Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.7187 del 04/03/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SAJIA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso N. 23553/2019 R.G. proposto da:

EUSIDER s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, V.R., domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Cristina Scaccabarozzi, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente in via principale ed incidentale –

contro

FALLIMENTO ***** s.p.a. in liquidazione, in persona del curatore fallimentare Dott. D.T.G., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Troiano, come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

S.N., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola Piscopo, come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 970/2019 della CORTE D’APPELLO dell’AQUILA, depositata il 5.6.2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4.11.2021 dal Consigliere relatore Dott. Salvatore Saija;

viste le conclusioni scritte rassegnate dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia Giovanni Battista.

FATTI DI CAUSA

***** s.p.a. e S.N. – la prima quale debitrice principale in forza di due pagherò cambiari, il secondo quale avallante – proposero opposizione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Lanciano avverso due atti di precetto loro notificati su istanza di Eusider s.p.a. in data 25/27.1.2011, per l’importo rispettivo di Euro 189.375,00 e di Euro 187.500,00, e quindi per complessivi Euro 376.875,00, contestando il diritto dell’intimante di procedere ad esecuzione forzata. In particolare, eccepirono l’inadempimento di Eusider in relazione al rapporto causale sottostante – avente ad oggetto la fornitura di bobine d’acciaio – per aver consegnato metallo di qualità S2353R, anziché S2753R, come invece pattuito; chiesero quindi dichiararsi la risoluzione dei contratti e la restituzione dei titoli cambiari. Il Tribunale di Lanciano – proseguito frattanto il giudizio nei confronti della curatela, dopo l’interruzione disposta a seguito del fallimento di ***** s.p.a. in liq. – rigettò l’opposizione con sentenza n. 298 del 1.10.2014, ma la Corte d’appello dell’Aquila, riuniti i gravami contro la medesima sentenza proposti dalla stessa curatela e da S.N., li accolse parzialmente, riqualificando i rapporti tra le parti come contratto di somministrazione, anziché di vendita, accertando la gravità dell’inadempimento di Eusider, dichiarando quindi risolti i contratti nn. ***** e ***** del *****, ed infine condannando la stessa Eusider alla restituzione delle cambiali poste a fondamento dei precetti opposti.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Eusider s.p.a., sulla base di sei motivi, cui resistono con autonomi controricorsi S.N. e il Fallimento ***** s.p.a. in liq.; la curatela aveva frattanto proposto autonomo ricorso, successivo a quello di Eusider s.p.a., affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso la predetta società, proponendo anche ricorso incidentale condizionato, sulla base di un solo motivo. Sia Eusider s.p.a., che la curatela, hanno depositato memoria. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE.

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1559 e 1470 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente si duole della riqualificazione del rapporto contrattuale tra le parti, come operata dalla Corte d’appello, che ha ritenuto sussistere un unico contratto di somministrazione, anziché – anche in coerenza con le allegazioni di parte opponente – una pluralità di contratti di vendita, eventualmente ad esecuzione frazionata e/o a consegne ripartite. Si tratta di errore determinante perché, secondo la ricorrente, la Corte d’appello ha poi valutato l’inadempimento non già in relazione ai due contratti nn. ***** e ***** nella loro interezza, bensì alle sole due consegne del 14.9.2010 e del 22.9.2010, così contravvenendo all’insegnamento di legittimità, dettato in tema di vendite a consegne ripartite, secondo cui “ai fini della risoluzione del contratto, l’inadempimento di singole prestazioni deve essere valutato con riferimento al contenuto economico del contratto nella sua unitarietà complessiva” (Cass. n. 4676/1978).

1.2 – Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e 1476 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente lamenta l’erronea valutazione del contenuto di una missiva spedita da essa Eusider il 27.10.2010, cui la Corte ha attribuito valenza confessoria circa il proprio inadempimento, travisandone però completamente il contenuto, perché letta fuori contesto ed in modo logicamente insostenibile, rispetto alla corrispondenza complessiva intrattenuta dalle parti.

1.3 – Con il terzo motivo, proposto in subordine, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente si duole dell’omesso esame, da parte del giudice d’appello, della circostanza che le bobine d’acciaio risultate non conformi alla qualità S2753R, citate nella detta missiva del 27.10.2010, giacevano presso il porto di Vasto in attesa di essere consegnate alla ***** ed erano state accantonate a seguito delle prove effettuate in prevenzione, sicché non erano mai state consegnate alla stessa *****.

1.4 – Con il quarto motivox si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1497 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Si censura la decisione impugnata nella parte in cui s’e’ ritenuta sussistere la gravità dell’inadempimento, il vizio investendo, al più, l’1% dell’intera fornitura (una sola bobina, la n. *****), vizio peraltro accettato dalla stessa *****, che aveva non solo trattenuto la bobina, ma l’aveva addirittura lavorata e aveva proseguito nel rapporto, così dimostrando di tollerare il vizio stesso.

1.5 – Con il quinto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la Corte d’appello ha ritenuto assolto l’onere della prova in capo al debitore cambiario circa l’eccezione di inadempimento, senza però nulla rilevare in relazione alla consegna del 22.9.2010, afferente al contratto n. *****.

1.6 – Infine, con il sesto motivo – in subordine rispetto ai motivi dal secondo al quinto – si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente si duole dell’omesso esame, da parte del giudice d’appello, della circostanza che *****, pur a conoscenza della difformità di parte del materiale rispetto a quanto pattuito, consegnò al proprio cliente finale Pavimentai circa il 60% del materiale relativo alla fornitura del 14.9.2010 e tutto il materiale della fornitura del 22.9.2010, donde l’inammissibilità della domanda di risoluzione, giacché avrebbe al più potuto chiedersi la riduzione del prezzo.

RICORSO INCIDENTALE.

1.7 – Con il primo motivo, la curatela denuncia violazione dell’art. 111 Cost., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché degli artt. 1494 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e ancora dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché la Corte d’appello – dopo aver accertato l’inadempimento di Eusider e aver dichiarato la risoluzione dei contratti, nonché la verosimile ascrivibilità della cessazione dei rapporti tra la ***** in bonis e la committente Pavimental s.p.a. proprio a detto inadempimento – ha rigettato la domanda risarcitoria, formulata anche in via equitativa e per danno d’immagine; e ciò per difetto di prova, senza considerare che in primo grado la ***** aveva formulato pertinenti capitoli di prova testimoniale al riguardo, tuttavia ritenuti inammissibili dal Tribunale.

