LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4708/2021 R.G. proposto da:
CHECK UP S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. Antonio Borsellino, rappresentata e difesa dall’Avv. Raffaele Carrano, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE *****, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Emma Tortora e Valerio Casilli, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di ***** n. 865/20, depositata il 3 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2021.
RILEVATO
che la Check Up S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 3 luglio 2020, con cui la Corte d’appello di Salerno ha rigettato il gravame da essa interposto avverso la sentenza emessa il 29 luglio 2014 dal Tribunale di Salerno, che aveva accolto l’opposizione proposta dall’Azienda Sanitaria Locale ***** contro il decreto ingiuntivo n. 886/07, emesso il 21 marzo 2007, con cui era stato intimato all’Asl il pagamento della somma di Euro 4.281,55, oltre interessi, a titolo di corrispettivo per le prestazioni sanitarie rese nel mese di dicembre 2006 in regime di accreditamento;
che l’Asl ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quinquies e dell’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver subordinato il pagamento del corrispettivo all’esistenza di un contratto con l’Asl, senza tener conto della struttura del rapporto di accreditamento, caratterizzata da un provvedimento autoritativo di tipo concessorio, avente efficacia costitutiva, e da un atto contrattuale, avente esclusivamente la funzione di stabilire i limiti in cui l’erogazione delle prestazioni sanitarie può essere posta a carico dell’ente pubblico;
che, ad avviso della ricorrente, l’insussistenza del contratto e del limite di spesa costituisce un fatto impeditivo della pretesa di pagamento, che deve essere tempestivamente eccepita dall’Asl, e la cui operatività è comunque subordinata all’individuazione della regressione tariffaria unica applicabile, a consuntivo e su base annua, a ciascuna struttura erogatrice in relazione alle singole branche di attività;
che nella specie l’Asl ha omesso di provvedere agli adempimenti previsti dalle delibere della Giunta regionale della Campania n. 800 del 16 giugno 2006 e n. 517 del 30 marzo 2007 ai fini della determinazione dei tetti di spesa e del volume delle prestazioni sanitarie erogabili per l’anno 2006, nonché di fornire la prova della partecipazione di essa ricorrente all’individuazione della regressione tariffaria e d’indicare il numero delle prestazioni erogate in eccesso;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., censurando la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della sentenza n. 1830/15, passata in giudicato, con cui, relativamente a prestazioni rese nell’anno 2006, la medesima Corte d’appello aveva ritenuto pacifiche l’esistenza dell’accreditamento e l’erogazione delle prestazioni, riconoscendo altresì l’efficacia impeditiva del superamento del tetto di spesa;
che, secondo la ricorrente, l’efficacia di giudicato della predetta sentenza era stata già riconosciuta, relativamente a prestazioni rese in anni diversi, dalle sentenze n. 1445/18 e 1749/19, che avevano altresì confermato la portata impeditiva del superamento del detto di spesa;
che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati;
che, nell’escludere il diritto della ricorrente al pagamento delle prestazioni sanitarie rese in favore degli assistiti, a causa della mancata dimostrazione dell’intervenuto accreditamento da parte della Regione e della stipulazione del contratto con l’Asl, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, poi integrato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, nel prevedere la necessità di un provvedimento con-cessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio, comporta che non può essere posto a carico del Servizio sanitario alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi in ogni caso escludere, ai sensi del D.Lgs. n. 502 cit., art. 8-quinquies, che possano ritenersi validamente conclusi accordi contrattuali per facta concludentia, atteso che, ai sensi degli artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, tutti i contratti con la Pubblica Amministrazione devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (cfr. Cass., Sez. III, 11/03/2020, n. 7019; Cass., Sez. VI, 3/06/2014, n. 12392; Cass., Sez. I, 6/08/2014, n. 17711);
che, anche a voler condividere la tesi sostenuta dalla ricorrente, che assegna all’accordo contrattuale la funzione di regolare gli aspetti patrimoniali del rapporto tra la struttura erogatrice delle prestazioni ed il Servizio sanitario, riservando all’accreditamento la costituzione del rapporto, deve ugualmente escludersi la possibilità di ravvisare esclusivamente nell’accreditamento il fatto costitutivo della pretesa al pagamento del corrispettivo, configurando la stipulazione dell’accordo come un fatto meramente impeditivo;
che il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quater, nel disciplinare l’accreditamento istituzionale, attribuisce allo stesso la funzione di accertare, nei confronti delle strutture pubbliche e private già autorizzate ad erogare prestazioni sanitarie, la rispondenza delle stesse ai requisiti ulteriori di qualificazione, la loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale, l’attività svolta dalle stesse ed i risultati raggiunti, sulla base dei criteri individuati dalla Regione in relazione al fabbisogno di assistenza previsto dal Piano sanitario regionale (comma 1), precisando espressamente che “la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies” (comma 2);
che la necessità degli accordi contrattuali, ai fini dell’insorgenza del diritto al pagamento del corrispettivo, è ribadita dal D.Lgs. n. 502 cit., art. 8-quinquies, il quale, nel demandare alle regioni la definizione del relativo ambito di applicazione, subordina alla stipulazione dei medesimi la stessa operatività dell’accreditamento, disponendo, al comma 2-quinquies, che “in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso”;
che non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur riconoscendo che l’accreditamento costituisce l’indispensabile provvedimento amministrativo, avente natura di concessione, con il quale la struttura privata viene abilitata ad inserirsi nel Servizio sanitario, l’ha ritenuto di per sé insufficiente a ricondurre le prestazioni sanitarie sotto la copertura finanziaria pubblica, ed ha pertanto rigettato la domanda, rilevando che non era stata fornita la prova dell’instaurazione di singoli specifici rapporti contrattuali con l’asl, aventi ad oggetto, tra l’altro, la determinazione del volume massimo delle prestazioni che la struttura s’impegnava ad erogare, i requisiti del servizio da rendere ed il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate;
che, sotto il profilo processuale, la stipulazione del contratto si configura infatti come fatto costitutivo del diritto al pagamento del corrispettivo delle prestazioni rese in favore degli assistiti, la cui prova, posta a carico della struttura erogatrice, deve ritenersi indispensabile per l’accoglimento della relativa domanda, risultando insufficiente, a tal fine, quella dell’accreditamento, e non assumendo alcun rilievo, in assenza della stessa, la mancata dimostrazione da parte dell’asl dell’avvenuto superamento dei limiti di spesa, il quale, configurandosi come fatto impeditivo della pretesa azionata (cfr. Cass., Sez. VI, 16/04/2021, n. 10182; Cass., Sez. I, 21/03/2021, n. 5661), viene in considerazione, ai fini del rigetto della domanda, soltanto una volta che sia stata fornita la prova del fatto costitutivo;
che l’insufficienza dell’accreditamento a far sorgere da solo il diritto al pagamento del corrispettivo, facendo apparire ininfluente, ai fini dell’accoglimento della domanda, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la ricorrente aveva omesso di fornire la relativa prova, comporta l’assorbimento del secondo motivo, secondo cui la predetta affermazione si porrebbe in contrasto con il giudicato esterno formatosi per effetto della mancata impugnazione di sentenze riguardanti il pagamento del corrispettivo dovuto per altre prestazioni rese nell’ambito del medesimo rapporto;
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della con-troricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022