Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5925 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31157-2020 proposto da:

F.R., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO DE LIGUORI;

– ricorrente –

contro

V.C. DOTT. domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO SCHETTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3084/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

che:

– con sentenza in data 13 ottobre 2020, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto le spese legali dovute da parte ricorrente, liquidate a suo avviso in misura eccessivamente onerosa, confermando nel resto la decisione di rigetto della domanda avanzata da Rita F. nei confronti di V.C., volta ad ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto fra gli stessi intercorso;

– per la cassazione della pronuncia propone ricorso F.R., affidandolo a tre motivi;

– resiste, con controricorso, V.C..

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 2094 e 2967 c.c., (rectius art. 2697 c.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; insufficienza e contraddittorietà della motivazione;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione all’art. 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo;

– con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 360 c.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 91 c.p.c.;

– il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico sistematiche, sono inammissibili;

– le cesure, invero, oltre ad essere inammissibilmente formulate in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti, non evidenziando in alcun modo un difetto di sussunzione nell’ambito dell’art. 2094 c.c., ma, piuttosto, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali, mediante un pervasivo rinvio a deposizioni testimoniali e documenti;

– quanto alla lamentata lesione dell’art. 2697 c.c., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;

– con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va rilevato che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

– anche il terzo motivo è inammissibile;

– quanto, infatti, alla lamentata violazione delle previsioni in tema di tariffe legali, va senza dubbio confermato che il valore della controversia deve essere determinato in base al decisum (Cass. Sez. Un. 11/9/2007, n. 19014) ma, nella specie, inconferente appare la deduzione di parte ricorrente rispetto a quanto statuito in appello, e, d’altra parte, nell’ambiguità del motivo, lo stesso sembra configurarsi come conseguente all’accoglimento delle prime due censure che, invece, è già stata ritenuta inammissibile;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, e si distraggono in favore del procuratore antistatario che ha reso la dichiarazione ex art. 93 c.p.c.;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1-bis, art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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