1.8 – Con il secondo motivo, la curatela denuncia violazione dell’art. 111 Cost., art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 5, e ancora dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la Corte d’appello ammesso i capitoli di prova orale inerenti al quantum del chiesto risarcimento, dichiarati inammissibili in primo grado e riproposti nel motivo A) dell’atto d’appello, trattandosi di prove decisive, così omettendo qualsiasi motivazione al riguardo.

1.9 – Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché omessa motivazione, avuto riguardo alla liquidazione degli onorari di entrambi i gradi di merito, giacché, per effetto dell’accoglimento dei precedenti mezzi, Eusider deve considerarsi totalmente soccombente avuto riguardo al valore della causa, pari ad Euro 4.062.500,00.

1.10 – Con il quarto motivo del ricorso incidentale, infine, si denuncia violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.M. n. 55 del 2014, art. 4 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, art. 1 giacché, per effetto del reinserimento nell’ordinamento del principio di inderogabilità dei minimi tariffari, la sentenza d’appello deve essere in ogni caso riformata, stante il fatto che essa, in proposito, si discosta dai minimi stessi.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO.

1.11 – Con l’unico motivo, Eusider s.p.a., per il caso di accoglimento dei primi due motivi del ricorso della curatela, denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché nullità della sentenza per motivazione apparente, avuto riguardo all’accertata riconducibilità causale all’inadempimento di essa Eusider rispetto alla cessazione dei rapporti commerciali tra la ***** in bonis e Pavimental s.p.a.

2.1 – Va anzitutto rilevato che il ricorso del Fallimento ***** s.p.a. è stato proposto principaliter a mezzo PEC spedita e ricevuta il 2.8.2019, quindi successivamente alla proposizione del ricorso da parte di Eusider s.p.a., avvenuta sempre via PEC, ma il giorno precedente.

Ora, quanto a quest’ultima, deve rilevarsi che – a fronte di una dichiarata avvenuta notifica della sentenza – l’impugnazione è da considerare senz’altro tempestiva, essendo stata notificata entro i sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza d’appello, e quindi, in ogni caso, nel rispetto del termine breve (sì veda ex multis, da ultimo, Cass. n. 15832/2021).

L’impugnazione della curatela, invece, benché proposta con autonomo ricorso, va qualificata come incidentale, per il principio di unicità dell’impugnazione; nessun dubbio può porsi, poi, circa la sua ammissibilità, essendo stata notificata appena il giorno successivo a quella dell’impugnazione principale e, quindi, entro il “termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (…) di impugnazione in astratto operativi” (Cass. n. 5695/2015; conf., da ultimo, Cass. n. 27680/2021).

2.2 – Ciò posto, prima di esaminare compiutamente i motivi d’impugnazione, pare opportuno riepilogare gli snodi essenziali della decisione d’appello, per quanto ancora qui interessa.

La Corte aquilana, anzitutto, muove dall’assunto che Eusider non abbia mai contestato che i rapporti commerciali inter partes siano precedenti agli ordinativi di acciaio di cui ai contratti nn. ***** e ***** del *****, le cui consegne avvennero parzialmente nelle date del 14 e del 22.9.2010, avendo anche riconosciuto che la prima fornitura risale addirittura al giugno del 2009. Sulla base di tali considerazioni, in forza del contenuto di una e-mail del 15.4.2010 proveniente da Eusider e delle risposte dell’ufficio acquisti della ***** (in cui vengono ricontrattati i prezzi delle forniture e fissati importi diversi a seconda delle quotazioni a certa data), nonché della mancanza di ulteriori elementi probatori sia storici che documentali, il giudice d’appello ha ritenuto di dover qualificare il rapporto non già come vendita di bobine di acciaio, bensì come somministrazione (così ritenendo che ciascuna consegna abbia caratteri distinti ed autonomi rispetto alle altre), richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui “Il contratto di somministrazione si distingue dalla vendita a consegne ripartite perché, nel primo caso,la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (ove non sia stata determinata l’entità della somministrazione), sì che ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle altre, mentre la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla unicità della prestazione, rispetto alla quale la ripartizione delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto” (Cass. n. 7380/1991).

Su tali premesse – a dire della Corte aquilana confermate dall’impostazione processuale sia degli opponenti (che avevano chiesto la risoluzione dei soli contratti nn. ***** e ***** del *****) sia dell’opposta (che ha sempre eccepito la non inerenza della contestazione alle bobine *****, perché consegnate il 17.5.2010, e quindi prima della conclusione dei detti contratti) – si è pertanto ritenuto di poter valutare l’eccezione di inadempimento del rapporto causale, sottostante agli effetti cambiari, limitatamente al materiale fornito in esecuzione dei soli contratti nn. ***** e *****. Si è poi rilevato che Eusider non solo aveva riconosciuto, con e-mail del 21.9.2010, la non conformità dell’acciaio di cui alla bobina ***** (rientrante tra quelle di cui alle predette forniture, con conseguente rilevanza del documento ai fini della tempestività della denuncia dei vizi ex art. 1495 c.c.), ma con successiva e-mail del 27.10.2010 aveva anche riconosciuto la non conformità dell’acciaio di cinque su sei bobine (di cui ai nn. *****), consegnate alla ***** il 14.9.2010. Pertanto, accertata la non rispondenza di parte dell’acciaio consegnato alla ***** (per appartenere alla categoria 52353R, anziché a quella pattuita, S2753R), la Corte aquilana ha ritenuto assolto l’onere della prova da parte dei debitori cambiari, in relazione al rapporto sottostante; tenuto altresì conto dell’affermazione di Eusider secondo cui detta difformità comporterebbe un inadempimento non grave, riguardando “solo il 50% della fornitura”, la Corte ha invece ritenuto la gravità dell’inadempimento, configurandosi al riguardo vero e proprio aliud pro alio, non accertabile dalla ***** se non con la prova di trazione di cui alla vigente norma UNI EN SO, donde l’insostenibilità della tesi secondo cui la ulteriore lavorazione del metallo da parte della stessa ***** poteva equivalere ad accettazione della fornitura (o tolleranza della discrasia sulla qualità dell’acciaio). Quale ulteriore conseguenza, la Corte ha dichiarato la risoluzione dei contratti nn. ***** e ***** ai sensi dell’art. 1453 c.c., e ordinato la restituzione degli effetti cambiari azionati in via esecutiva. Infine, il giudice d’appello ha rigettato la domanda risarcitoria della curatela, per difetto di prova.

