LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 704-2016 proposto da:
I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI
“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
EDITORIALE VENETO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 27, presso lo studio Trifirò & Partners, rappresentata e difesa dagli avvocati GIACINTO FAVALLI, PAOLO ZUCCHINALI, MARINA MARIA TONA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5733/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/01/2015 R.G.N. 2088/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
Che, con sentenza depositata il 5.1.2015, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui il locale Tribunale aveva ingiunto a Editoriale Veneto s.r.l. di pagare all’INPGI somme per contributi omessi in danno di dieci giornalisti ritenuti collaboratori fissi ex art. 2 CCNLG;
che avverso tale pronuncia l’INPGI ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che Editoriale Veneto s.r.l. ha resistito con controricorso, anch’esso successivamente illustrato con memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che, con il primo e il secondo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonché omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto non assolto l’onere probatorio concernente la natura subordinata delle prestazioni giornalistiche per cui è causa, senza considerare il valore presuntivo che, in mancanza di prova contraria, era da ascrivere alle risultanze del verbale ispettivo prodromico alla domanda monitoria;
che, con il terzo motivo, il ricorrente lamenta falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, per avere la Corte territoriale ritenuto che non avesse formato oggetto di specifico gravame la statuizione di primo grado che aveva escluso, nel caso di specie, la sussistenza del requisito della dipendenza, intesa quale persistenza, tra un intervallo e l’altro, della disponibilità dei giornalisti ad eseguire la prestazione oggetto della collaborazione;
che, con il quarto motivo, l’Istituto ricorrente si duole di violazione del CCNLG 1 marzo 2001, art. 2, per avere la Corte di merito ritenuto l’insussistenza del vincolo di disponibilità tra una prestazione e l’altra;
che, in considerazione della sua potenziale valenza assorbente, va esaminata con priorità la censura di cui al terzo motivo;
che, al riguardo, i giudici territoriali hanno rilevato che, sebbene il primo giudice avesse esplicitamente rimarcato come non fosse stata raggiunta la prova del “requisito della dipendenza, inteso come persistenza nell’intervallo tra una prestazione e l’altra della propria disponibilità ad eseguire le richieste del giornale”, essendo piuttosto emerso che “il giornalista era libero di eseguire la copertura del servizio, potendo l’azienda contare su una pluralità di collaboratori in grado comunque di sostituire il giornalista non disponibile”, l’appello proposto dall’odierno ricorrente non aveva investito di gravame tale specifico accertamento, essendosi piuttosto concentrato su “circostanze non decisive quali la soggezione a direttive sulle notizie da approfondire, la comunicazione di eventuali indisponibilità a rendere la prestazione, il rimborso delle spese del telefono mobile, concordato con l’azienda” (così la sentenza impugnata, pag. 4);
che, sul punto, va premesso che la sussistenza del vincolo di dipendenza attiene alla struttura del contratto quale delineata ex ante tra le parti, ancorché – come ogni fatto umano – possa essere presuntivamente ricavata ex post factum, cioè in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto (arg. ex art. 1362 c.c., comma 2), e – come più volte ritenuto da questa Corte di legittimità – essa si sostanzia in un patto in forza del quale il datore di lavoro possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità del prestatore senza doverla contrattare volta per volta (così, fra le tante, Cass. n. 12252 del 2003);
che, ciò posto, non è dato rinvenire nell’atto di appello – per come debitamente trascritto a pagg. 41-43 del ricorso per cassazione – alcuna specifica affermazione volta a infirmare l’accertamento compiuto dal giudice di prime cure circa l’insussistenza di un impegno dei giornalisti di assicurare la propria disponibilità nell’intervallo tra una prestazione e l’altra (cfr. sul punto le precise affermazioni del giudice di prime cure per come trascritte a pag. 30 del ricorso per cassazione), soffermandosi piuttosto il gravame sulla sussistenza di direttive e controlli che concernevano però il modo in cui le singole prestazioni venivano rese e non anche il fatto che tra l’una e l’altra prestazione i giornalisti restassero a disposizione dell’azienda;
che l’infondatezza del terzo motivo determina necessariamente l’assorbimento degli altri, avendo di fatto la Corte ritenuto precluso il gravame per intervenuto giudicato (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata, dove il richiamo a Cass. n. 10134 del 2004);
che, sebbene possa convenirsi con parte ricorrente circa la non perfetta pertinenza al caso di specie del precedente richiamato, che concerneva piuttosto la configurabilità di un giudicato interno allorché non fosse stata specificamente censurata l’affermazione d’infondatezza della domanda contenuta in una sentenza che ne aveva pregiudizialmente dichiarato l’inammissibilità, l’indubbio punto di contatto tra le due fattispecie è costituito dal carattere composito dell’accertamento di fatto necessario al fine di configurare un rapporto di collaborazione giornalistica ex art. 2 CCNLG, che fa sì che tutte le specifiche affermazioni del giudice a quo circa la sussistenza o meno dei requisiti tipici della fattispecie (continuità della prestazione, responsabilità di un servizio e vincolo di dipendenza, nel senso dianzi precisato) debbano essere censurate davanti al giudice dell’impugnazione, non potendo altrimenti l’appello reputarsi “specifico” nel senso voluto dall’art. 434 c.p.c., ossia nel senso di consentire al giudice del gravame di conoscere della controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l’esame delle specifiche censure mosse dall’appellante, la formulazione delle quali consuma il diritto di impugnazione (cfr., da ult., Cass. n. 15412 del 2020);
che il ricorso, assorbiti logicamente gli altri motivi, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza; che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.500,00, di cui Euro 7.300,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022
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