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Per usucapire un terreno non basta la coltivazione o il pascolo

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.17469 del 19/06/2023

È possibile usucapire un terreno utilizzandolo per la coltivazione o l'allevamento del bestiame?

La Sezione II della Cassazione, con l'ordinanza n. 17469 del 19 giugno 2023, risponde di no, a meno che non ci siano ulteriori indizi univoci che suggeriscano un'effettiva intenzione di possedere il terreno.

La Suprema Corte ricorda che è onere di chi chiede accertarsi l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus - dimostrando di essere nella disponibilità del bene - ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire.

L'utilizzo del terreno per la coltivazione o l'allevamento del bestiame, in assenza di un atto dimostrativo della proprietà, non è sufficiente per integrare l'usucapione, poiché non esprime in modo inequivocabile l'intento di possedere. Infatti, questa attività materiale, per corrispondere all'esercizio del diritto di proprietà, deve essere accompagnata da indizi univoci che permettano di presupporre che essa sia svolta uti dominus.

L'ordinanza precisa che la coltivazione e il pascolo del bestiame sono pienamente compatibili con una relazione materiale basata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario. Non esprimono attività idonee a realizzare l'esclusione di terzi dal godimento del bene, elemento tipico del diritto di proprietà, specialmente se mancano segni esteriori di ius excludendi alios.

Nel caso di specie, la Corte di merito si è adeguata ai principi di diritto in tema di onere della prova del possesso ed ha correttamente ritenuto che il pascolo del bestiame, peraltro su una vasta estensione di terreno priva di recinzione, fosse inidoneo ad integrare il possesso ad usucapionem, ravvisando nell'esercizio del pascolo una mera tolleranza del proprietario. 

Al contrario i proprietari avevano dimostrato l'esercizio del possesso eseguendo atti di disposizione del bene, quali l'attività estrattiva, la realizzazione di strade, la vendita di costruzioni realizzate in loco a terzi e l'istituzione di una servitù di elettrodotto.

Alla luce di tutto ciò la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.
 

Usucapione, onere della prova, potere di fatto sul bene, attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, animus possidendi

E' onere di chi chiede accertarsi l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus - dimostrando di essere nella disponibilità del bene - ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire.

Usucapione, possesso ad usucapionem, utilizzo del terreno per coltivazione o pascolo del bestiame, inidoneità

L'aver utilizzato il terreno per la coltivazione o per il pascolo del bestiame, in assenza di un atto apprensivo della proprietà è inidoneo al possesso ad usucapionem, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. La coltivazione ed il pascolo del bestiame sono, invece, pienamente compatibili con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprimono attività idonee a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene, che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà, tanto più se mancano segni esteriori in termini di ius excludendi alios.

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Cassazione civile, sez. II, Ordinanza 19/06/2023, (ud. 11/05/2023) n. 17469

FATTI DI CAUSA

Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da B.V., + Altri Omessi e D.G.A. con cui chiesero, al Tribunale di Trapani, l'accertamento dell'acquisto per usucapione di un terreno di circa 108 ettari; gli attori specificarono che il possesso risaliva al capostipite B.A., deceduto nel (Omissis), e dopo di lui era succeduto nel possesso il figlio B.V. deceduto nel (Omissis). Quest'ultimo aveva continuato ad esercitare sul terreno l'attività di allevamento di bestiame iniziata dal padre e proseguita dagli eredi.

Si costituirono i convenuti per resistere alla domanda.

Il Tribunale di Trapani rigettò la domanda.

La Corte d'appello di Palermo confermò la decisione di primo grado.

Avverso la sentenza d'appello propongono ricorso B.V. e gli altri soggetti indicati in epigrafe sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso D.G.A.M., + Altri Omessi, D.G.A., è rimasta intimata.

In prossimità dell'udienza, i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 c.p.c., 116 c.p.c., 1158 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d'appello escluso che l'attività di pascolo configuri elemento costitutivo del possesso ad usucapionem, senza tener conto dell'unica possibile destinazione dei terreni, che sarebbe quella del pascolo.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 115c.p.c., 116 c.p.c., 132, comma 1, n. 3 c.p.c., dell'art. 1158 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa e carente motivazione in ordine agli elementi costitutivi del possesso, non avendo la Corte d'appello chiarito quale fosse l'elemento mancante, incerto o indimostrato.

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 c.p.c., 116 c.p.c., 1158 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d'appello erroneamente affermato che l'attività di pascolo fosse riconducibile a mera tolleranza dei proprietari, omettendo di indicare gli elementi posti a fondamento della tolleranza.