3.1 – Ciò posto, va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo del ricorso Eusider, sollevata dalla curatela nel controricorso notificato il 2.9.2019. Il mezzo, infatti, risponde pienamente ai dettami di contenuto-forma prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, sotto ogni profilo.

Anzitutto, quanto alla consistenza dell’esposizione (quand’anche cumulata con quella sulle vicende processuali, che la precedono), essa non risulta affatto sovrabbondante o anche solo eccessiva (8 pagine) rispetto alla complessità del rapporto contrattuale (di cui dà atto la stessa sentenza appellata), giacché la funzione del requisito di cui al n. 3 della citata disposizione codicistica consiste nel consentire alla Corte di cassazione di “percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, quindi, acquisire l’indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo, in modo da poter procedere alla lettura dei motivi di ricorso in maniera da comprenderne il senso” (così, esattamente, Cass. n. 593/2013, in motivazione).

D’altra parte, la stessa lettura del mezzo, al netto della detta complessità, testimonia la piena congruenza dell’esposizione con il requisito di specificità della censura, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, noto essendo che esso “richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia” (ex multis, Cass. n. 17224/2020; nello stesso senso, Cass. n. 18998/2021). Sotto altro profilo, la circostanza che il motivo sia fondato sul contenuto di uno o più documenti non implica necessariamente la valenza meramente “fattuale” delle censure, come pure pretenderebbe la curatela, giacché – ove ciò rispondesse ineluttabilmente al vero – la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a mente del quale il ricorso per cassazione deve tra l’altro contenere, a pena d’inammissibilità, “la specifica indicazione.. dei documenti… sui quali esso si fonda”) resterebbe priva di ogni senso logico. Al contrario, il contenuto dei documenti su cui le doglianze sono fondate – documenti di cui, peraltro, è stata correttamente indicata l’epoca di produzione in giudizio, la collocazione processuale e il contenuto, talvolta riportato testualmente nella parte d’interesse, ai fini del requisito dell’autosufficienza (v. Cass. n. 28284/2020) – è indispensabile alla disamina delle censure articolate col motivo in parola, essendosi dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1559 e 1470 c.c., disposizioni che descrivono, rispettivamente, il contratto di somministrazione e quello di compravendita, di cui la Corte d’appello, in tesi, avrebbe fatto malgoverno.

In proposito, la curatela eccepisce un’ulteriore ragione di inammissibilità, stante la pretesa insindacabilità dell’accertamento di merito operato dal giudice d’appello, laddove si è ritenuto di qualificare il rapporto contrattuale tra le parti come somministrazione e non già come compravendita, così ribaltando l’opinamento del Tribunale.

Ora, come anche di recente è stato condivisibilmente osservato, “Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità” (Cass. n. 640/2019).

Queste essendo le caratteristiche della tipologia di vizio denunciato dalla ricorrente principale, qui in discussione, ritiene la Corte come esso sia stato correttamente proposto, perché rispettoso dei limiti entro cui l’accertamento in discorso può essere censurato in sede di legittimità. Il nucleo centrale del motivo proposto da Eusider, infatti, non concerne la fattispecie concreta oggetto di ricognizione da parte del giudice d’appello, che resta indiscussa (e sostanzialmente pacifica) nei suoi contorni essenziali, ma l’individuazione della norme deputate a disciplinarne gli effetti giuridici, secondo quanto effettivamente voluto dalle parti, assumendosi che – rebus sic stantibus – la disciplina applicabile sia quella della compravendita e non quella della somministrazione, come invece ritenuto dalla Corte d’appello. Si tratta, più nel dettaglio, della denuncia di un vizio c.d. di sussunzione (o di falsa applicazione, appunto) inerente all’art. 1559 c.c., perché non è qui in discussione la ricostruzione in facto, rimessa al tipico apprezzamento del giudice del merito, ma la valutazione “giuridica” della medesima ricostruzione, che secondo la ricorrente andrebbe disciplinata ai sensi dell’art. 1470 c.c. e ss.. D’altra parte, anche di recente la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che “a differenza dell’attività di interpretazione del contratto, che è diretta alla ricerca della comune volontà dei contraenti e integra un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, l’attività di qualificazione giuridica è finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie e, affidandosi al metodo della sussunzione, è suscettibile di verifica in sede di legittimità non solo per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti” (così, Cass. n. 15603/2021; sost. conf., Cass. n. 3115/2021; Cass. n. 9996/2019; Cass. n. 29111/2017). In definitiva, ciò che viene in rilievo rispetto al mezzo in esame è non già la ricerca della comune volontà dei contraenti, bensì l’inquadramento di detta volontà nel corrispondente schema legale, ai fini della qualificazione del tipo contrattuale, donde la piena ammissibilità del mezzo stesso.

3.2 – Il primo motivo è anche fondato.

Invero, in un quadro in cui entrambe le parti avevano sempre specificamente ritenuto trattarsi di vendita di bobine (o coils) d’acciaio della qualità S2753R, la Corte aquilana ha optato per la qualificazione dei rapporti tra le parti come somministrazione, sulla base dei seguenti argomenti: 1) risalenza dei rapporti commerciali tra le parti stesse, iniziati addirittura nell’anno precedente alla conclusione degli ordinativi nn. ***** e *****, ossia nel giugno 2009; 2) e-mail di Eusider del 15.4.2010 e risposta dell’ufficio acquisti della *****, circa la quotazione dei prezzi dell’acciaio in dipendenza delle varie epoche di futura consegna; 3) mancanza di qualsiasi altro elemento probatorio, storico o documentale.

