Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.6224 del 24/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29183-2018 proposto da:

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– ricorrente –

contro

R.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GEROLAMO BELLONI 88, presso lo studio dell’avvocato DANIELA DAL BO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EZIO BALDARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 846/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/04/2018 R.G.N. 824/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/01/2022 dal Consigliere Dott.ssa PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di R.T. e, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che tra la predetta e la RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a. (d’ora in avanti, RAI) è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dall’1.9.2011 ed ha condannato la società a riammettere in servizio la ricorrente, riconoscendole le mansioni corrispondenti al 6 livello del c.c.n.l. RAI, e a risarcirle il danno pari alle mensilità di retribuzione maturate dalla data di messa in mora (5.11.2012), oltre accessori di legge.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che le prove raccolte (documentali -numerose mail inviate alla R. da B.R. e Ra.Al. – e testimoniali -teste T.) dimostrassero il carattere subordinato del rapporto di lavoro svolto tra le parti e formalmente disciplinato da contratti di lavoro autonomo. Ha escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame, di qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato, della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

3. Avverso tale sentenza la RAI ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. R.T. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2697 c.c., e degli artt. 115,116,421 c.p.c., per non avere la sentenza d’appello dato conto delle ragioni per cui abbia ritenuto dimostrata, in base alle risultanze istruttorie, la soggezione della lavoratrice al potere direttivo ed organizzativo di parte datoriale e per avere riconosciuto la natura subordinata del rapporto nonostante l’assenza di elementi probatori a supporto.

5. Il motivo non può trovare accoglimento. Esso è formulato sul presupposto che il materiale probatorio raccolto abbia dimostrato l’assenza di ordini e direttive specifiche sul modo, tempo e luogo della prestazione, nonché la mancanza, in capo alla lavoratrice, dell’obbligo di osservare un orario determinato e di avvisare in caso di assenza. Una simile prospettazione si colloca all’esterno del perimetro del vizio di violazione di legge, che presuppone una ricostruzione in fatto incontestata, mentre nel caso in esame è proprio la ricostruzione fattuale a costituire il fulcro delle critiche mosse, e non l’interpretazione ed applicazione delle disposizioni in diritto richiamate (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016) e, quanto all’art. 2094 c.c., la violazione dei parametri normativi del lavoro subordinato (v. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).

6. Non è configurabile un vizio di motivazione, atteso che la sentenza impugnata dà ampiamente conto, attraverso dettagliati riferimenti alle prove documentali e testimoniali raccolte, degli indici sintomatici della subordinazione che hanno caratterizzato il rapporto di lavoro tra le parti e del carattere univoco degli stessi, in tal modo soddisfacendo ampiamente il requisito del minimo costituzionale come delineato dalle Sezioni Unite di questa Coste (v. sentenza n. 8053 del 2014).

7. Neppure è fondata la censura di violazione delle norme Data pubblicazione 24/02/2022 disciplinanti il regime probatorio, atteso che attraverso il riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 2697 c.c. (v. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), non è dedotto altro che un errore di valutazione del materiale probatorio, non suscettibile di esame in questa sede di legittimità.

8. Con il secondo motivo si addebita alla sentenza la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, sul rilievo che tale previsione, relativa alla forfettizzazione del danno, debba essere applicata anche ai casi di qualificazione del rapporto di lavoro autonomo come subordinato.

9. La censura è infondata per le ragioni già espresse da questa Corte, con orientamento assolutamente prevalente, e che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità. Si è al riguardo affermato che “Il regime indennitario istituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, non si applica all’ipotesi di conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo”, ciò sul rilievo che la disciplina dettata dalla citata L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, riguarda “i contratti a termine e le altre tipologie contrattuali previste dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo, non potendo neppure invocarsi la disciplina di cui al citato comma 4, lett. d)” (v. Cass. n. 29006 del 2020; v. anche Cass. n. 20209 del 2016). Di analogo tenore la sentenza Cass. n. 11424 del 2021 (non massimata) che ha ribadito l’estraneità, alla disciplina dell’indennità risarcitoria citata L. n. 183 del 2010, ex art. 32 cit., della “fattispecie di un rapporto di lavoro autonomo accertato giudizialmente ab origine come di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato dietro lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma”. Si è inoltre sottolineato (v. Cass. n. 35675 del 2021 non massimata) come tale interpretazione sia la sola coerente col testo dell’art. 32, comma 5 cit., che disciplina le conseguenze risarcitorie “nei casi di Data pubblicazione 24/02/2022 conversione del contratto a tempo determinato”, dovendo considerarsi la “conversione” comprensiva degli effetti operanti sul piano oggettivo -conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato- e sul piano soggettivo -rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore e non più del somministratore- (in tal senso, per tutte, v. Cass. n. 17540 del 2014), all’interno della medesima qualificazione, come subordinato, del rapporto di lavoro. Con la conseguenza che risulta estranea al fenomeno di conversione la fattispecie oggetto di causa, in cui si è operata giudizialmente una diversa qualificazione del rapporto di lavoro ab origine, da autonomo a subordinato a tempo indeterminato.

10. Le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso.

11. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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