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 116c.p.c., 1158 c.c., 2214 c.c., 2083 c.c., 2202 c.c., 2136 c.c., in relazione all'art. 360, co 1, n. 3 c.p.c.; quanto all'assenza di opere stabili destinate all'allevamento del bestiame e alla produzione di latticini, i ricorrenti osservano che l'area era sottoposta a vincoli paesaggistici ambientali, che avrebbero impedito di predisporre nuove strutture e di intervenire su quelle esistenti ancorché danneggiate. In ogni caso, i testi avrebbero affermato che le strutture esistenti, ancorché vetuste, erano destinate al ricovero notturno del bestiame ed alla produzione e confezionamento dei prodotti caseari. L'assenza delle scritture contabili deriverebbe dall'esenzione, prevista dall'art. 2214 c.c. in favore dei piccoli imprenditori, categoria cui andrebbe ricondotta l'attività dei ricorrenti. Infine, non vi sarebbe alcuna disposizione di legge che assoggetterebbe l'azienda dei B. a registrazione ai sensi dell'art. 2202 c.c.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 116 c.p.c., 1158 c.c., 1165 c.c., 2943 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata non farebbe alcun riferimento agli atti interruttivi dell'usucapione posti in essere dai 2DI GIROLAMO. In particolare, gli elementi presi in considerazione dalla Corte per affermare l'esercizio del possesso da parte dei proprietari non sarebbero decisivi in quanto la concessione della servitù di elettrodotto avrebbe natura coattiva; la circostanza che alcuni immobili costruiti sul terreno fossero stati venduti a terzi sarebbe irrilevante perché riguarderebbe una particella rispetto a quella per cui era stata chiesta l'usucapione; le transazioni concluse in relazione all'attività estrattiva sul territorio costituirebbero "res inter alios acta" e la realizzazione di strade sarebbe inidonea a interrompere il possesso ventennale ininterrotto - decorrente dal 1981- perché temporalmente collocata nel 1930.

I motivi, che per la loro connessione vanno esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

E' onere di chi chiede accertarsi l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus - dimostrando di essere nella disponibilità del bene - ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire (Cassazione civile sez. II, 02/10/2018, n. 23849);

Questa Corte ha, in più occasioni, affermato che l'aver utilizzato il terreno per la coltivazione o per il pascolo del bestiame, in assenza di un atto apprensivo della proprietà è inidoneo al possesso ad usucapionem, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus (Cassazione civile sez. II, 02/12/2014, n. 25498)

La coltivazione ed il pascolo del bestiame sono, invece, pienamente compatibili con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprimono attività idonee a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene, che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà, tanto più se mancano segni esteriori in termini di ius excludendi alios (Cassazione civile sez. II, 20/01/2022, n. 1796).

Del resto, il proprietario può possedere anche solo animo purché il possessore abbia la possibilità di ripristinare il contatto materiale con la cosa non appena lo voglia; soltanto qualora questa possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l'elemento intenzionale non è da solo sufficiente per la conservazione del possesso che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità della cosa (Cassazione civile sez. II, 29/01/2016, n. 1723; Cassazione civile sez. II, 29/07/2013, n. 18215).

La Corte di merito si è adeguata ai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di onere della prova del possesso ed ha correttamente ritenuto che il pascolo del bestiame, peraltro su una vasta estensione di terreno priva di recinzione, fosse inidoneo ad integrare il possesso ad usucapionem, ravvisando nell'esercizio del pascolo una mera tolleranza del proprietario.

Con accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, la Corte di merito ha ritenuto che i ricorrenti non avevano dato la prova dell'esistenza di opere stabili destinate all'allevamento del bestiame tali da rendere manifesta l'intenzione di possedere uti dominus, né avevano provato che sui luoghi esercitavano l'attività di trasformazione dei latticini e commercializzazione dei formaggi.

Al contrario, i proprietari avevano esteriorizzato l'esercizio del possesso compiendo atti dispositivi del bene, consistiti nell'esercizio dell'attività estrattiva, nella realizzazione di strade, nella vendita di costruzioni realizzate in loco a terzi e nella costituzione della servitù di elettrodotto.

A fronte di tali accertamenti in fatto, i ricorrenti, sotto lo schermo della violazione di legge, invocano una diversa valutazione delle risultanze istruttorie non consentita in sede di legittimità (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n. 20867).

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2023.

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