Tale accertamento, tuttavia, è stato effettuato ritraendo da detti argomenti un significato indefettibile, pur a fronte della loro ambiguità o, peggio, della loro neutralità, e dall’altro senza minimamente accertare se gli elementi distintivi di cui al datato, ma sempre attuale, insegnamento di Cass. n. 7380/1991, supra riportato – ossia, la periodicità o continuità delle prestazioni in rapporto al fabbisogno del somministrato quali elementi essenziali del contratto di somministrazione, in alternativa alla unicità di prestazione della vendita, seppur a consegne ripartite nell’esecuzione del rapporto – sussistessero e deponessero per l’uno o per l’altro tipo contrattuale.

Infatti, è anzitutto indubbia la mancanza di un unico testo negoziale (o di un unico accordo altrimenti concluso tra le parti, non essendo richiesta la forma scritta) avente ad oggetto la somministrazione tout court di acciaio, da parte di Eusider, a mera richiesta di ***** (o a date prestabilite) per far fronte al proprio fabbisogno, sulla base di prezzi fissi (o variabili secondo l’epoca di consegna), e ciò a copertura di tutte le consegne di acciaio a far data dalla prima: in altre parole, manca – non avendone mai fatto cenno, da quel che risulta, nessuna delle parti – uno schema di accordo avente la funzione di una sorta di contratto quadro (si richiama tale figura, ovviamente, solo per finalità descrittive), da eseguire compiutamente nel corso del tempo con meri ordinativi di acciaio da parte del presunto somministrato (in relazione al solo quantitativo), e con criteri di fissazione del prezzo predeterminati.

Tale aspetto, che non risulta affatto indagato dalla Corte d’appello, costringe infatti quest’ultima ad incorrere nella palese contraddizione giuridica – oltre che logica – di dover dichiarare la risoluzione di due contratti, ossia quelli del *****, nn. ***** e *****, a fronte dell’appena prima ritenuta unicità del rapporto contrattuale: come dire che, pur sussistendo un unico contratto di somministrazione tra le parti, sia possibile risolvere per inadempimento due meri ordinativi (che, in eventum, sarebbero di per sé privi di autonomia strutturale, trattandosi di mere prestazioni), senza alcuna refluenza sul contratto stesso, il che non è affatto consentito dalla disciplina della somministrazione, occorrendo invece verificare se l’inadempimento della prestazione periodica possa assumere connotati di tale gravità da giustificare, ai sensi dell’art. 1564 c.c., la risoluzione dell’intero contratto tout court.

Si aggiunga che la circostanza dei pregressi rapporti commerciali tra le parti, rispetto ai due ordinativi del giugno 2010 per cui è causa, in nulla può far preferire la soluzione della somministrazione, rispetto alla vendita, sia ove la si consideri in astratto (v. Cass. n. 15189/2011), sia ove la si consideri atomisticamente, sia infine ove la si valuti in ponderazione rispetto agli altri elementi pur esaminati dalla Corte d’appello; vengono però qui in rilievo, a tal ultimo proposito, soltanto la e-mail del 15.4.2010 di Eusider e la presunta risposta dell’ufficio vendite di *****. A parte quanto evidenziato dalla ricorrente circa l’inesistenza agli atti di una effettiva risposta a tale e-mail da parte di ***** (assumendo la ricorrente che quella in calce alla propria e-mail sia stata inviata dalla predetta società due giorni prima; aspetto che il giudice del rinvio avrà cura di meglio verificare), la Corte aquilana attribuisce valenza decisiva, nel senso della somministrazione, a quella che appare come una mera contrattazione ex novo del prezzo per specifiche future forniture di acciaio (benché, di norma, il contratto di somministrazione debba prevedere o la fissazione tout court del prezzo, o almeno i criteri della sua determinazione, sì da escludere la necessità di effettuare, al riguardo, una vera e propria periodica “ricontrattazione”, come invece testualmente ritenuto dallo stesso giudice d’appello), tanto più che il prezzo a tonnellata indicato nella predetta e-mail non corrisponde affatto a quello degli ordinativi nn. ***** e *****, come correttamente evidenziato dalla ricorrente principale. Di nessun ausilio, infine, può essere l’ulteriore argomento utilizzato dalla Corte aquilana (ossia, la pretesa assenza di qualsiasi altro elemento probatorio, storico o documentale), stante la sua già evidenziata neutralità (nel senso della valenza per l’una o per l’altra soluzione si voglia adottare in iure, indifferentemente).

Ebbene, a fronte dell’obiettiva insignificanza di tali elementi, la Corte d’appello non solo ha tratto conclusioni assiomatiche, ma ciò ha fatto pretermettendo del tutto l’accertamento sugli elementi caratterizzanti il raffronto tra i due tipi contrattuali in discorso, come più volte evidenziati, ossia la periodicità o continuità delle prestazioni in rapporto al fabbisogno del somministrato, in alternativa alla unicità di prestazione, seppur a consegne ripartite nell’esecuzione del rapporto, dovendo optarsi per la somministrazione nel primo caso, per la vendita del secondo.

A tale accertamento provvederà, quindi, il giudice del rinvio, trattandosi – contrariamente a quanto pure eccepito dalla curatela – di questione decisiva, perché tra l’altro implicante, all’evidenza, la scelta del regime di valutazione della gravità dell’inadempimento (artt. 1455 o 1564 c.c.), come in parte accennato e come meglio si dirà nella disamina del quarto motivo.

4.1 – Il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente perché afferenti alla medesima questione – a prescindere dalla formale graduazione con cui sono stati proposti – sono rispettivamente inammissibile e infondato.

Essi attengono, da diverse visuali prospettiche, al preteso travisamento del contenuto della missiva del 27.10.2010, valutato dal punto di vista della violazione di norma di diritto, nonché dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, rispettivamente nn. 3 e 5. Il secondo motivo, in particolare, si muove nell’egida di Cass. n. 11892/2016, che propugna la denunciabilità per cassazione della pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., attinente alla valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice, in via indiretta o mediata, ossia in quanto l’erronea valutazione della prova si risolva in una interpretazione logicamente insostenibile, determinando un’errata ricostruzione della fattispecie, che abbia a sua volta determinato una falsa applicazione di norma di diritto, nelle specie individuabili nelle disposizioni di cui agli artt. 2730 e 1476 c.c., avendo erroneamente attribuito il giudice d’appello valenza confessoria alla ripetuta missiva, nonché ritenuto l’inadempimento delle obbligazioni in capo al presunto somministrante; il terzo motivo, invece, prospetta l’omesso esame del fatto decisivo, ossia il fatto che le bobine di cui alla stessa missiva, contrariamente a quanto ritenuto dallo stesso giudice del merito, non fossero mai giunte nella disponibilità della *****.

