato dal primo giudice in correlazione alla qualificazione originaria della domanda (Cass. n. 3539 del 2017);
che risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che il primo giudice ha applicato il termine prescrizionale quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, previa implicita qualificazione della domanda giudiziale in termini di azione recuperatoria di contributi non pagati;
che risulta parimenti dalla sentenza impugnata che i giudici territoriali, pur ritenendo infondato l’appello dell’INPS (“perché incentrato sull’inesistenza di un termine di prescrizione o, in subordine, sulla decorrenza dell’eventuale termine (…) quinquennale (…) dall’irrevocabilità della decisione CGUE 7.3.2002”: così la sentenza impugnata, pag. 7), hanno tuttavia condiviso il principio affermato da Cass. n. 6671 del 2012, secondo cui l’azione volta al recupero di aiuti di Stato non può confondersi con quella volta al recupero dei contributi previdenziali, costituendo gli aiuti di Stato categoria giuridica dotata di propria autonomia (ibid., pagg. 6-7, dove si legge trattarsi di “affermazioni di principio ormai consolidate”);
che risulta pertanto evidente l’errore commesso dalla sentenza impugnata, dal momento che, una volta qualificata diversamente la domanda giudiziale e fermo restando, in sede di gravame, l’intento dell’INPS di contestare l’efficacia estintiva del decorso del tempo, non vi era alcun giudicato interno che potesse precludere la riqualificazione officiosa della prescrizione quinquennale in termini di prescrizione decennale, individuandone il corretto termine di decorrenza; che, pertanto, assorbiti gli ulteriori motivi, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022
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