Ora, non v’e’ dubbio che il preteso errore del giudice circa il contenuto del detto documento non costituisca vizio revocatorio, denunciabile ex art. 395 c.p.c., n. 4, sicché esso è stato correttamente proposto col ricorso per cassazione. Del resto, rispetto all’arresto invocato dalla ricorrente principale, si è nel tempo affermato un più netto orientamento circa la censurabilità dell’erronea valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice del merito, essendosi ritenuto che “una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 1229/2019). Detta impostazione è stata ulteriormente cesellata dalla successiva Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, da cui sono stati tratti due specifici principi: 1) (Rv. 659037-01) “In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”; e 2) (Rv. 659037-02) “In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione”.

Orbene, la Corte – anche al netto di talune perduranti oscillazioni giurisprudenziali (v. ad es., Cass. n. 27847/2021) – ritiene di dover dare continuità a detto orientamento, che non collide con una ulteriore ed utile impostazione prospettica, di cui si dirà infra, ma anzi la completa. Infatti, si è pure precisato che mentre l’errore di valutazione che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare non è mai sindacabile in sede di legittimità (se non entro i suddetti limiti, trattandosi, nella sostanza, di attività riservata al giudice di merito), l’errore di percezione che “cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. n. 9356/2017). Dunque, a fronte di un errore di percezione in cui sia incorso il giudice del merito, il discrimine tra la denuncia della nullità processuale in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del vizio revocatorio dinanzi al giudice che ha emesso la sentenza va individuato, rispettivamente, nell’essere controverso o meno il fatto in questione: “L’errore di percezione, quando investa un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4” (così la stessa Cass. n. 9356/2017, in motivazione).

4.2 – Da quanto precede, discende dunque che la censura – benché coniata sub specie di violazione “mediata” dell’art. 116 c.p.c., ut supra – sia di per sé ammissibile, perché non si contesta la mera portata confessoria del documento (ciò che implicherebbe di per sé l’inammissibilità della censura, v. Cass. n. 2048/2019), bensì appunto l’oggettivo travisamento del suo contenuto, a causa di un errore percettivo, sicché viene in rilievo, a ben vedere, una possibile violazione dell’art. 115 c.p.c., disposizione non espressamente invocata dalla ricorrente principale (neppure in via mediata). Tuttavia, è noto che “In tema di ricorso per cassazione, in base al principio “iura novit curia” la Corte può individuare d’ufficio i profili di diritto rilevanti per decidere le questioni sottoposte con i motivi di impugnazione, purché la decisione impugnata non sia coperta sul punto da giudicato interno” (da ultimo, Cass. n. 4272/2021; sost. conf., Cass. n. 20994/2018, in motivazione).

Ora, la Corte aquilana ha rilevato che, a fronte di sei segnalazioni di non conformità di alcune bobine (nn. *****) operata da ***** il 20.9.2010, con successiva e-mail del 22.9.2010 Eusider si dichiarò disponibile a prelevare campioni “per testare le effettive caratteristiche meccaniche del materiale” e a comunicare “i valori riscontrati di quello che eventualmente risulterà non conforme”. A seguito di tale impegno – prosegue la Corte del merito – Eusider, con missiva del 27.10.2010, comunicò la non conformità di cinque campioni testati (non essendo stato campionato uno dei rotoli).

E’ indubbio, pertanto, che la Corte abruzzese abbia ritenuto – con accertamento in fatto – che le prove tecniche di cui alla missiva del 27.10.2010 inerissero proprio alle bobine di cui alle segnalazioni del 20.9.2010, conseguentemente qualificando la missiva di Eusider come riconoscimento del difetto segnalato da *****. Sulla base di tale apprezzamento, nonché del precedente riconoscimento della non conformità della bobina n. *****, come da e-mail Eusider del 21.9.2010 e degli esami di laboratorio svolti dalla stessa *****, la Corte ha quindi ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sui debitori cambiari circa l’inadempimento del fornitore.

Sostiene ora Eusider che, al riguardo, la Corte abbia sostanzialmente travisato il contenuto di cui alla ripetuta missiva del 27.10.2010, in cui si fa riferimento non già alle dette bobine, bensì ad altre, giacenti presso il porto di Vasto e non ancora consegnate a *****, oggetto di verifica in via preventiva a seguito delle prime segnalazioni di non conformità. Nella sostanza, dunque, Eusider si duole del fatto che la Corte abruzzese abbia attribuito alla missiva stessa un contenuto del tutto diverso rispetto al suo oggettivo significato, che – sia per via intrinseca, sia per via della concatenazione logico-temporale con altra corrispondenza tra le parti – non può che riferirsi a bobine mai giunte nella materiale disponibilità di *****. L’errore in cui sarebbe incorso il giudice del merito consisterebbe, pertanto, nell’aver assunto la decisione in parola sulla base di una prova (l’avvenuto riconoscimento, con la missiva del 27.10.2010, dei difetti di cui alle bobine indicate da ***** nella e-mail del 20.9.2010) in realtà inesistente e mai acquisita al giudizio.

Senonché – ferma l’astratta ammissibilità di una censura così coniata e anche a prescindere dalla portata della clausola “vendita franco partenza” invocata dalla curatela – ritiene la Corte come il superiore assunto si scontri col dato inconfutabile per cui il giudice del merito apprezzò il detto contenuto della missiva, attribuendogli natura confessoria – ai fini della valutazione circa la prova dell’inadempimento di Eusider – non già considerandola isolatamente, bensì insieme ad altri elementi, ossia al riconoscimento del difetto portato da altra bobina (n. *****), nonché alle prove tecniche di laboratorio eseguite dalla stessa *****. E’ evidente, dunque, che ove anche fosse fondata la tesi per cui le bobine di cui alla missiva del 27.10.2010 sono del tutto diverse da quelle indicate nella e-mail del 20.9.2010, ciò non potrebbe comunque travolgere gli ulteriori elementi su cui si fonda l’apprezzamento del giudice del merito, non attinti dalla censura in esame, per tal verso inammissibile; a tal proposito, può anche aggiungersi che le considerazioni svolte dalla ricorrente principale sulla sostanziale irrilevanza sul piano probatorio delle suddette prove di laboratorio eseguite da ***** – perché, in tesi, valevoli come mere allegazioni di parte, o al limite come indizio – non colgono nel segno, non avendo la stessa Eusider precisato quale ne fosse la tipologia ed in cosa esse consistessero, così pure incorrendo, in parte qua, nell’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo consentito alla Corte di apprezzare la decisività della questione dalla mera lettura del ricorso.

4.3 – Alla ritenuta inammissibilità del secondo motivo si aggiunge, a questo punto, l’infondatezza del terzo, che discende a ben vedere da quanto già osservato. Infatti, da un lato il preteso omesso esame della circostanza per cui le prove di laboratorio di cui alla missiva del 27.10.2010 concernevano bobine mai consegnate a ***** non può sussistere, trattandosi di questione – quella dell’avvenuta consegna o meno delle bobine stesse all’odierna ricorrente incidentale – risolta in senso affermativo dalla Corte, che evidentemente ha disatteso le contrarie allegazioni pur svolte, al riguardo, da Eusider (v. ricorso, pp. 22-23: non si tratta, quindi, di pretermissione di un fatto storico, ma di affermazione di un fatto speculare e contrario rispetto a quello che si pretenderebbe omesso, sulla base dell’apprezzamento del materiale istruttorio); dall’altro, il fatto stesso non può dirsi decisivo, proprio perché l’accertato inadempimento di Eusider non è basato solo sul contestato riconoscimento di cui alla missiva del 27.10.2010, ma anche su altri elementi, come già visto.

5.1 – Il quarto motivo è fondato, nei termini di cui appresso.

Con il mezzo in esame, infatti, Eusider censura la valutazione operata dalla Corte d’appello circa la gravità dell’inadempimento – di cui contesta comunque l’esistenza – sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo.

In proposito, occorre in primo luogo sgombrare il campo dall’elemento di fondo su cui ancora la ricorrente principale insiste, ossia la pretesa inesistenza tout court dell’inadempimento. Infatti, per effetto della declaratoria di cui ai parr. precedenti, deve ritenersi passata in giudicato l’affermazione del giudice del merito circa non solo la sussistenza dell’inadempimento stesso, nell’entità accertata, ma anche la sua connotazione quale aliud pro alio, in ragione della totale diversità dell’acciaio consegnato (del tipo S2353R, anziché S2753R), privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, che avrebbe dovuto ricavarne guard-rail da consegnare all’appaltatore di lavori su tratto autostradale (Pavimental s.p.a.), per la conseguente collocazione.

5.2 – Ciò posto, venendo al tema della gravità dell’inadempimento e benché quanto segue non sia stato oggetto di specifica censura, va preliminarmente evidenziata la intrinseca contraddittorietà del percorso motivazionale seguito dalla Corte d’appello, laddove essa ha erroneamente (per quanto detto al par. 3.2) qualificato il contratto inter partes quale somministrazione, anziché vendita, finendo però per valutare la gravità dell’inadempimento, salvo quanto si dirà infra, rispetto ai soli ordinativi nn. ***** e ***** (che, secondo la stessa Corte aquilana, dovrebbero costituire invece una sola parte del più ampio rapporto contrattuale in essere) e col parametro dell’art. 1455 c.c., anziché sotto il profilo dell’importanza dell’inadempimento e della sua incidenza sul futuro assetto del contratto di cui all’art. 1564 c.c., unica norma a tal punto applicabile in deroga proprio all’art. 1455 c.c. (v. Cass. n. 13533/2000). In sostanza, la Corte d’appello ha finito col trattare quella che, motu proprio, aveva ritenuto essere una somministrazione, come una vera e propria vendita, peraltro di entità ridotta. Si tratta di un ulteriore errore del giudice del gravame, che però non rende meno innocuo quello – la cui censura è stata già accolta – sulla qualificazione del contratto, proprio perché lo scopo di tale ultima attività è quello di individuare, senza margine di incertezza, il ventaglio di norme regolatrici della fattispecie al vaglio giudiziale.

5.3.1 – Deve a questo punto evidenziarsi che il giudizio operato dalla Corte d’appello circa la non scarsa importanza dell’inadempimento di Eusider, ai sensi dell’art. 1455 c.c., è senz’altro erroneo.

Premesso, infatti, che il tenore complessivo del mezzo in esame non attinge alla mera valutazione della gravità dell’inadempimento operata dal giudice del merito, rimessa al suo prudente apprezzamento e pertanto, di regola, non censurabile in questa sede di legittimità (ex multis, da ultimo, Cass. n. 23553/19 R.G. 12182/2020), bensì ai criteri utilizzati dallo stesso giudice – quali espressione della corretta interpretazione dell’art. 1455 c.c. – per giungere ad un idoneo giudizio sulla non scarsa importanza dell’inadempimento, è ampiamente ricevuto, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio (c.d. relativistico) per cui “In tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all’interesse del creditore all’adempimento della prestazione attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l’intensità” (ex multis, Cass. n. 22346/2014; più di recente, Cass. n. 8220/2021, in tema di responsabilità medico-chirurgica, nonché Cass. n. 20874/2021, in tema di appalto pubblico). 5.3.2 – Ora, quanto all’elemento di carattere oggettivo, ossia l’accertamento della entità dell’inadempimento in relazione all’economia complessiva del rapporto, v’e’ anzitutto da evidenziare che la valutazione va effettuata rispetto alla intera prestazione promessa, quand’anche le parti ne abbiano pattuito il frazionamento in più tranches (Cass. n. 24003/2004).

Al riguardo, s’e’ visto che, con i contratti nn. ***** e ***** del *****, le parti pattuirono la consegna a ***** di ben 5.000 tonnellate di acciaio della qualità S2753R, e quindi 2.500 tonnellate per ciascun ordinativo. Tralasciando le ragioni per cui le parti – il che è comunque pacifico – convennero la momentanea consegna di solo il 10% circa dell’intera fornitura di acciaio (ossia, 502 tonnellate), dietro dazione delle cambiali per cui è processo, non può revocarsi in dubbio che la Corte d’appello sia giunta alla valutazione della gravità dell’inadempimento a fronte del recapito di sette bobine non conformi, tutte a valere sul contratto n. ***** ed oggetto della consegna del 14.9.2010 (v. ricorso principale, p. 29). Proprio a tali bobine attiene il riconoscimento da parte di Eusider, nel giudizio di merito, circa il fatto che la mancanza di qualità in questione investiva il 50% non già dell’intera fornitura (come mostra di avere inteso la Corte d’appello, benché errando ed equivocando le pur chiare affermazioni di Eusider, sul punto), bensì della sola merce recapitata nella predetta data del 14.9.2010, e comunque dalla (Ndr: testo originale non comprensibile) a valere sul contratto n. ***** (che, lo si rammenta, le parti avevano pattuito di eseguire, temporanemente, per sole 252 tonnellate, v. ricorso principale, p. 4). In sostanza, se è vero che ogni bobina aveva un peso non superiore a 23 tonnellate (v. ricorso principale, p. 28), le sette bobine in questione rappresentano poco più del 3% dell’intera fornitura: per quanto qui specificamente interessa, può dunque dirsi che la prova del difetto in discorso è stata raggiunta, nel giudizio di merito, in relazione al 3% circa dell’acciaio che Eusider avrebbe dovuto fornire a *****.

Questi essendo i pacifici elementi fattuali, l’errore in cui la Corte d’appello è incorsa è di tutta evidenza: l’entità dell’inadempimento avrebbe dovuto raffrontarsi non già su quanto consegnato a ***** in parziale esecuzione della prima tranche pattuita, ma su quanto avrebbe dovuto esserle complessivamente consegnato in adempimento di entrambi i contratti in discorso, ove se ne fosse accertato il collegamento negoziale (come parrebbe doversi desumere), o almeno in adempimento del contratto n. *****. Solo un tale perimetro valutativo, infatti, avrebbe potuto giustificare la declaratoria di risoluzione dei due contratti (nell’un caso) o del solo contratto appena citato (nell’altro, ossia in caso di mancanza di collegamento negoziale, con ogni conseguenza sulla impossibilità di giungere alla risoluzione del contratto n. ***** in assenza di accertamento di qualsivoglia inadempimento al riguardo), attraverso la valutazione dell’incidenza di detto inadempimento sull’economia globale del rapporto ed in particolare sul pregiudizio concretamente causato a *****. E’ peraltro noto come non basti una mera valutazione quantitativa circa l’entità dell’inadempimento (nel senso, cioè, che a fronte di un inadempimento di grande entità corrisponda necessariamente la sua gravità, mentre a fronte di uno di lieve entità corrisponda in automatico la sua non gravità – v. ex multis, Cass. n. 3742/2006), benché di norma si ritenga che, nel caso di una mancata realizzazione del programma contrattuale in misura poco rilevante, possa presumersi fino a prova contraria che l’interesse della controparte sia stato attinto in forma non grave (Cass. n. 1021/1984).

L’erroneo termine di raffronto utilizzato dal giudice del gravame inficia, dunque, la bontà della valutazione in discorso.

5.3.3 – Considerazioni analoghe possono muoversi anche riguardo all’elemento soggettivo.

Infatti, la stessa ***** ha comunque mostrato di tollerare il difetto in parola, allorché, dopo aver contestato la difformità della merce consegnata fino al 20.9.2010, chiese e – in data 22.9.2010 – ottenne la consegna di ulteriori 250 tonnellate di acciaio, a valere sull’altro contratto, il n. *****. La scelta di dare comunque esecuzione ai contratti, nonostante quantomeno il dubbio circa la bontà dell’acciaio fornito da Eusider (manifestato proprio dalle contestazioni della merce, altrimenti del tutto ingiustificate), è un indice che il giudice del merito avrebbe dovuto prendere in considerazione, al fine di escludere – o meno – la gravità dell’inadempimento (Cass. n. 3712/1987; Cass. n. 4630/1994).

A nulla rileva, in proposito, l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, poiché il vizio non era immediatamente riconoscibile, pur a fronte della alta professionalità richiesta, la sua lavorazione dopo la consegna non può significare accettazione della fornitura. Infatti, tale considerazione (oggetto di specifica censura col sesto motivo, proposto in subordine) non si confronta con i dati processuali secondo cui già dal 17.9.2010 (e quindi prima della consegna del 22.9.2010) la ***** era a conoscenza della possibile mancanza di qualità del prodotto, come pure già rilevato. Fermo restando che (sia beninteso: quanto segue viene evidenziato ai soli fini della valutazione sulla gravità dell’inadempimento), come anche può evincersi dal quesito peritale riportato nel ricorso principale (p. 6), la CTU disposta nel giudizio di primo grado si svolse solo “sulla carta”, ossia senza esame diretto della merce consegnata a *****, segno evidente che quest’ultima – benché nutrisse dubbi sulla qualità dell’acciaio – non solo lo ricevette, ma pure lo utilizzò (non risulta che la curatela abbia mai allegato di aver restituito l’acciaio non conforme consegnatole da Eusider).

5.3.4 – Sì impone, dunque, la cassazione della sentenza impugnata, spettando al giudice del rinvio, in applicazione dei principi suesposti, verificare se l’inadempimento di Eusider, nella entità (3% circa del totale della fornitura) e nella qualità (aliud pro alio) già accertata, abbia non scarsa importanza, ex art. 1455 c.c., ove risulti confermato che il rapporto tra le parti ha natura di vendita; in alternativa, verificare se esso abbia notevole importanza e sia tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti, ex art. 1564 c.c., ove invece dovesse ritenersi la natura di somministrazione (v. par. 3.2).

6.1 – Il quinto motivo è anch’esso fondato.

In effetti, non è revocabile in dubbio che gli unici elementi di prova presi in considerazione dalla Corte d’appello circa l’inadempimento di Eusider – e quindi utilizzati onde valutare se i debitori cambiari avessero assolto l’onere della prova sugli stessi gravante – concernono esclusivamente le bobine consegnate il 14.9.2010 (e anche la *****, consegnata prima), tutte afferenti al contratto n. *****, ma non anche quelle consegnate il 22.9.2010, sicuramente concernenti il contratto n. *****.

Pertanto, ha ancora errato la Corte d’appello nel dichiarare la risoluzione anche di tale secondo contratto, in assenza di qualsiasi prova circa la non conformità delle bobine recapitate in sua esecuzione: e ciò sia nella prospettiva della somministrazione (essendo mancata qualsivoglia valutazione prospettica ex art. 1564 c.c.), sia nella ipotesi della vendita a consegne ripartite o anche del collegamento negoziale tra i due coevi contratti di vendita (collegamento che, a ben vedere, parrebbe suffragato da significativi elementi: le trattative per i due ordini iniziarono nello stesso periodo temporale e furono condotte in parallelo; le vicende del relativo pagamento e delle garanzie trovarono concorde soluzione, con l’accettazione di due pagherò cambiari per le prime due consegne parziali, in relazione al 10% dell’acciaio oggetto dell’intera fornitura, ecc.).

Ne discende che, come già in parte evidenziato nel par. 5.3.1., per giungere alla risoluzione del contratto n. *****, il giudice del rinvio – una volta risolta la questione della qualificazione dell’intera operazione come vendita o somministrazione – dovrà valutare, nel primo caso, se detto contratto possa dirsi collegato al coevo contratto identificato come n. ***** (e quindi valutare se il limitato inadempimento accertato in relazione a quest’ultimo, ut supra, sia in grado di riverberarsi sul successivo, a fini risolutivi); nel secondo caso, se lo stesso contratto n. ***** resti coinvolto dal giudizio prognostico ex art. 1564 c.c., avuto riguardo all’intera pattuizione. Con la conseguenza che, ove il contratto n. ***** dovesse passare indenne dal suddetto esame (e impregiudicata ogni valutazione sul contratto n. *****), nessun dubbio potrebbe porsi riguardo alla piena negoziabilità della cambiale scadente il 17.12.2010, per l’importo di Euro 187.500,00 (fermi, naturalmente, gli effetti della successiva dichiarazione di fallimento dell’emittente).

7.1 – Il sesto motivo del ricorso principale, proposto in subordine rispetto ai motivi dal secondo al quinto, resta conseguentemente assorbito.

Esso, infatti, è stato avanzato in via gradata, qualora, “sull’assunto della quaestio facti operata in sentenza dalla Corte d’Appello, Eusider venisse ritenuta inadempiente in relazione ad entrambi i contratti ***** e *****, che tale inadempimento venisse valutato come grave da poter determinare la risoluzione degli stessi”.

Come s’e’ visto, la prospettata condizione non s’e’ verificata, giacché da un lato s’e’ escluso l’inadempimento di Eusider in relazione ad entrambi i contratti, per non essere stata acquisita alcuna prova sulla non conformità delle bobine recapitate a valere sul contratto n. *****, e dall’altro s’e’ rimessa al giudice del rinvio la valutazione della gravità dell’inadempimento del primo contratto, nell’entità pure accertata dalla Corte d’appello e all’esito di un nuovo apprezzamento. Pertanto, l’esame del mezzo resta precluso dalla precisa scelta processuale della ricorrente principale.

8.1 – Venendo al ricorso incidentale del Fallimento, esso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Pur a fronte della indiscutibile complessità del contenzioso, la curatela racchiude l’esposizione dei fatti sostanziali e processuali in appena due mezze pagine ed una pagina intera (pp. 3-5), prima di esporre i motivi, in cui – contrariamente a quanto sostenuto in memoria – non arricchisce le doglianze preannunciate con i necessari elementi fattuali (si veda quanto già osservato, sul requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – senz’altro applicabile al ricorso incidentale in forza del richiamo operato dall’art. 371 c.p.c. – nel par. 3.1), ma si addentra nell’argomentazione tecnico-giuridica circa i pretesi errori che il giudice d’appello avrebbe commesso, vuoi sul tema del mancato riconoscimento del danno in via equitativa o del danno all’immagine, vuoi sull’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie.

In proposito, costituisce fermo convincimento della Corte quello secondo cui, qualora non fosse stato necessario leggere per primo il ricorso principale di Eusider e così apprendere i fatti di causa, la piena comprensione del ricorso incidentale della curatela sarebbe stata praticamente impossibile. La laconicità – dell’esposizione, del resto, non consente neanche di verificare la possibile novità di una o più questioni poste con l’impugnazione incidentale, il che conferma la non rispondenza del ricorso ai requisiti di contenuto-forma di cui all’art. 366 c.p.c.

9.1 – Il ricorso incidentale condizionato di Eusider resta conseguentemente assorbito.

10.1 – In definitiva, sono accolti il primo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale, è inammissibile il secondo, infondato il terzo, mentre il sesto rimane assorbito; il ricorso incidentale della curatela è inammissibile, mentre il ricorso incidentale condizionato di Eusider resta anch’esso assorbito.

La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame dell’appello degli opponenti, attenendosi ai superiori principi di diritto, al fine di: 1) qualificare i rapporti tra le parti, stabilendo se si tratti di vendita o di somministrazione; all’esito, 2) sulla base di quanto già accertato (v. par. 5.3.4), verificare se l’inadempimento di Eusider s.p.a. possa dirsi di non scarsa importanza, ex art. 1455 c.c. (ove si ritenga trattarsi di vendita), ovvero se esso abbia notevole importanza, ex art. 1564 c.c. (ove invece si ritenga trattarsi di somministrazione); 3) in caso di ritenuta “gravità” dell’inadempimento di Eusider (nell’una o nell’altra ipotesi qualificatoria del tipo contrattuale), pronunciare la risoluzione anche del contratto n. ***** nelle sole ipotesi meglio evidenziate nel par. 6.1.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese legali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo, rigetta il terzo e dichiara assorbito il sesto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale e assorbito il ricorso incidentale condizionato; cassa in relazione e rinvia alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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